La Resistenza Cattolica deve partire dalla Messa in Latino

Aperto da Finnegan, 4 Marzo 2018, 09:03:16 AM

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Finnegan

#10
Sempre a proposito di chi pensa che si possano arginare certe derive continuando ad andare alla Messa Novus Ordo:

"Caro Tosatti,
[...] Mi vien riferito che un giovane e bravo sacerdote [...] si sia prima progressivamente e poi radicalmente trasformato da qualche tempo. Detta percezione nasce dal fatto che da poco non si stanca di ripetere nelle sue omelie (peraltro molto buone) che <chi non ama il Papa non può considerarsi cristiano>. Ciò che stimola di più la preoccupazione sta nel fatto che quando lo dice guarda negli occhi proprio alcuni fedeli assidui, che prendono sempre la comunione in ginocchio ed in bocca, pertanto connotati come "tradizionalisti", che si sentono conseguentemente colpevolizzati. Magari, suppongo io, perché hanno espresso (in confessionale?) qualche riserva critica sul Pontificato. Risultato è che costoro ne soffrono non poco e taluni non tornano, girovagando alla ricerca di chi nell'omelia parla solo di Dio. E ciò non accade frequentemente, come sappiamo. Ora, son cinque anni che si ascoltano (sempre più perplessi) le "veline della Cei ", ma con Bassetti cominciamo a rimpiangere persino Galantino. Il mio suggerimento agli amici che mi hanno raccontato questi avvenimenti resta lo stesso : andare a parlare a questi bravi sacerdoti, con quale esito ammetto non saprei, ma tentare non nuoce, no? Lei che ne pensa Tosatti?"
RVC

Questo era Romana Vulneratus Curia. Padre Giovanni Cavalcoli ha seguito tutta la discussione e ci ha scritto ieri sera, e naturalmente lo condividiamo volentieri:

Caro Tosatti,
se me lo consente, risponderei a quel lettore che si lamenta delle omelie di quel sacerdote in questi termini:

Caro Lettore,
   consiglio a quel fedele che, mentre partecipa alla Messa Novus Ordo, si sente colpevolizzato dal celebrante, di adeguarsi alla liturgia del Novus Ordo. Altrimenti, vada ad una Messa del Vetus Ordo. :))
   Per quanto poi riguarda possibili critiche al Papa, bisogna distinguere il Papa come maestro della dottrina della fede, dal Papa nella sua condotta morale di uomo peccatore e come Pastore e Guida della Chiesa.
  Sul primo punto dev'essere ascoltato ed obbedito.
  Invece, riguardo al secondo punto, è lecito, se ce ne sono i motivi, criticarlo e redarguirlo con prudenza e spirito filiale ed eventualmente esortarlo a ravvedersi dai suoi peccati.
P.Giovanni

http://www.marcotosatti.com/2018/11/24/padre-cavalcoli-risponde-a-romana-vulneratus-curia-e-a-un-po-di-altri-lettori-di-stilum-curiae/
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johann

#11

Aldilà del merito (importante) circa il novus ordo e vetus ordo c'e una cosa che secondo me emerge e che si impone all'attenzione 
Mi riferisco al MODO con il quale oggi le cose "avanzano" invece di "maturare"


sembra che si proceda a colpi di: non rompete...... adesso che vi piaccia o no comandiamo noi,   a livello psicologico la cosa non sembra molto diversa da quello che succede in un qualsiasi congresso di partito nel quale la sorte progredisce a colpi di maggioranza relativa con l'opposizione di turno che finge di farsene una ragione e rema contro


Ecco!  forse Il male,  anzi il crimine che B&c stanno consumando ai danni della chiesa sta proprio in questo: Parificare il mondo della chiesa alla vile politica introitando subdolamente il concetto della prassi "democratica"
Magari il "detto non detto" di p.giovanni sta proprio in questo:
Liquidare le giuste rimostranze che il novus ordo produce con la logica politichese che.........: finché ci siamo noi si fa cosi!  quando ci sarete voi farete come vorrete!
Magari si potrebbe chiedere a p.giovanni se cominciando dal padre nostro e dal credo lossignori vogliono finire col travisare il senso autentico di alcune encicliche e magari poi chissà....."rivedere" i vangeli??


Se e' cosi E' davvero allucinante, cogliere simili logiche dentro un'istituzione come la chiesa, se pensiamo che quello che la divide dal settarismo puro e semplice e la fede professata nella parola di DIO, e non dell'uomo, in altre parole rispetto all'essenza del messaggio evangelico e proprio il divieto di qualsiasi "discrezionalità interpretativa" che la rende in un certo senso autentica e "credibile"
Si deve credere in Dio non negli uomini, e questo non dovrebbe prevedere "destra, sinistra, ne tanto meno gli immancabili moderati"
Non credevo che si arrivasse al punto di dover ribadire "certe" cose a "certa" chiesa   


Se anche non ci si rendesse conto di questo sarebbe comunque doppiamente colpevole far passare una cosa simile, Perché quando un corpo come quello della chiesa si fa contagiare da simili logiche ne diventa "portatore sano" e di fatto non guarisce più


HO sempre pensato che sulle questioni di principio nella società' ma soprattutto nella chiesa si debba essere irremovibili, non fosse altro perché  aldilà del merito delle cose, qualunque cedimento anche indiretto rappresenterebbe l'ennesimo foro nella diga che separa l'integrità' morale della "proposta" cristiana dall'empieta pagana e nichilista, che artiglia già mezzo mondo, non gli serve altro perché il resto come ben sappiamo lo farà la fisica e il tempo


Se non si hanno dubbi a riguardo basterebbe pensare agli altri "ex fori" "all'attivo": aborto divorzio omosessualità e adesso l'eutanasia tutte istanze cominciate e "innescate" da "innocenti" rivendicazioni per situazioni limite e ora diventate connotato sociale anzi "presidio" di "civiltà"   
Bisogna stare molto attenti a queste dinamiche perché la contaminazione diabolica viaggia più sulla "prassi" e le sue parole d'ordine condivisione, concertazione inclusione ecc piuttosto che nel confronto diretto sul merito
Un uomo che è un uomo DEVE credere in qualcosa (dal film: il mio nome è nessuno)

Finnegan

Credo che P. Cavalcoli volesse dire che la situazione delle parrocchie Novus Ordo è irrecuperabile, a partire dal rito calato nella prassi e nel divenire della "storia" con formule che cambiano di anno in anno e di celebrante in celebrante. Il varietur al Padre Nostro né è l'inconfutabile prova. Quanto ai Vangeli, è già scomparsa nella Messa l'espressione "pace in Terra agli uomini di buona volontà" sostituita da "uomini che Dio ama", sottinteso la buona volontà (le opere) non serve per meritare la Grazia, proprio come diceva Lutero.
CitazioneBisogna stare molto attenti a queste dinamiche perché la contaminazione diabolica viaggia più sulla "prassi" e le sue parole d'ordine condivisione, concertazione inclusione ecc piuttosto che nel confronto diretto sul merito
Per questo è inutile cercare di puntellare una diga che fa acqua da tutte le parti, vediamo almeno di salvare quel ch'è rimasto di sano.
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johann

Non ne sono del tutto convinto circa cosa volesse intendere p.cavalcoli
quando ci si riduce a dover "decifrare" certe affermazioni  che altro non sono che varianti del perfetto politichese dove quando l'argomento e' scomodo ci si prodiga a stare in equilibrio sul filo del "non mi sbilancio, non mi comprometto più di tanto"
L'interrogante sollevava il problema del disagio personale per interrogare metaforicamente il clero sull'andazzo corrente
Non si risponde come se il servizio che il prete fa nella parrocchia sia uguale al servizio che ti fa il barbiere
se sei scontento,  sei libero di cambiare!!
E una chiamata in causa diretta che esige una risposta chiara e "scherata" questa interrogazione e' semplicemente un esempio di quale gigantesca "supplica filiare" (magari scomposta indiretta e scordinata) si sta alzando dalla base verso le gerarchie che chiede spiegazione di tanto lassismo teologico
Non possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........
cio che rimane del salvabile e' quella parte del clero che non ci sta  bisogna aiutarli ad emergere ad distinguersi a staccarsi dal novus ordo (in senso generale) di B%c e per farlo si deve obbligarli a prendere posizione a cominciare dal proprio prete di parrocchia.       
Un uomo che è un uomo DEVE credere in qualcosa (dal film: il mio nome è nessuno)

Finnegan

CitazioneNon possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........
Assolutamente d'accordo.
Citazionecio che rimane del salvabile e' quella parte del clero che non ci sta  bisogna aiutarli ad emergere ad distinguersi a staccarsi dal novus ordo (in senso generale) di B%c e per farlo si deve obbligarli a prendere posizione a cominciare dal proprio prete di parrocchia.     
Purtroppo il clero in questione se "osa" celebrare in latino come permette il diritto canonico mette a repentaglio la propria carriera o è soggetto ad altri tipi di ritorsione.
Per questo è essenziale che i laici si facciano sentire, innanzitutto con il loro numero che è ben difficile da ignorare, partecipando in massa alle celebrazioni tridentine.

Su Padre Cavalcoli, Cesare Baronio ti dà ragione:

come La mia obiezione alla Sua affermazione consiste quindi nell'aver Ella assunto un principio generale condivisibile, che però nel caso specifico non può essere ammesso. E questo per due ragioni. Anzitutto l'Autorità Ecclesiastica dovrebbe avere come suo scopo principale la salus animarum, per conseguire la quale essa deve dotare i fedeli della pienezza degli strumenti per conseguire la Grazia e così santificarsi. L'aver abolito un rito venerando che esprime perfettamente la fede cattolica, per sostituirlo con un rito che, se non eretico, quantomeno è gravemente omissorio, è un'operazione già di per sé censurabile e riprovevole. In secondo luogo – anche ammesso che l'Autorità possa sostituire un bene minore ad un bene maggiore – è diritto inalienabile del fedele, anzi suo preciso dovere morale, preferire il bene maggiore al bene minore, e a fortiori preferire il bene al male. Ciò vale ancora di più per i sacerdoti, che hanno accettato un rito compromissorio che rende meno onore a Dio e che santifica di meno le anime, quando c'era un rito perfetto e non vi era alcuna ragione per abrogarlo.

Se questo era valido quando il Novus Ordo fu promulgato, è ancora più valido oggi, che di quell'innovazione si sono visti gli amari frutti. Porre quindi sullo stesso piano il Vetus Ordo ed il Novus può esser tollerabile se l'intenzione è di sostituire progressivamente il Vetus al Novus, agendo con prudenza di governo; ma è inaccettabile se l'operazione mira allo scopo contrario, accontentando i critici del rito riformato ma allo stesso tempo chiedendo loro di accettarlo come legittimo. Come se si chiedesse ai movimenti pro-vita di riconoscere come altrettanto legittimo il diritto all'aborto, in cambio della loro libertà d'azione. E qui parliamo di vite umane, tanto quanto con la Messa si tratta di anime che la Chiesa ha il dovere di salvare.

Le rubriche dell'antico rito prescrivono che le azioni sacre siano compiute dai Sacri Ministri, mentre nel nuovo i laici e addirittura le donne entrano ed escono dal presbiterio.

la Messa riformata è stata inventata a tavolino da una Commissione di teologi e liturgisti, tra cui un gruppo di pastori luterani e calvisti, sulla falsariga del rito tridentino. Solo una persona inesperta e completamente a digiuno dei rudimenti di teologia e di liturgia può sostenere che la differenza tra i due riti consista solo nelle forme cerimoniali e nelle rubriche.

Poi venne promulgata la Messa di Paolo VI: sparite le preghiere ai piedi dell'altare, ilConfiteor era recitato dal sacerdote e dai fedeli insieme, con una bella sforbiciata a San Michele Arcangelo, al Beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo. Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli. Proprio come fecero, guarda un po', i primi Luterani e i riformatori di Cranmer. I riti d'introduzione tolsero l'antichissimo uso della triplice invocazione del Kyrie, ridotti a due per mera comodità di risposta coi fedeli. E l'Offertorio scomparve del tutto, per far posto ad una preghiera giudaica di sapore panteistico. Venne tolta anche l'invocazione Veni, Sanctificator, con la quale il celebrante invocava la discesa dello Spirito Santo su questo sacrificio, preparato per il Tuo santo nome. Rimase provvisoriamente l'Orate, fratres, che oggi prevede varie risposte, alcune più omissorie delle altre. Il Canone Romano fu mantenuto, ma privato di tutti i segni antichissimi con i quali il celebrante designava le Sacre Specie, si inchinava, genufletteva, alzava gli occhi al cielo ecc. L'elenco dei Santi venne reso facoltativo: et pour cause, essendo la loro intercessione negata dai Protestanti e dai Novatori. Le parole della Consacrazione furono mutate, spostando il Mysterium fidei dalle parole sul Calice a dopo l'Elevazione, come se la transustanziazione di compisse solo dopo l'ostensione ai fedeli; tant'è vero che anche la genuflessione del sacerdote prima dell'Elevazione fu abolita. Studiosi più versati di me nelle discipline liturgiche e teologiche hanno avuto modo di dimostrare l'adulterazione impressionante del nuovo rito, che mantiene solo parte dell'aspetto esteriore della Messa, proprio come fecero Lutero ed altri eresiarchi. I quali, dovendo imporre la loro liturgia eretica ai fedeli ancora cattolici, raccomandavano di suonar i campanelli all'Elevazione, o di comunicarli in ginocchio, per non scandalizzarli. Peccato che a quelle celebrazioni non si consacrasse più il Corpo e il Sangue di Cristo e che i ministri fossero dei laici.

Rimane da comprendere come a un Papa sia concesso di peccare contro tutte le virtù, ad eccezione della fede: mi par di ricordare che il Concilio Vaticano – il primo, ovviamente – avesse definito che l'infallibilità dei Romani Pontefici è garantita dallo Spirito Santo solo quando essi parlano ex cathedra, nel solo ambito di questioni inerenti la fede e i costumi, e con l'intenzione esplicita di impartire un insegnamento vincolante per i fedeli. Poiché se un Papa potesse essere infallibile in materia di fede anche quando è interpellato da un giornalista o fa una delle sue esternazioni a braccio, si aprirebbero questioni molto delicate.

Di eresie ne abbiamo sentite parecchie, dette non solo da Bergoglio ma anche dai suoi Predecessori: per grazia di Dio, questi errori dottrinali erano espressi come dottori privati, e non imposti a credersi da tutti i fedeli in forza della loro Autorità Apostolica né tantomeno sotto l'assistenza dello Spirito Santo. Tuttavia, reverendo padre, sentir affermare una cosa del genere da un Domenicano mi lascia a dir poco sgomento. Se l'avessi fatto io col mio professore di Dogmatica, mi avrebbe rispedito al Seminario Minore.

http://www.marcotosatti.com/2018/11/25/cesare-baronio-eminentissimus-risponde-punto-per-punto-a-padre-giovanni-cavalcoli/
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Paol

Citazione di: Finnegan il 24 Novembre 2018, 08:00:36 AM
Sempre a proposito di chi pensa che si possano arginare certe derive continuando ad andare alla Messa Novus Ordo:

Questo era Romana Vulneratus Curia. Padre Giovanni Cavalcoli ha seguito tutta la discussione e ci ha scritto ieri sera, e naturalmente lo condividiamo volentieri:

http://www.marcotosatti.com/2018/11/24/padre-cavalcoli-risponde-a-romana-vulneratus-curia-e-a-un-po-di-altri-lettori-di-stilum-curiae/

Padre Cavalcoli ? Se è il domenicano è stato mio professore quando fui, purtroppo brevemente, studente di teologia...
Paol
"God, give us grace to accept with serenity
the things that cannot be changed,
Courage to change the things
which should be changed,
and the Wisdom to distinguish
the one from the other. "
di Reinhold Niebuhr,

Paol

Citazione di: Finnegan il 25 Novembre 2018, 05:32:02 PM
CitazioneNon possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........

con una bella sforbiciata a San Michele Arcangelo,

Se ben ricordo la preghiera a San Michele arcangelo fu inserita nell'800 a seguito della visione ( meglio : voci udite) nella quale un papa sentì che Satana aveva ottenuto 100 anni di (parziale) libertà d'azione , tempo ora scaduto, quindi non è del tutto incoerente averla rimossa, anche se dubito che il movimento liturgista e modernista l'abbia fatto per questo ;
Comunque, sarebbe interessante valutare l'evoluzione del cattolicesimo e del cristianesimo in rapporto alla maschilità (forse questo termine l'ho inventato io in questo momento...) certo che una vena antimaschile mi pare che nel Cattolicesimo ci sia, almeno da qualche secolo , direi dai tempi del concilio di Trento, se non prima ; è possibile che il concilio di Trento, per reagire al protestantesimo abbia determinato un arroccarsi su posizioni alla lunga autodistruttive ;
Comunque, se c'è interesse propondo la creazione di un tread sul maschile e le religioni, in genere;
Paol
"God, give us grace to accept with serenity
the things that cannot be changed,
Courage to change the things
which should be changed,
and the Wisdom to distinguish
the one from the other. "
di Reinhold Niebuhr,

Finnegan

#17
Citazione di: Paol il 25 Novembre 2018, 06:24:17 PM
Padre Cavalcoli ? Se è il domenicano è stato mio professore quando fui, purtroppo brevemente, studente di teologia...
Non ti è andata così male, con i professori che circolano oggi.
Citazione di: Paol il 25 Novembre 2018, 06:36:58 PM
Citazione di: Finnegan il 25 Novembre 2018, 05:32:02 PM
CitazioneNon possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........

con una bella sforbiciata a San Michele Arcangelo,

Se ben ricordo la preghiera a San Michele arcangelo fu inserita nell'800 a seguito della visione ( meglio : voci udite) nella quale un papa sentì che Satana aveva ottenuto 100 anni di (parziale) libertà d'azione , tempo ora scaduto, quindi non è del tutto incoerente averla rimossa, anche se dubito che il movimento liturgista e modernista l'abbia fatto per questo ;
Comunque, sarebbe interessante valutare l'evoluzione del cattolicesimo e del cristianesimo in rapporto alla maschilità (forse questo termine l'ho inventato io in questo momento...) certo che una vena antimaschile mi pare che nel Cattolicesimo ci sia, almeno da qualche secolo , direi dai tempi del concilio di Trento, se non prima ; è possibile che il concilio di Trento, per reagire al protestantesimo abbia determinato un arroccarsi su posizioni alla lunga autodistruttive ;
Comunque, se c'è interesse propondo la creazione di un tread sul maschile e le religioni, in genere;
Apri pure il thread (consiglio la sezione "Per tornare a essere uomini"). Sono dell'idea che la rimozione della preghiera a S. Michele abbia dato mano più libera alle forze infere.
Il femminismo è un'arma dell'ingegneria sociale per l'affondamento di società complesse, modellata nella sua forma attuale attorno all'ideologia del '68. Si propone la distruzione dei rapporti tra i sessi e della famiglia, cellula essenziale della società. Nulla a che vedere col cristianesimo, grazie al quale l'Occidente è rimasto in piedi duemila anni.
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Finnegan

Abbé Claude Barthe: la riforma liturgica specchio del progetto conciliare

Pubblichiamo uno studio-raffronto dell'Abbé Claude Barthe fra la Liturgia tradizionale e quella post conciliare.
Nel post di MiL di ieri ( QUI ) fanno riflettere le parole che il Cardinale Antonio Cañizares Llovera scrisse nel 2003, quando ancora era Prefetto della Congregazione per il Culto Divino: "...qual è mai il fascino segreto che la Messa latina antica porta con sé – per quale ragione, o, piuttosto, per quali ragioni assistiamo ad una sorprendente rinascita della Messa tradizionale proprio ai giorni nostri, dal momento che la maggior parte di coloro che la celebrano o vi partecipano è nata dopo il 1970? Ed in che modo si tratta di un fenomeno positivo per la Chiesa e per la nuova evangelizzazione?"
AC 

La riforma liturgica. Specchio del progetto conciliare

Come una riproduzione dell'adagio lex orandi, lex credendi, si potrebbe dire che, dal Vaticano II in poi, ad un "insegnamento pastorale" corrisponde una "liturgia pastorale". Argomento molto vasto, per il quale, in questa sede, ho deciso di limitarmi ad alcuni aspetti della Messa del Vaticano II, ma si potrebbe estendere alla nuova liturgia nel suo insieme da tutti i punti di vista. 

Una ecclesiologia ecumenica come tentativo di compromesso con la modernità 
L'introduzione dell'esortazione apostolica Amoris Laetitia, per evitare che la dottrina presentata sia invalidata come non conforme alla dottrina precedente, riutilizzava, senza usare espressamente il termine, la categoria nuova di "insegnamento pastorale", ossia l'insegnamento volontariamente non dogmatico, inaugurato dal secondo concilio vaticano. Questo concilio ecumenico atipico aveva creato dei vuoti ecclesiologici, così come il capitolo VIII di Amoris laetitia, circa mezzo secolo dopo, ha creato dei vuoti morali.
In entrambi i casi si può dire che gli organi di insegnamento hanno perso terreno, a causa di una pressione liberale che si è esercitata con forza sempre crescente e hanno tentato una transazione con la modernità.
Molto concretamente, al Vaticano II la Chiesa è stata presentata come se non fosse più l'unica società soprannaturale, l'unica Sposa di Gesù Cristo, ma come se esistessero altre entità ecclesiali che avevano una certa esistenza soprannaturale, imperfetta ma reale.
Tale slittamento si rileva, in particolare, nei tre testi più controversi del Concilio: il decreto Unitatis redintegratio, sull'ecumenismo, la dichiarazione Nostra Aetate, sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane, e la dichiarazione Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa.
Ricordiamo soltanto il compromesso dottrinale nel quale si è cimentato Unitatis redintegratio.
L'ecumenismo cattolico – senza essere del resto chiaramente definito – vorrebbe mantenersi a pari distanza dall'uniatismo tradizionale (le comunità separate sono invitate a ritornare a far parte della Chiesa cattolica) e dall'ecumenismo protestante (che auspica una Chiesa di Cristo confederale che inglobi le diverse confessioni cristiane).
Il Vaticano II ha tentato così di aprire un'improbabile terza via, elaborando la nozione nuova di "comunione imperfetta" (Unitatis redintegratio, n. 3), che esisterebbe tra i cristiani non cattolici e la Chiesa (e anche, secondo Ut unum sint, tra le Chiese e le comunità separate e la Chiesa cattolica, n. 11 § 2).
Come per Amoris laetitia, questo compromesso di fondo si coniuga con un compromesso formale: il carattere pastorale di questo insegnamento: «La crisi della Chiesa, oggi, prima di essere dottrinale, morale, spirituale, liturgica, di autorità – è anche tutto questo – è innanzitutto una crisi formale. (...) Il Vaticano II è la trasformazione di un evento che sarebbe dovuto essere dogmatico e che, al contrario, si è trasformato in pastorale facendo sì che la lingua da dogmatica diventasse pastorale»[1].
Compromesso, perché la modernità è essenzialmente il rifiuto di ogni dogma.
È stato introdotto dal discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia di Giovanni XXIII, che può essere riassunto con la formula: né condanna, né dogmatizzazione, ed è stato confermato dal discorso al Sacro Collegio del 23 dicembre 1962 e dalle affermazioni ufficiali successive[2].
In quest'ottica, il n. 25 § 1 di Lumen gentium ha elaborato una nuova categoria di insegnamenti supremi del Papa o dei vescovi in comunione con il Papa, che i teologi fino a quel momento riservavano a certi decreti delle Congregazioni romane: tali insegnamenti sono forniti senza l'intenzione di proporli in maniera definitiva, e a loro è dovuto non un assenso di fede, ma solo un religiosum voluntatis et intellectus obsequium[3].
Questo nuovo modo di esporre la dottrina senza coinvolgere, almeno indirettamente, la fede della Chiesa – ovvero senza riferirsi al Qui vos audit, me audit (Lc 10,17) – implica un nuovo modo di auto–comprensione degli organi d'insegnamento.
Questo governo del popolo cristiano, privato del riferimento all'obbligo di credere e che propone una specie di unità di opinione, presenta una certa analogia con il tipo di governo delle democrazie moderne circa l'elaborazione di un consenso, la cui forma, hanno spiegato Augustin Cochin e più recentemente François Furet, risiede nel funzionamento delle società di pensiero. 

Un messaggio liturgico in regressione
Nella nuova messa ogni partecipante, se ha la possibilità di fare un confronto con le vecchie forme liturgiche o con le liturgie orientale, ha la percezione immediata di una debole manifestazione della trascendenza.
A favore di una "inserzione nella vita", per una migliore partecipazione attiva di tutti i battezzati, la messa è interpretata come una riunione conviviale, di cui fa propri il tono e i riti di civiltà: la parola di accoglienza pronunciata dal sacerdote che presiede; l'intervento di uomini e donne con un abbigliamento informale per leggere le letture o per dare la comunione; le parole finali del celebrante per augurare gentilmente una buona domenica ai parrocchiani al momento del congedo.
Tutto questo è notevolmente rafforzato dal passaggio da una lingua sacra a una lingua di uso profano, e perfino puramente profana, senza la distanza che crea una versione antica come per gli anglicani.
Inoltre, tutto è detto ad alta voce, specie la preghiera eucaristica.
Il silenzio del canone, attestato nel IX secolo, fungeva da iconostasi morale nella liturgia latina.
La dizione ad alta voce sottolinea, d'altronde, la forma comune del discorso, che dà un'impressione di "chiacchiera continua", bandendo il silenzio di raccoglimento.
Infine la generalizzazione della celebrazione intenzionalmente di fronte al popolo, teoricamente non obbligatoria ma concretamente quasi consustanziale alla riforma, come mostrano le reazioni ai recenti tentativi del cardinale Sarah per "invertire il senso", contribuisce ampiamente a una diminuzione del sentimento della trascendenza.
La liturgia riformata produce tra coloro che la praticano un'impressione di appiattimento della trascendenza, allontanandoli proporzionalmente da ciò che credono di toccare con le proprie mani, contrariamente alle liturgie tradizionali, latine o greche che, sottolineando nei gesti e nelle parole l'immensa elevazione del mistero che svelano deformandolo, fanno paradossalmente toccare il soprannaturale attraverso una sorta di gioco continuo di allontanamento/avvicinamento[4].
D'altra parte bisogna considerare che la nuova liturgia è stata composta in un contesto ecumenico, ma riguardante solo il protestantesimo, poiché il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia aveva deliberatamente escluso di invitare osservatori ortodossi.
Ciò ha comportato una grande attenzione nei confronti della sensibilità protestante.
Per fare un esempio, nella redazione di nuove raccolte del santorale, i redattori hanno badato, come si può constatare, «a sopprimere per quanto possibile ogni allusione all'intercessione dei santi»[5].
Tale contesto ha l'effetto di sottolineare una minore riverenza nella nuova liturgia rispetto alla presenza reale (riduzione delle genuflessioni; segni di purificazione; di protezione delle sante specie; banalizzazione tipografica delle parole consacratone; comunione possibilmente data dai laici; estensione della comunione sulla mano).
Si noterà anche che, nella nuova messa, l'officiante è più presidente che gerarca, assimilato a Cristo Sacerdote (il Confiteor dell'inizio della messa è comune a tutti; la soppressione di molte preghiere di purificazione dell'anima del ministro celebrante; l'abolizione della distinzione tra la comunione del sacerdote e quella dei fedeli; l'entourage composto non più da chierici o bambini assimilati a chierici come nella vecchia liturgia, ma puri laici, compreso donne lettrici e distributrici della comunione e ragazze ministranti; e in generale il debole ritualismo delle cerimonie nuove come parte importante lasciata ai liberi interventi del celebrante che svolge un ruolo considerevole al suo "gioco" personale di attore).
Ma il più notevole indebolimento riguarda la comprensione della messa come sacrificio sacramentale per i vivi e per i defunti.
Non solo, dalla fine degli anni sessanta, la nozione di "sacrificio per i peccati" e di "soddisfazione vicaria" ha subito critiche frontali[6] o laterali[7], inoltre, per molti teologi del XX secolo, anche non progressisti, la messa, invece di essere sacrificio vero e sacramentale che rinnova quello del Calvario, costituirebbe piuttosto un sacrificio di oblazione per la Chiesa, carpendo il sacrificio di oblazione–immolazione del Golgota, senza ripetizione sacrificale propriamente detta secondo un modo sacramentale[8].
Si può dire che è questa posizione mediana tra progressismo anti–sacrificale e ortodossia sacramentale che ha elaborato il nuovo Ordo missae: l'imbarazzo di affermare che la messa è proprio un sacrificio che reitera in modo multiplo l'unico sacrificio di Cristo porta a dire che essa rende solo presente quest'unico sacrificio, come se la presenza reale eucaristica fosse raddoppiata da una specie di "presenza reale" dell'atto del Golgota[9].
Nonostante il legame della liturgia nuova con queste inflessioni teologiche, il nuovo messale presenta molti punti deboli.
Sposta così, nel momento più solenne, l'attenzione che la liturgia della messa aveva finora prestato principalmente al sacrificio del Venerdì Santo (il sangue offerto per noi), verso il mistero pasquale nel suo insieme.
Certamente, il messale tridentino, dopo la consacrazione, una preghiera di anamnesi, di memoria della Passione, della Risurrezione e anche dell'Ascensione, Unde et memores, ma nella nuova messa, è l'espressione mysterium fidei stessa, che era inserita nell'ambito della consacrazione del Preziosissimo Sangue, come un'esplicitazione del sacrificio eucaristico, mistero della fede del nuovo ed eterno testamento (il mistero della fede celebrato hic et nunc, è il Sangue sparso in remissione dei peccati), che è riportato subito dopo, come introduzione alle acclamazioni.
Il mistero della fede rinnovato sacramentalmente non è più solo il mistero del Sangue sparso per i nostri peccati, ma è al tempo stesso quella della morte e della Risurrezione e della parusia: «È grande il mistero della fede: annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua Risurrezione, nell'attesa della tua venuta».
Un crocifisso non è obbligatoriamente posto al centro dell'altare per dominare la celebrazione del sacrificio, ma può essere in prossimità. Un solo segno della croce sugli oblati non consacrati è stato mantenuto, al posto di una trentina di segni fatti dal sacerdote sugli oblati o con loro nel vecchio Ordo.
La breve Prex eucharistica II, versione adattata della Tradizione apostolica di Ippolito, come ricostruita, riflette infatti un'espressione teologica arcaizzante, che esprime il sacrificio del pane e del vino consacrati solo implicitamente "Che prendendo parte al Corpo e al Sangue di Cristo siamo riuniti dallo Spirito Santo in un solo corpo".
Quanto al canone romano, particolarmente esplicito nell'espressione del sacrificio, con le ripetizioni dei termini "sacrificio" al singolare o al plurale, "offerte", "offriamo", "oblazione", è l'unica preghiera eucaristica possibile.
Molte preghiere da parte del sacerdote per chiedere perdono dei peccati, dette apologie, sono state eliminate, col pretesto che erano state aggiunte durante l'alto Medioevo, per esempio il Placeat tibi sancta Trinitas, molto significativo del sacrificio compiuto, pronunciato nella vecchia liturgia prima della benedizione: «Sia a te gradito, o Santa Trinità, l'omaggio della mia servitù, e fa' che questo sacrifizio, da me indegno offerto sotto gli sguardi della tua maestà, a te sia accetto». Ma il maggiore indebolimento risulta dalla soppressione dell'offertorio tradizionale, sostituito da una "preparazione dei doni".
Le liturgie latine e orientali – queste ultime, in modo molto insistente – hanno sempre considerato gli oblati portati nel santuario e scoperti sull'altare consacrati e offerti in sacrificio in anticipo.
La presenza dell'offertorio sacrificale, o del suo equivalente, la protesi, nella maggior parte delle liturgie basterebbe a provare che è un elemento notevole della lex orandi. In modo molto naturale, dal VII al XI secolo, nella liturgia romana – come nelle altre liturgie latine e orientali – sono state stabilite queste preghiere di offerta sacrificale degli oblati da consacrare.
Una delle grandi richieste del Movimento liturgico degli anni cinquanta, presentata in particolare da p. Joseph–André Jungmann, è stata di ritornare a un rito di apporto degli oblati nell'Antichità cristiana come lo si immaginava – e che si modernizzava con processioni di apporto dei "frutti della terra e del lavoro" –, eliminando il cosiddetto "doppione" del canone che costituiva l'offertorio romano («si sopprimano quegli elementi che, col passare dei secoli, furono duplicati o aggiunti senza grande utilità», Sacrosanctum Concilium, n. 50).
P. Louis Bouyer era uno dei diffusori della vulgata dell'epoca secondo la quale la liturgia cristiana era prevalentemente sorta dalla liturgia della Sinagoga come la si immaginava allora, ad esempio come una liturgia che sarebbe stata identicamente praticata da tutte le comunità ebraiche, dall'epoca di Gesù Cristo fino all'Alto Medioevo.
Secondo lui era indubbio che l'Ultima Cena era nata come un pasto ebreo di festa, preceduta da una berakha pronunciata sulla prima coppa di vino: "Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, Re dei secoli, che fai produrre questo pane nella vigna"[10].
Tentava di far cominciare l'eucaristia del XX secolo, allo stesso modo in cui si pensava che fosse cominciata l'Ultima Cena, dando quindi alla messa un sapore di giudaismo.
È così che i saggi esperti del Consilium eliminarono l'offertorio romano, divenuto parte essenziale dell'esplicitazione del sacrificium missae. 

La "preparazione dei doni" che l'ha sostituita è così resa nel messale in lingua volgare: quando il sacerdote eleva la patena: Benedictus es, Domine, Deus universi, quia de tua largitate accepimus panem, quem tibi offerimus, fructum terrae et operis manuum hominum: ex quo nobis fietpanis vitae – "Benedetto sei tu. Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna" (mentre nel messale tridentino: "Accettate, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, quest'immacolata ostia che io indegno tuo servo offro a voi, o Dio mio vivo e vero, per gl'innumerevoli miei peccati, le mie offese e le mie trascuratezze, e per tutti gli astanti, ma anche per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, acciocché per me e per essi sia giovevole alla salvezza nella vita eterna").
Quando eleva il calice: Benedictus es, Domine, Deus universi, quia de tua laigitate accepimus vinum, quod tibi offerimus, fructum vitis et operis manuum hominum, ex quo nobis fiet potus spiritalis. – "Benedetto sei Tu, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della vite e del nostro lavoro; lo presentiamo a Te perché diventi per noi bevanda di salvezza" (Invece di: "Vi offriamo, o Signore, il calice della salvezza, implorando la vostra clemenza, affinché al cospetto della vostra divina maestà la nostra offerta salga in odor di soavità per la salvezza nostra e di tutto il mondo"). 

Un universo rituale polverizzato
Passare da un messale all'altro produce, dal punto di vista delle regole da osservare, un'impressione sorprendente.
Al posto dei gesti e degli atteggiamenti del corpo ritualizzati, strettamente determinati da un uso immemoriale, le nuove rubriche non sono che indicazioni o proposte vaghe. Come per le traduzioni, una certa libertà è considerata come legittima e auspicabile per meglio "avvicinarsi alla vita".
Le scelte sono innumerevoli.
Così, dopo che il sacerdote ha baciato l'altare e l'ha incensato, se lo ritiene giusto, a mani tese, saluta il popolo con tre formule a scelta.
Poi il sacerdote o il ministro capace può liberamente fare un'introduzione alla messa del giorno.
In seguito, il sacerdote invita i fedeli alla penitenza secondo quattro possibilità, tra cui l'aspersione.
Senza parlare delle scelte proposte nell'uso o non uso degli ornamenti, del loro colore, si può continuare così: Kyrie eleison eccetto se è stato utilizzato nelle preghiere penitenziali; due letture, di cui la prima può essere omessa; la professione di fede si fa con il simbolo niceno–costantinopolitano o con quello degli Apostoli; la preghiera universale è liberamente composta; le prefazioni sono quarantasei per il temporale, dieci per il santorale, tredici per il comune dei santi, sedici per i defunti, messe rituali, messe votive.
La preghiera eucaristica romana era, ed è indubbiamente sempre stata, unica.
Le preghiere eucaristiche a scelta sono ormai ufficialmente quattordici.
Ma alcune conferenze episcopali hanno chiesto l'approvazione di preghiere eucaristiche specifiche.
Così quella del Brasile ha ottenuto l'approvazione di una anafora, detta preghiera eucaristica di Manaus, che ha la particolarità di essere dialogata.
La consacrazione è seguita da tre acclamazioni a scelta.
L'introduzione al Pater ha due varianti, o è libera.
La pace e la carità reciproche si manifestano secondo i costumi locali (e soprattutto in base ai gesti di civiltà in vigore: oggi, alla stretta di mano fa concorrenza il bacio sulle guance).
È come un'esplosione di varianti: la benedizione del popolo può essere data in modo solenne con dieci introduzioni tre o quadripartite ognuna caratterizzata da tre Amen, o ancora con ventisei introduzioni sotto forma di "preghiere sul popolo", ma estese.
La fluidità richiama naturalmente la libertà e l'invenzione, spesso sotto l'apparenza di bene. Il passaggio dal latino alle lingue vernacolari da' l'impressione di polverizzazione di un culto romano che era particolarmente unificato e unificante.
La valutazione del numero di traduzioni in lingue e dialetti (senza parlare della messa in esperanto) nelle quali si celebra oggi la liturgia detta latina è da 350 a 400.
Alcuni ritocchi operati dalle versioni nazionali sono talvolta considerevoli.
A titolo di esempio: il pro multis (sangue versato "per molti") della consacrazione, reso con per tutti in italiano; il consubstantialem Patri, il Figlio è consustanziale al Padre, del Credo, reso in francese con il Figlio è "de même nature que le Père".
Tali adattamenti potrebbero essere considerati una inculturazione: in Cina si celebrano gli antichi riti in onore degli antenati defunti; in Zambia si elimina la combinazione di acqua e vino; nello Zaire è praticato un rito con danze processionali, l'invocazione degli antenati, dialoghi consuetudinari tra sacerdote e popolo.
Per non parlare degli innumerevoli "abusi" (per esempio: messa al circo, messa per bambini, messa nella sala da pranzo, messa "che se la prende comoda" ecc.), tranne che per dire che la nuova liturgia è intrinsecamente aperta alla creatività, in particolare, alla creatività della parola.
A Parigi, attualmente, il parroco di Saint–Merry riscrive tutte le preghiere della liturgia, compresa quella dell'eucaristia, alla luce dell'attualità[11]. 

Una liturgia mondanizzata
Ognuno degli elementi descritti può apparire di per sé di secondaria importanza.
Ma la loro somma è rilevante: abbandono di un rituale obbligatorio, opzioni multiple, celebrazione nella maggior parte dei casi di fronte al popolo, uso generale delle lingue comuni, grande libertà nelle ammonizioni e nei commenti, parole praticamente sempre ad alta voce a discapito del segreto rimale e sacro, minore riverenza rispetto all'eucaristia, espressione più debole del sacerdote gerarchico e soprattutto della realtà del sacrificio sacramentale, adozione di un certo numero di gesti e usi della vita ordinaria.
«Non bisogna stupirsi troppo se – scrive Louis Bouyer nelle sue Memorie – con le sue inverosimili debolezze, l'aborto che producemmo doveva suscitare lo scherno e l'indignazione».
Il problema posto da questa liturgia è lo stesso di quello sollevato dai testi dottrinali ambigui come quelli riguardanti i principi dell'ecumenismo già evocati, o come il capitolo VIII dell'esortazione Amoris laetitia.
In entrambi gli ambiti si osserva di fondo una certa composizione con la modernità liberale.
Il messaggio trasmesso può, al massimo, essere considerato meno chiaro rispetto a un insegnamento o a un messaggio liturgico precedenti.
E in entrambi gli ambiti tale regressione è consentita da uno stesso procedimento formale: nell'ambito dottrinale l'uso di un "insegnamento pastorale" invece di un magistero dogmatico o in ogni caso di un insegnamento fondato sul dogma; nell'ambito del culto, l'elaborazione di ciò che potremmo considerare "liturgia pastorale" che comporta degli obblighi molto flessibili, che aprono infinite possibilità di scelta, lasciando largo spazio alla libera volontà degli attori.
Si tratta insomma, per fare riferimento al "pensiero debole" di Gianni Vattimo, di una liturgia debole, eco di un magistero debole, corrispondenti entrambi alle attese della modernità che rifiuta sia gli obblighi assoluti del Credo che quelli di un rito imperativo ancorato al Credo.

Abbé Claude Barthe


NOTE
[1] Cfr. Enrico Maria Radaelli, in Il domani – terribile o radioso? – del dogma, Milano 2013, pp. 21, 24.
[2] Risposte della Commissione dottrinale, del 6 marzo 1964 e 16 novembre 1964; discorso di Paolo VI, del 7 dicembre 1965 e 12 gennaio 1966.
[3] Si ricorda che, invece, il magistero infallibile richiede di ritenere o di accogliere fermamente le verità che propone (professione di fede, 9 gennaio 1989).
[4] Vedi Martin Mosebach, La liturgie et son ennemi, Mora Decima, 2005.
[5] Pierre Jounel, Les oraisons du propre des saints dans le nouveau missel, in La Maison–Dieu, 1° trimestre 1971 (105), p. 182.
[6] Hans Küng, Le Concile épreuve de l'Église, Seuil, 1963; Louis–Marie Chauvet, Le "sacrifice" en christianisme. Une notion ambiguë, in Le sacrifice dans les religions, a cura di Marcel Neusch, Beauchesne, 1994, pp. 139–155.
[7] Si può interpretare il tema dell'"inversione sacrificale" con il cristianesimo secondo René Ginard in Des choses cachées depuis la fondation du monde (Grasset, 1978), come derivante da un certo imbarazzo di fronte alla teologia sacrificale e che cerca di esonerare il cristianesimo da questa nozione che lo capovolgerebbe.
[8] Odon Casel, Faites ceci en mémoire de moi, Cerf, 1962; Jacques Maritain, Quelques réflexions sur le sacrifice de la messe, in Nova et Vetera, gennaio 1968, pp. 1–36; Bernard Sesboüé, che rifiuta, in Croire. Invitation à la foi catholique pour les femmes et les hommes du XXIe siècle (Droguet et Ardant, 1999) le parole "ripetizione" e "rinnovamento": fa dire solo che il sacrificio di Cristo si trova "rappresentato" o "attualizzato".
[9] lnstitutio generalis del nuovo messale romano, 2° capitolo (De generalis structurae missae), n. 7 – n. 27 nell'edizione tipica del 2002.
[10] Louis Bouyer, Eucharistie. Théologie de la prière eucharistique, Cerf, 2009, pp. 82–83.
[11] Daniel Duigou, Lettre ouverte d'un curé au Pape François, Presses de la Renaissance, 2018, pp. 19–20.

http://blog.messainlatino.it/2019/05/abbe-claude-barthe-la-riforma-liturgica.html
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Riverrun, past Eve and Adam's, from swerve of shore to bend of bay, brings us by a commodius vicus of recirculation back to Howth Castle and Environs

Finnegan

VETUS ORDO, NOVUS ORDO: CONFERENZA DI PETER KWASNIESKI

Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, un amico del nostro sito, Vincenzo Fedele, ha voluto con generosità tradurre e mandarci per la pubblicazione il testo di una conferenza che Peter A. Kwasniewski, uno scrittore e compositore cattolico americano, ha tenuto tre anni fa negli USA sul tema dei due riti presenti adesso nella Chiesa. È un testo lungo e complesso, ma certamente sarà di grande interesse per molti dei lettori del blog. Grazie ancora al traduttore, e buona lettura.

§§§
"Due 'forme' di rito romano: fatto liturgico o Fiat canonico?"- Testo completo della Norwalk Lecture del Dr. Kwasniewski

Nel giugno 2017 ho tenuto una conferenza a St. Mary's a Norwalk, Connecticut, sull'incoerenza intellettuale e storica della nozione di "due forme (uguali)" del Rito Romano. Dato il rapido progresso che è stato fatto nelle discussioni liturgiche negli ultimi tre anni, con molte più persone che ora assistono alla tradizionale messa in latino e vedono di persona la verità delle parole di Mosebach: "Nessuno che abbia occhi e orecchie sarà persuaso a ignorare quello che gli dicono i suoi sensi: queste due forme sono così diverse che la loro unità teorica appare del tutto irreale "- Ho deciso di mettere a disposizione la trascrizione della conferenza e ho scelto questa data, il 14 settembre, per i motivi simbolici che si potrebbero dedurre . Il testo seguente è stato riscritto per essere incluso come capitolo in un libro di prossima uscita con il titolo provvisorio:"Pass on Real Gold, Not Counterfeit": The Immemorial Roman Mass e Fifty Years of Rupture, che spero apparirà da Arouca Press nel 2020.

Due "forme" del rito romano: fatto liturgico o fiat canonico?

Peter A. Kwasniewski

Ogni cattolico nel mondo – che lo sappia o no – è debitore a Papa Benedetto XVI per aver "liberato" la tradizionale messa latina con il motu proprio Summorum Pontificum. Possiamo lamentarci di varie cose che Papa Benedetto non ha fatto che riteniamo avrebbe dovuto fare, ma non dobbiamo mai mancare di essere grati per i passi coraggiosi che ha compiuto, in questioni in cui quasi l'intera gerarchia della Chiesa si è opposta a lui. Era profondamente contro la sua natura imporre qualcosa che non sarebbe stato gradito almeno da un gran numero, e in questo atto rimase quasi solo. Il motu proprio ha fatto fiorire innumerevoli fiori, innumerevoli frutti da raccogliere. In questa conferenza, non vengo né per lodare né per seppellire papa Benedetto, ma piuttosto per esaminare un presupposto operativo del motu proprio:

che il Missale Romanum del 1969 (il "Novus Ordo") di Paolo VI è, o appartiene, allo stesso rito del Missale Romanum codificato l'ultima volta nel 1962, o, più chiaramente, che il Novus Ordo può essere chiamato "il rito romano" della Messa.

Questo, sostengo, non può resistere a un esame critico.

Sebbene mi riferirò principalmente al messale romano e alla Messa, la mia argomentazione si applicherebbe, mutatis mutandis, ai riti degli altri sacramenti, alle benedizioni e ai rituali, e all'Ufficio divino e al suo sostituto, la Liturgia delle Ore.

In via preliminare, dovremmo definire i termini "rito" e "uso", poiché giocano un ruolo preminente in qualsiasi interpretazione del Summorum Pontificum. [1]

A parte i rarefatti circoli liturgici, pochissimi cattolici parlano mai di "usi". Tendiamo a dire "rito" di una miriade di fenomeni diversi:

(1) una famiglia di liturgie correlate, come quando diciamo "il rito romano include l'uso Sarum";

(2) un membro specifico di quella famiglia, come quando diciamo "il Messale di Pio V contiene il rito romano della Messa" o "il rito domenicano sta tornando oggi";

(3) qualsiasi servizio liturgico particolare, come quando parliamo di "rito del battesimo" o "rito della confermazione".

Questi modi di parlare sono applicazioni analoghe della parola ritus,che originariamente significava semplicemente "cerimonia", soprattutto di tipo religioso. [2]

La distinzione tra "rito" e "uso" non è mai stata stabilita ufficialmente dalla legge della Chiesa, ma siamo su un terreno sicuro se prendiamo "rito" come il più ampio dei due termini, riferendosi a una costellazione di liturgia, dottrina, spiritualità , storia, cultura, lingua e diritto propri di una certa chiesa.

Un "uso", d'altra parte, è una variazione o una tradizione locale all'interno di un certo rito. Ad esempio, nel rito bizantino c'è la tradizione greca e la tradizione slava, che differiscono notevolmente nelle loro caratteristiche, ma entrambe sono chiaramente bizantine, come vediamo nella loro adesione alle Divine Liturgie di San Giovanni Crisostomo e San Basilio il Grande e la liturgia dei doni presantificati. Nella sfera occidentale o latina del cristianesimo, la storia ha conosciuto una varietà di usi che possono essere considerati varianti del rito romano (in senso lato), come l'uso di Sarum, l'uso di Lione, l'uso di Braga e gli usi di ordini religiosi come i cistercensi, i certosini e i domenicani. [3] Si potrebbe paragonare un rito a una specie di fiore e un uso a un varietale, o forse una variazione di colore dovuta al suolo.

Per identificare un certo uso come appartenente al rito romano è sufficiente verificare che in esso siano presenti le caratteristiche essenziali del rito romano. Ciò includerebbe la struttura dell'Ufficio Divino e la struttura dell'Ordo Missae (non solo il Canone, ma anche l'Introito , il Kyrie, il Gloria, la Colletta, l'Epistola, il Graduale, l'Alleluia, ecc.). Con varianti minori – di solito dell'ordine, piuttosto che del testo – la maggior parte del materiale sarà la stessa dall'uso all'uso. [4] Chi esamina ogni singolo Messale o antifonario di ogni uso del rito romano troverà l'Introito "Ad te levavi" la prima domenica di Avvento, "Populus Sion" sul secondo, e così via, e tutti con melodie di canto molto simili. Inoltre, ammesso che vi fossero molti accenti regionali o tocchi di colore locale, è ovvio che la dottrina, la spiritualità, la storia, la cultura, la lingua e la legge distintive della chiesa romana permeano tutti questi usi liturgici in tutta l'Europa occidentale.

Quando i tradizionalisti parlano oggi di "rito romano", comunemente intendono l'uso della curia romana che costituì la base del Messale di Papa San Pio V. Nel resto di questo capitolo, "rito romano" si riferirà quindi al uso della corte papale che fu esteso a tutto il mondo cattolico dalla Bolla "Quo Primum"del 1570, attuando gli auspici del Concilio di Trento, e che, per questo motivo, viene spesso chiamata liturgia "tridentina", l'adozione della quale era obbligatoria in qualsiasi contesto in cui non potesse essere dimostrato un uso liturgico distintivo di almeno 200 anni.

Il problema

Ora, siamo tutti consapevoli che Papa Benedetto ha affermato, o stabilito, o proposto, nel Summorum Pontificum e nella sua lettera di accompagnamento ai vescovi, "con grande fiducia", che ci sono "due forme" di rito romano e che la forma più nuova è in continuità con la forma più vecchia. Parla anche di un "duplice uso dello stesso rito" e "due usi dell'unico rito romano". Ha detto, inoltre, che "non c'è contraddizione tra le due edizioni del Messale Romano. Nella storia della liturgia c'è crescita e progresso, ma nessuna rottura ".

A cosa corrisponde effettivamente questa pretesa di unità e continuità? Può essere sostenuta?

Vorrei iniziare affermando l'ovvio. Mai prima d'ora nella storia della Chiesa romana ci sono state due "forme" o "usi" dello "stesso" rito liturgico locale, simultaneamente e con uguale status canonico. Che Papa Benedetto abbia potuto dire dire che l'uso più vecchio non era mai stato abrogato "dimostra"che la liturgia di Paolo VI è qualcosa di nuovo, piuttosto che una semplice revisione dei suoi precursori- come i progressisti ci volevano far credere che fosse, ma di una nuova versione di quello che è venuto prima; anzi, Paolo VI sembrava pensare che il nuovo "Missale Romanum" dovesse sostituire il vecchio "Missale Romanum", così come ogni precedente edizione dal 1570 era stata sostituita da ogni successiva "promulgata editio typica" (come, ai nostri tempi, quella del 1920 fu sostituita da quella del 1962 [6]).

Quando Benedetto XVI ha riconosciuto che l'ex Messale non era mai stato abrogato e che il suo uso può essere continuato "ad libitum", ha intensificato la identificazione di Paolo VI con un autocrate: mai prima un papa aveva osato cambiare il rito romano a tal punto che poteva essere trattata da un papa successivo come se, a tutti gli effetti, fosse una nuova liturgia, non una revisione o una nuova edizione della stessa. Il dottor Joseph Shaw fornisce un argomento, basato sul linguaggio del motu proprio, per una decisiva messa al tappeto:

La Messa tradizionale è chiamata "antica [precedente, più vecchia] tradizione liturgica ": "traditio liturgica antecedens" (dall'articolo 5). Questa tradizione non è "espressa" dal Novus Ordo; se lo fosse, le persone attaccate ad esso sarebbero attaccate al Novus Ordo, che non è il senso del concetto. Al contrario, sembra che questa sia una tradizione liturgica "diversa": ce ne sono due, infatti, una più antica e una più nuova. Il fatto che ci sia qualche differenza importante tra la tradizione più antica e il Novus Ordo è sottinteso in modo ancora più evidente dall'affermazione del "Summorum Pontificum"che il Messale del 1962 non è mai stato abrogato (numquam abrogatam,Articolo 1). Normalmente ogni edizione del Messale Romano è sostituita dalla successiva; che questo fosse accaduto al Messale del 1962 era un argomento molto comune fatto dai canonisti prima del 2007, e questo era il motivo per cui si supponeva che le celebrazioni dello stesso richiedessero un indulto o un permesso speciale. "Summorum Pontificum" dice che questo "non è" accaduto. La spiegazione non è esplicitata nel documento, ma è abbastanza chiara: il Messale del 1970 non è semplicemente una nuova edizione del Missale Romano come tutte le precedenti (e, appunto, successive). È successo qualcosa di diverso: si trattava di un nuovo Messale, nel senso di un nuovo inizio, una nuova tradizione, e quindi non ha sostituito ed escluso ("abrogato") il precedente Messale. [7]

Si fa una smorfia al palpabile ossimoro di una "nuova tradizione", una nozione filosoficamente incoerente. [8]

Così, mentre Benedetto afferma che non ci sono contraddizioni e rotture, allo stesso tempo e in modo sorprendente, ammette la coesistenza di "due" forme canonicamente uguali dello stesso rito liturgico: una situazione senza precedenti e, per molti versi, incomprensibile. Come abbiamo visto, ci sono sempre stati molti "usi" diversi nella Chiesa latina, ma che l'uso di Roma dovrebbe essere così raddoppiato non si è mai visto prima. Può essere paragonato a un caso di disturbo dissociativo dell'identità o schizofrenia.

In realtà, come mons. Klaus Gamber ha sostenuto tanti anni fa in un libro lodato dal cardinale Ratzinger,[9] il rito moderno "non può" essere considerato come il rito romano o un suo uso, a prescindere da come lo voglia chiamare Paolo VI, Benedetto XVI o chiunque altro. Per svelare il significato di questa affermazione sarà necessaria una critica del modo inadeguato di teologizzare sulla liturgia che ha dominato l'Occidente per diversi secoli e ci ha impedito di riconoscere i nostri errori, pentirci delle nostre follie e ripristinare le nostre tradizioni autentiche.

Riduzionismo neoscolastico

La principale obiezione che può essere sollevata a qualsiasi pretesa di rottura tra il rito classico e il rito moderno sarà più o meno questa: "Tutte le differenze che stai indicando sono accidentali; dopotutto, se la consacrazione avviene, è il sacrificio di Cristo, e il resto è una vetrina ". Spesso riassunta nella banale affermazione "La Messa è la Messa, dopotutto", questa obiezione si fonda su una riduzione neoscolastica della liturgia eucaristica al momento della consacrazione. Questo riduzionismo astorico e razionalistico merita di essere rifiutato perché respinge il ruolo costitutivo della tradizione storicamente articolata nell'auto-rivelazione di Dio all'umanità. [10]Vizia ogni nozione di famiglie identificabili di riti derivati da chiese apostoliche, con testi, canti, gesti e cerimonie venerabili, tramandati all'interno di tradizioni teologiche, spiritualità e usanze irriducibilmente distinte che interpretano, arricchiscono e contestualizzano l'offerta sacrificale mentre istruisce e nutre i fedeli che vi prendono parte. "Tutto questo" – i riti, il loro contenuto specifico, la comprensione e il modo di vivere che li accompagna – meritano rispetto e conservazione religiosi, nel rispetto dei nostri predecessori e nella carità per noi stessi e per i nostri discendenti.

Nelle parole di Joseph Ratzinger:

Il "rito", quella forma di celebrazione e di preghiera che è maturata nella fede e nella vita della Chiesa, è una forma condensata di Tradizione vivente in cui la sfera che usa quel rito esprime tutta la sua fede e la sua preghiera, e quindi allo stesso tempo la comunione tra le generazioni diventa qualcosa che possiamo sperimentare, comunione con le persone che pregano prima e dopo di noi. Così il rito è qualcosa di benefico che viene dato alla Chiesa, una forma vivente di "paradosis" , la trasmissione della Tradizione.[11]

Il riduzionismo neoscolastico che definisce l'essenza della Messa come "avente una valida consacrazione" è una delle principali premesse del progressismo liturgico. In quasi tutte le conversazioni sul fatto e in che misura il rito della Messa possa o debba cambiare, il sostenitore della tradizione viene sfidato con: "Ma non puoi provare che il Novus Ordo [o qualsiasi liturgia sperimentale fabbricata] sia una cattiva cosa. Ha le parole di consacrazione". Se si adotta questa visione riduttiva della Messa, nulla rimarrà della liturgia "in quanto tale".

L '"essenza" sarà identificata con una particolare formula e atto di Dio, e la sostanza in cui risiede l'essenza, insieme ai molteplici accidenti mediante i quali l'essenza esprime il suo pieno significato e potere, andrà perduta. Sarebbe come definire l'uomo come il suo intelletto, piuttosto che come un composto corpo-anima di un dato sesso e di una data razza, esistente nello spazio e nel tempo. Simile alla persona umana, la liturgia è una composizione ilomorfa, non una consacrazione disincarnata. [12] Ancora una volta Ratzinger individua il problema con la sua consueta perspicacia, avvertendoci

"contro la strada sbagliata verso la quale potremmo essere guidati da una teologia sacramentale neoscolastica che è scollegata dalla forma vivente della liturgia. Su questa base, le persone potrebbero ridurre la "sostanza" al materiale e alla forma del sacramento e dire: il pane e il vino sono la materia del sacramento; le parole dell'istituzione sono la sua forma. Solo queste due cose sono realmente necessarie; tutto il resto è modificabile.... Finché ci sono i doni materiali e si pronunciano le parole dell'istituzione, tutto il resto è liberamente disponibile. Molti sacerdoti oggi, purtroppo, agiscono secondo questo motto; e le teorie di molti liturgisti vanno purtroppo nella stessa direzione. Vogliono superare i limiti del rito, come qualcosa di fisso e inamovibile, e costruire i prodotti della loro fantasia, che sono presumibilmente "pastorali", attorno a questo residuo, questo nucleo che è stato risparmiato e che quindi è relegato nel regno della magia o perde qualsiasi significato. Il Movimento Liturgico aveva infatti tentato di superare questo riduzionismo, prodotto di un'astratta teologia sacramentale, e di insegnarci a comprendere la Liturgia come rete vivente di Tradizione che aveva preso forma concreta, che non può essere lacerata in piccoli pezzi ma deve essere visto e vissuto come un tutto vivente. Chi, come me, è stato commosso da questa percezione al tempo del Movimento Liturgico alla vigilia del Concilio Vaticano II non può che stare, profondamente addolorato, davanti alle rovine delle stesse cose di cui si preoccupava".[13]

Poiché quasi tutti coloro che sono venuti al Concilio Vaticano II o che hanno lavorato per il Concilio erano stati educati su questo riduzionismo neoscolastico superficiale, si sono sentiti liberi di fare a pezzi e riconfigurare il rito romano purché siano mantenute le parole di consacrazione (più o meno ) intatte. A questo proposito vi erano tecnici di laboratorio impegnati da sempre ad ottenere il risultato di una Messa valida, ma non si sentivano eticamente legati a nessun particolare contenuto o processo. L'arroganza dei riformatori, infatti, non poteva fermarsi alla soglia del sancta sanctorum, ma arrivò addirittura a manomettere la formula della consacrazione del vino rimuovendo la frase "mysterium fidei" dall'interno, anche se queste parole furono sempre pronunciate in quel momento, fin da quando abbiamo registrazioni scritte della Messa, il che spiega perché San Tommaso d'Aquino nel XIII secolo poteva plausibilmente rivendicare per essa il pedigree apostolico. [14]

Ridurre la Messa a una valida consacrazione è come ridurre l'atto nuziale a una felice concezione di un figlio. Spero sinceramente che nessuno sia così sciocco da "definire" l'atto nuziale come la concezione di un bambino. L'atto nuziale è naturalmente "ordinato al" concepimento di un figlio, certo, ma ha una sua realtà, un suo significato, che comprende più del concepimento; è un'espressione dell'amore sponsale, che ha lo scopo di culminare in una nuova vita. Poiché, per istituzione di Dio, si suppone che la vita proceda dall'amore, "entrambe" le dimensioni – quella unitiva e quella procreativa – sono incluse nella definizione dell'atto. Se l'unico significato o valore dell'unione dell'uomo e della donna fosse uno zigote praticabile, la Chiesa non avrebbe motivo di opporsi alla fecondazione "in vitro". Allo stesso modo, la Messa è un microcosmo privilegiato di preghiera unitaria con una finalità eucaristica. La presenza della vittima sacrificale che deve essere il nostro cibo divino è concepita, per così dire, dalla liturgia nella sua totalità. Anche se la consacrazione avviene in un certo momento,[15] è stata preparata e sarà seguita da una manifestazione di amore che ci si addice per ricevere il Signore e gioire alla sua presenza. Quando ciò "non" accade, ci troviamo di fronte allo spettro di quella che potrebbe essere chiamata transustanziazione "in vitro" .

I tecnici di laboratorio, sembra suggerire Ratzinger, non solleverebbero obiezioni.

In sintesi, il problema con l'approccio riduzionista neoscolastico è che falsifica la realtà di un rito liturgico come incarnazione concreta della tradizione apostolica esistente nel corso della storia – una storia carica di significato e valore, che stabilisce una "lex credendi"cumulativa per le generazioni successive. Ai fedeli è permesso entrare in questa eredità a condizione che restino umili destinatari; il momento in cui osano presentarsi di fronte a un rito liturgico come suo maestro e possessore è il momento in cui rinunciano al diritto dei suoi frutti.

Ogni rito ha le sue caratteristiche profonde che lo rendono irriducibilmente se stesso. Nessuno si sognerebbe di definire la Divina Liturgia bizantina di San Giovanni Crisostomo "essenzialmente" una valida consacrazione, alla quale sono state attaccate una moltitudine di floride preghiere e inni per dare qualcosa da fare al popolo e ai diaconi. Allo stesso modo, nessuno con un minimo di senso potrebbe definire il rito romano della Messa a parte il Canone romano, che è la sua caratteristica distintiva, o insistere sull'inserimento di un'epiclesi esplicita quando non ne ha mai avuto uno e non ha bisogno di averne uno. Questi riti sono ciò che sono, e grazie a Dio per questo.

Cosa rende il rito romano stesso?

Senza dubbio, dobbiamo ricominciare da capo con domande migliori.

Non dovremmo chiederci: cos'è che fa accadere la transustanziazione, ma: cos'è che fa sì che una liturgia sia una liturgia "cristiana"? E ancora più importante, cosa fa sì che "questo" rito liturgico sia "esso stesso" -romano, ambrosiano, mozarabico, bizantino, siro-malabarese, ecc. – e nessun altro? Quando "queste" sono le domande che perseguiamo, troviamo ricche risposte che ci mostrano l'idoneità, la bella complessità e sufficienza, di ogni rito di derivazione apostolica, e quindi, espongono la natura anti-liturgica, anti-rituale e, in definitiva, anti-cattolica. della riforma liturgica postconciliare.

Ovviamente ci sono elementi sempre meno centrali in un dato rito; il nostro elenco potrebbe essere più lungo o più breve a seconda di quanto sia generica o dettagliata una considerazione che facciamo. Alcune cose possono appartenere all'identità centrale di un certo rito e tuttavia non essere limitate a quel rito, essendo presenti anche in molti altri riti o anche in tutti i riti cristiani tradizionali.[16] Che cosa dunque appartiene alla "personalità", l'identità o nucleo interiore, del rito romano?

Propongo almeno nove elementi cruciali: (1) il Canone Romano; (2) l'uso del latino; (3) canto gregoriano; (4) il lezionario; (5) il calendario; (6) l'Offertorio; (7) la posizione "ad orientem"; (8) parallelismo dell'azione liturgica; (9) la comunione separata del sacerdote. I primi sei sono, nel contenuto, specifici del rito romano, sebbene tutti i riti tradizionali, orientali e occidentali, abbiano le loro versioni analoghe; mentre gli ultimi tre di questi elementi, che descrivono non tanto il contenuto quanto il modo di adorare – l'orientamento verso est, il parallelismo di azione e la comunione separata del sacerdote – si trovano in "tutti"i riti liturgici tradizionali. Questi tre meritano di essere inclusi qui perché anch'essi distinguono nettamente il rito romano dal suo impostore moderno.

Mi dilungherò un po 'su ciascuno di questi elementi.

Primo e più importante, il Canone Romano, unica anafora di tutti gli usi del rito romano per 1.500 anni, che risale nei suoi elementi ai primi secoli  La connessione tra questa anafora e questo rito è così monolitica che possiamo tranquillamente formulare la regola: dove c'è il rito romano, ci sarà necessariamente il Canone romano; e – al di fuori del caso speciale della diocesi di Milano [17] – dove c'è il Canone romano, c'è il rito romano. Nessun canone romano, nessun rito romano.

In secondo luogo, l'uso della lingua latina, che iniziò nel IV secolo, quando papa Damaso prese l'importante decisione di trasferire la liturgia di Roma dal greco al latino. Invece di riferirsi a questo passaggio come alla "vernacolarizzazione" della liturgia (come fanno tendenziosamente i liturgisti moderni [18]), sarebbe molto più accurato chiamarlo "occidentalizzazione" o anche "romanizzazione" della liturgia, quando ha cessato di essere legato al mondo greco antico ed è stato saldamente impiantato nel mondo romano poiché si era sviluppato in contraddizione con l'Oriente. [19]Da questo momento in poi, le liturgie occidentali rimarranno in latino per oltre 1.500 anni, come si conviene a una cultura e una civiltà che hanno sempre mantenuto un'unità fondamentale nella sua meravigliosa varietà. (Così parliamo in modo significativo delle lingue "romanze" e dell'America "latina".) L'uso di un'unica lingua di culto in tutta la sfera del cattolicesimo romano rifletteva la sua unità e la influenzava continuamente: esprimeva una vera comunanza e dava la propria impronta alle persone ovunque vivevano e qualunque volgare parlassero. [20]

Terzo, la "veste" liturgica del canto gregoriano, che non è una semplice aggiunta o ornamento, ma la liturgia cantata, la liturgia nei toni, nei ritmi e nelle cadenze. Il canto sta alla liturgia come ossa delle sue ossa, carne della sua carne. I canti propri e ordinari scandiscono la forma del rito, ne riempiono il contenuto, ne sostengono la spiritualità e ne garantiscono la sostanziale continuità da un'epoca all'altra della Chiesa. Senza la presenza non negoziabile del canto gregoriano nella liturgia cantata, e senza un corpo identificabile e stabile di testi cantati per Introiti, Graduali, Alleluie, Trattati, Offertori e Comunioni, possiamo tranquillamente concludere che non stiamo più seguendo il Romano rito. [21]

Quarto, il ciclo di letture, vale a dire le lezioni e i vangeli della Messa. [22] Questo è un argomento su cui molto è stato scritto negli ultimi anni; qui è sufficiente notare che il lezionario romano, venerabile nella sua antichità e universalità quasi quanto il Canone romano, fu soppiantato dalla novità di un lezionario pluriennale costruito da "esperti" per il Messale di Paolo VI. Il vecchio e il nuovo lezionario hanno pochissima sovrapposizione, come ha dimostrato Matthew Hazell .

Quinto, il calendario, con i suoi particolari gruppi di santi romani e il suo ritmo di domeniche, giorni santi, giorni di brace e di rogazione, veglie, ottave e stagioni, tra cui Epifanitide, Settuagesimatide, Passione, Ascensione, gli otto giorni di Pentecoste e La domenica dopo la Pentecoste. È vero che il calendario ha avuto uno sviluppo lungo, ma non c'è dubbio che si sia sviluppato organicamente in certi modi tipicamente romani, che erano sempre stati conservati fino a quando varie riforme del XX secolo hanno mutilato il calendario quasi riconoscimento del passato, a cominciare dall'abolizione della maggior parte delle ottave e delle veglie di Pio XII nel 1955 e si conclude con l'imposizione di un nuovo calendario nel 1969.[23]

Sesto, il grande Offertorio della Messa, che ebbe origine nel Medioevo (la sua preghiera più antica, Suscipe, Sancta Trinitas, essendo apparsa nel Sacramentario di Echternach dell'895 d.C.). Con "Offertorio" qui intendo ovviamente un vero e proprio Offertorio caratterizzato dalla prolepsi  [24] in cui l'immolazione sacramentale della vittima è anticipata in un linguaggio oblativo che mette da parte i doni solo per uso sacro e stabilisce fermamente l'intenzione del sacerdote di offrire un sacrificio espiatorio per l'onore e la gloria della Santissima Trinità. Prese "in blocco" , le preghiere dell'Offertorio Romano sono uniche. [25]L'autentico offertorio romano è profondamente in accordo con il genio del rito ed è stato universalmente accolto e mantenuto inflessibilmente. Alla luce del principio dello sviluppo organico, può essere paragonato a un ramo innestato con successo in un albero in modo che perda ogni estraneità e diventi una parte importante dell'organismo fiorente. La sua rimozione nel 1969 non fu come un taglio di capelli ma come l'amputazione di un braccio o di una gamba; la sua sostituzione – una presentazione quasi ebraica di doni, in cui vengono richiamate alla mente le loro origini divine, naturali e umane, e il popolo risponde con una generica acclamazione – è come nulla si è mai visto nella storia liturgica cristiana.

Settimo, la posizione "ad orientem". Non abbiamo modo di sapere quanto presto questa posizione sia diventata normativa, ma sappiamo che nel momento in cui la Chiesa è emersa dalla persecuzione a favore dello Stato romano, era diventata una pratica universale in Oriente e in Occidente, cosa che non sarebbe mai potuta accadere se non fosse di origine apostolica, come affermavano i Padri della Chiesa. [26] Appartiene alla configurazione originaria di tutti i grandi riti storici del cristianesimo. Senza di essa, una liturgia non è più in effettiva continuità con la tradizione apostolica, per quanto possa godere di una validità tecnica del tipo riduttivo accennato in precedenza.

Ottavo, parallelismo dell'azione liturgica. Proprio come l'orientamento verso est si trova in tutte le liturgie della cristianità orientale e occidentale, lo è anche la presenza di azioni simultanee su più livelli da parte di diversi ranghi di clero e laici. Poiché la liturgia è un atto di Dio nell'uomo e dell'uomo verso Dio, piuttosto che un'attività umana diretta al popolo, le sue preghiere e i suoi rituali spesso non sono destinati ad essere visti o ascoltati dalla congregazione, ma sono offerti direttamente a Dio. La liturgia tradizionale non è lineare, discorsiva e modulare, ma circolare, intuitiva e organica. C'è una progressione dall'inizio alla fine, ma è il progresso di un popolo differenziato verso una città celeste, cioè l'immagine di una società gerarchica che si muove verso il suo esemplare. Il rito moderno è sequenziale, come un'agenda per un incontro di lavoro (in altre parole, di solito si suppone che accada solo una cosa in un dato momento e l'attenzione di tutti dovrebbe essere fissata su di essa); il rito classico costruisce strati su strati di azioni, fatte per gli occhi e le orecchie di Dio.[27] Quello è un cerchio chiuso, razionale e prolisso, in cui qualcuno è sempre responsabile; l'altro è eccentrico, estatico, super-razionale, in cui molti sono impegnati nel loro lavoro e nessuno si oppone al gruppo.

Nono, la comunione del sacerdote prima e in modo cerimonialmente differenziato da quella del popolo. La sua comunione è "richiesta" per il completamento del sacrificio; la gente è desiderabile ma facoltativa. Ancora una volta vediamo lo stesso tipo di distinzione tra comunione clericale e comunione laicale in tutti i riti tradizionali. Esprime la verità dogmatica che il sacerdote agisce in persona "Christi capitis" in virtù di un carattere sacramentale del sacerdozio che lo distingue gerarchicamente al di sopra dei semplici battezzati. [28]

Va da sé che una liturgia è molto più di una raccolta di testi in un libro, la cui ortodossia dottrinale si potrebbe valutare in un vuoto filosofico. Una liturgia comprende le melodie del canto i cui i testi sono stati cantati, secolo dopo secolo; include paramenti, cerimonie, gesti, posture, azioni. Ad esempio, la celebrazione della liturgia "ad orientem" fa parte della sua natura, parte dell'insieme di simboli che costituiscono il rito; non è un incidente superficiale, indifferente. Una liturgia "versus populum" sarebbe una liturgia diversa anche se i testi fossero gli stessi.

Il rito moderno non è il rito romano

Ora, non può sfuggire a nessuno che, in relazione a tutti gli elementi precedenti, il rito moderno di Paolo VI è un sorprendente allontanamento dal rito romano. È "possibile" che venga celebrato in un modo che segue alcuni dei precedenti del rito, ma è altrettanto possibile che venga celebrato in un modo che è in contrasto con "tutti" loro. Un grandissimo numero di celebrazioni, certamente la stragrande maggioranza, sono in contrasto con la tradizione romana, perché

– il Canone Romano non viene utilizzato;

– La messa non è offerta in latino;
– i testi liturgici non vengono recitati o cantati; ad esempio, le Proprie e l'Ordinario sono assenti, mutilate o consegnate in modo non coerente con le loro origini;
– si impiega il lezionario pluriennale, che novità di novità;
– viene seguito un calendario fortemente ridotto;
– manca l'offertorio tradizionale;
– La messa non è detta "ad orientem";
– la liturgia è sequenziale, segno sicuro dell'influenza del razionalismo illuminista;
– le comunioni del sacerdote e dei fedeli sono fuse.

I fautori del "mutuo arricchimento" o della "Riforma della riforma" potrebbero obiettare che sto raffigurando lo scenario peggiore. Sicuramente, se il Novus Ordo fosse celebrato "ad orientem" con il Canone Romano e cantato Ordinario e Propri, non avremmo un rito che sia riconoscibilmente romano? La mia risposta è che avrebbe "alcune" delle apparenze del rito romano, ma non l'essenza interiore, per due ragioni. In primo luogo, favorirebbe ancora il sequenziale rispetto al parallelo, mancherebbe ancora un vero e proprio Offertorio, e seguirebbe ancora sia un nuovo calendario che un lezionario romanzato. In secondo luogo, e soprattutto, raggiungerebbe queste apparenze di continuità solo per mezzo della "scelta" del celebrante. Cioè, la sua continuità sarebbe "voluta" come possibile realizzazione piuttosto che ricevuta come necessaria regola di preghiera. In questo modo l'azione liturgica resta il prodotto volontaristico dei suoi fruitori, anche se i suoi "esterni" sono stati mutuati dalla tradizione romana con gusto impeccabile. Si potrebbe anche trattare questo argomento in un modo leggermente diverso: poiché il messale moderno consente non solo il Canone romano ma anche forme di vita aliene come le "Preghiere eucaristiche per la riconciliazione", dobbiamo giudicare il messale moderno dalle deviazioni che ufficialmente consente, non per l'illusione della continuità che può sostenere nelle mani generose degli oratoriani. Questa è semplicemente un'applicazione del proverbio secondo cui una catena è forte solo quanto il suo anello più debole.[29]

Un altro modo di vedere la stessa verità è esaminare il materiale eucologico dei messali, in particolare il contenuto delle orazioni (raccolte, segreti e postcomunioni). Secondo uno studioso, solo il 17% delle orazioni del vecchio "Missale Romanum" è sopravvissuto immutato nel messale di Paolo VI. Riflettiamo un momento. Se il mio corpo avesse perso il 20% delle sue parti, potrei essere ancora vivo, purché quelle parti fossero arti esterni; ma se il mio corpo perdesse l'83% delle sue parti, non esisterei più. Una liturgia che ha perso l'83% del suo materiale eucologico non è più lo stesso rito del suo predecessore; è un'entità diversa. Oppure si potrebbe argomentare dall'analogia del DNA. Niente in un rito liturgico è semplicemente "esterno", non più di quanto il viso, la voce o il colore della pelle di una persona siano semplicemente esterni. Queste cose sgorgano dal nostro DNA, che trasporta le istruzioni dettagliate con cui sono prodotte. [30] Se facessimo un profilo forense del DNA delle "due forme" del rito romano, troveremmo che sono gemelli fraterni? Un tribunale potrebbe stabilire la parentela?

Inoltre, non farebbe differenza anche se ogni preghiera incorporata di recente nel Novus Ordo fosse stata presa alla lettera da qualche antico sacramentario. (Naturalmente, non è così: quasi nulla è stato lasciato inedito, il linguaggio "negativo" o "difficile" è stato sistematicamente rimosso o smorzato e molti elementi particolari sono stati fabbricati da zero. Ma assumiamo la premessa per amore dell'argomentazione). Ci sarebbe "ancora" rottura e discontinuità con la Chiesa in preghiera, con la Chiesa reale incarnata così come esisteva ed esiste, con la sua "lex orandi",con le attuali disposizioni dello Spirito Santo. Ci sarebbero ancora le devastazioni di un antiquarismo artificioso e arbitrario; ci sarebbe ancora il rigetto della liturgia maturata nella vita di fede della Chiesa. Anche in questo scenario migliore, potremmo condannare una riforma come inappropriata, non cattolica, non tradizionale, non romana. Quello che è successo nel mattatoio del Concilio è stato, in realtà, quasi lo scenario peggiore, non il migliore.

A questo punto, potremmo anche "tirare un Michael Davies" e fare appello al fatto ben documentato che coloro che erano più strettamente coinvolti nella riforma liturgica non hanno fatto alcun tentativo di nascondere la loro gioia (Bugnini, Marini, Braga, Gelineau, et al. .) o il loro dispiacere (Bouyer, Martimort, Antonelli) per il ritiro e la sostituzione del rito romano classico, mentre coloro che hanno amato profondamente questo rito (Lefebvre, Gamber, Dobszay, et al.) hanno deplorato l'evidente rottura e discontinuità dei nuovi libri liturgici. Martin Mosebach commenta:

Nessuno che abbia occhi e orecchie sarà persuaso a ignorare ciò che i suoi sensi gli dicono: queste due forme sono così diverse che la loro unità teorica appare del tutto irreale. È mia esperienza che i pro e i contro della "riforma di massa" nella Chiesa in realtà non possono essere discussi in modo spassionato. Le parti opposte su questa questione si sono a lungo affrontate con risolutezza altrettanto inconciliabile e fissa: non si può discutere. Chi si rifiutava di accettare che quello che era stato "tutto" adesso non fosse più "niente" formava un minuscolo cerchio: nelle parole del teologo Karl Rahner si trattava di "tragicomici fallimenti umani periferici". Furono presi in giro e allo stesso tempo considerati altamente pericolosi.[31]

Mettere a letto il mito

Questo per quanto riguarda il mito delle "due forme di un rito romano". [32] Quando i cattolici romani assistono al Novus Ordo, ricevono una messa, ma non la messa di rito romano. Stanno ottenendo quello che Klaus Gamber chiamava "il rito moderno", la cui genesi e portata sono ben descritte dal liturgista John F. Baldovin:

L'attuazione della riforma, sotto la tutela di Bugnini e coinvolgendo decine di esperti nel campo della storia, della teologia e della pratica pastorale, ha portato alla completa vernacolarizzazione della liturgia, al riorientamento del ministro presiedente nei confronti dell'assemblea, un ampia e radicale riforma dell'ordine della Messa, e una profonda revisione dell'anno liturgico, per non parlare di una revisione completa di ogni liturgia sacramentale e della preghiera liturgica quotidiana.[33]

Vale la pena notare che Baldovin non è affatto un oppositore della riforma, quindi non intende, in modo polemico, esagerare i cambiamenti postconciliari. Le sue ricerche supportano l'affermazione letta in conferenza stampa il 4 gennaio 1967 dal già citato Annibale Bugnini:

Una riforma del culto cattolico non può essere realizzata in un giorno o in un mese, né in un anno. Non si tratta semplicemente di ritoccare, per così dire, un'opera d'arte inestimabile; in alcune zone, interi riti devono essere ristrutturati "ex novo". Certamente questo comporta il ripristino, ma alla fine lo chiamerei quasi un rifacimento e in certi punti un nuovo creare. Perché un lavoro così radicale? Perché la visione della liturgia che il Concilio ci ha dato è completamente diversa da quella che avevamo prima. . . . Non stiamo lavorando a un pezzo da museo, ma miriamo a una liturgia viva per le persone vive dei nostri tempi.[34]

La mentalità al lavoro è opportunamente infilzata da Louis Bouyer: "Se c'è una fantasia che assorbe noi moderni, è quella del puro futuro. Ci piacerebbe credere che il futuro, un futuro libero e creativo, è tutto, e per entrarci siamo preparati allegramente a sacrificare tutto il nostro passato ". [35] O, come il vescovo Robertus Mutsaerts di Hertogenbosch ha detto più succintamente: "Vogliamo essere rilevanti, apparentemente, a scapito della nostra identità".[36]

Indipendentemente dal fatto che sia "simpatico" o "antipatico"questo moderno rito, dovremmo almeno accettare di non chiamarlo il rito romano. Definire qualcosa che è, che non è un abuso di linguaggio, che deriva da un abuso di potere e lo perpetua ulteriormente. [37] Chiamare qualcosa ciò che non è, rafforza solo la mentalità relativistica della nostra epoca, che ritiene che ciò che può essere "pronunciato" corrisponda a qualcosa di reale. Uno è nutrire l'illusione che il potere di pronunciare le parole "2 + 2 = 5" renda vera l'affermazione! [38] Come afferma il filosofo Charles De Koninck:

Si possono dire e scrivere cose che non si possono pensare. Si può dire: "È possibile essere e non essere nello stesso tempo e nello stesso rispetto"; "La parte è maggiore del tutto", sebbene non si possano pensare cose del genere. Tuttavia, sono frasi grammaticalmente corrette. Potere trascendente del linguaggio: si può dire sia il pensabile che l'impensabile ... Posso dire: "Io non esisto". E con questo, posso trovare "io esisto" sul puro non essere. Lo dico io! Chi mi fermerà? [39]

Vediamo quanto sia reale ed esteso il danno causato dalla mentalità del riduzionismo neoscolastico. È l'unica atmosfera in cui potrebbe essere nata l'impresa oltraggiosa di creare un rito moderno negli anni '60. La stessa mentalità si è, nel tempo, propagata anche ad altri ambiti della vita cattolica. Ad esempio, il fatto che la gente oggi si chieda se adulteri e sodomiti possano ricevere la Santa Comunione, come se la risposta non fosse già ovvia dalla tradizione cattolica, mostra che la Santissima Eucaristia è stata ridotta nella mente di molti a un mero segno di appartenenza, derrata alimentare. per la "tavola dell'abbondanza", non un mistero soprannaturale che richiede il pieno impegno della propria mente, cuore, anima e forza per Gesù Cristo realmente presente, contro il quale si pecca mortalmente ricevendolo indegnamente. [40] Tale riduzionismo morale e disciplinare non sorprende, tuttavia, sullo sfondo dell'ondata di riduzionismo liturgico precedente, il cui "figlio manifesto" è la rimozione dal nuovo lezionario dell'avvertimento di san Paolo contro le comunioni indegne in 1 Corinzi 11 : 27–29, che, al contrario, era e viene letto almeno tre volte all'anno nel tradizionale rito romano. [41] La nostra epoca ha fornito una dimostrazione quasi scientifica dell'assioma "lex orandi , lex credendi, lex vivendi.

È più che mai necessario che i cattolici lavorino per due grandi beni che stanno o cadono insieme: il recupero di una sana teologia eucaristica e il ristabilimento dell'attuale rito romano della Messa. [42] Buona teologia e liturgia autentica lavorano insieme per svelare agli occhi della fede la presenza di Nostro Signore Gesù Cristo in "tutta" la liturgia e, soprattutto, nel miracolo dell'ostia e del calice, in modo che i cattolici possano sperimentare ancora una volta la terribile bellezza e la gioia stimolante di comunione eucaristica, e si adopererà per ordinare le nostre vite e le nostre società secondo le Sue esigenze.

Positivismo contro tradizione

Il divario fondamentale oggi è tra una comprensione positivistica e una comprensione tradizionale di ciò che è la liturgia e di ciò che la costituisce "come" liturgia. Se adotti il positivismo, puoi ingoiare il Novus Ordo o qualsiasi cosa ti venga lanciata, purché sia fatta dalla cosiddetta "autorità legittima". Se aderisci alla tradizione, come dovrebbero fare i cattolici per definizione, non sarai mai in grado di accettare il Novus Ordo come un uso legittimo del rito romano, anche se dovrai soffrirne per adempiere al tuo obbligo di Messa.

Una volta ho visto un cartellone pubblicitario lungo un'autostrada. Aveva i nomi di un gruppo di denominazioni cristiane stampati dappertutto in lettere più piccole, e poi nel mezzo, a grandi lettere: "Qual è il vero Gesù?" (Evidentemente, il numero verde aveva lo scopo di metterti in contatto con il vero Gesù, o almeno con coloro che presumevano di parlare per Lui.) Poi ho iniziato a pensare a un cartellone simile che avrebbe avuto su un mucchio di riti liturgici, antichi, nuovi e immaginari, con "Qual è la vera liturgia?" stampato su di esso. Non abbiamo un numero verde da chiamare, quindi come facciamo a sapere qual è la vera liturgia? Come potremmo saperlo, a parte la tradizione? Anche il papato è qualcosa contenuto e tramandato dalla Tradizione. Se una liturgia non è riconducibile passo dopo passo in secoli di graduale sviluppo, possiamo riconoscerla come una rottura, un costrutto, un'impostura, non una vera liturgia nel pieno senso della parola.

Sebbene sia ancora sussurrata piuttosto che proclamata ad alta voce, questa valutazione negativa sta diventando sempre più diffusa tra i cattolici premurosi – che stanno agendo in base a essa. Ad esempio, il numero di luoghi che sono tornati silenziosamente alla Settimana Santa precedente al 1955 è un aumento sorprendente che si poteva a malapena immaginare dieci o quindici anni fa. Il Summorum Pontificum ha avviato una riforma i cui principi logici ricondurranno a prima dei tempi di Pacelli e Bugnini.

Dobbiamo, infatti, tornare indietro. A differenza della modernità, il cristianesimo non si basa sulla presunta verità evidente che dobbiamo sempre "andare avanti". La fede cristiana è una tensione permanente tra, da un lato, la memoria – hoc facite in meam commemorationem, indugiando sulla vita di Nostro Signore ed entrando nei misteri transtemporali della sua vita reale, incarnata, storica, preservando ad ogni passo il nostro legame con ciò che è stato tramandato – e, d'altra parte, guardando avanti non a un futuro fatto dall'uomo ma alla seconda venuta di Cristo dall'Oriente. La nozione moderna di progresso è estranea al cristianesimo, persino antitetico ad esso. Come credenti, ci sforziamo sempre di essere "uguali" al nostro passato, di esserne umili e riconoscenti eredi; non siamo "migliori" del nostro passato, non dobbiamo mai pensare di essere migliori, altrimenti saremo colpevoli del peccato di orgoglio. Allo stesso tempo, ci sforziamo di prepararci per la venuta del Signore e l'istituzione di nuovi cieli e di una nuova terra, che è la "Sua" prerogativa, non il "nostro"prodotto. Questa continua preparazione o ricettività mediante la quale permettiamo che il suolo della nostra anima sia coltivato e seminato con la donazione della fede cristiana è ciò che ci fa portare frutto – trenta, sessanta, cento volte – in più che riceviamo e poi trasmettiamo ciò che abbiamo ricevuto, arricchito di qualunque offerta il Signore ci ha permesso di aggiungervi. Uno sviluppo fruttuoso è certamente possibile, ma solo a condizione di fedeltà, riverenza e timore reverenziale verso la nostra eredità.

I riformatori liturgici rigettarono molte preghiere (es. L'Offertorio) come inutili aggiunte; li consideravano inutili o addirittura errati e quindi dannosi. Questo atteggiamento e le azioni a cui ha condotto sono riprovevoli; anzi, bisogna definirli una bestemmia contro lo Spirito Santo. Sono certamente un insulto a Nostro Signore, un insulto che ha punito nella sua amorevole giustizia facendo visitare il Novus Ordo da uno spirito di narcisismo, aridità e noia, un'incredibile mancanza di fecondità e una spaventosa carenza di vocazioni sacerdotali e di vite religiose, in proporzione al numero e alle esigenze dei cattolici. Agli amanti e agli odiatori della tradizione liturgica si possono applicare appropriatamente le parole del salmista: "Con il santo sarai santo; e con l'uomo innocente sarai innocente. E con gli eletti sarai eletto: e con il perverso sarai pervertito. Poiché tu salverai il popolo umile; ma abbatterai gli occhi dei superbi "(Sal 17: 26–28). Il fatto che le vocazioni e le famiglie numerose abbondano ovunque fiorisca la liturgia tradizionale dovrebbe "essere" motivo sufficiente per un riesame radicale dell'intero approccio degli ultimi sessant'anni, con la sua vana ricerca di attualità contemporanea. L'abuso di potere, come l'abuso del linguaggio che lo avvolge e lo igienizza, non può durare a lungo; è come un uomo seduto su un albero, che sega il ramo su cui è seduto. Se il Signore vuole che la Chiesa persista in questo mondo, deve venire un tempo in cui la tradizione è rivendicata e il progetto di modernizzazione è esposto come lo stratagemma satanico che è sempre stato.

Vengo, ora, a diverse conclusioni.

Non è l'autorità di ogni Papa che fa la liturgia della Chiesa "essere" la liturgia della Chiesa stessa. L'autorità papale può stabilire l'edizione di un libro liturgico per motivi di unanimità d'uso, ma è la "tradizione" che fa una liturgia essere se stessa. Sappiamo che questo è vero perché i cristiani celebravano le loro liturgie da oltre 1.500 anni prima che un papa legiferasse un messale. Il fatto che San Pio V abbia legiferato un messale rivisto nel 1570 non significa che i papi abbiano sempre implicitamente l'autorità di istituire o revocare la liturgia a loro capriccio o che, dopo il 1570, abbiano esplicitamente l'autorità di farlo. San Pio V stava codificando un "esistente" rito apostolico, con piccole modifiche che riteneva pastoralmente necessarie. Non si trattava di una rifusione totale del rito da zero; nessuno si sarebbe mai sognato una cosa del genere. Era letteralmente impensabile, e tale rimane. Come scrive Michael Fiedrowicz:

Anche la massima autorità della Chiesa non può cambiare a suo piacimento l'antica e venerabile liturgia della Chiesa. Ciò significa abuso di potere (abusus potestatis). L'autorità della bolla di promulgazione "Quo Primum" è soprattutto fondata sul fatto che qui un papa regolava la liturgia nell'esercizio della pienezza del suo potere papale e in completo consenso con il voto di un concilio ecumenico, e inoltre, l'ha fondato secondo la tradizione ininterrotta della Chiesa romana, nonché – per quanto riguarda le parti fondamentali del Messale – secondo la Chiesa universale. Soprattutto, il fatto che il "Missale Romanum" del 1570 doveva essere la più perfetta espressione liturgica dell'insegnamento cattolico sull'Eucaristia, come il Concilio di Trento l'aveva sempre definito contro gli errori protestanti, è un argomento significativo che lo stesso Messale, così come la definizione dogmatica di Trento, dovrebbe rimanere sostanzialmente invariato per sempre.[43]

Quello che fece Paolo VI fu "ultra vires papae", oltre la legittima autorità del papa. [44] Ha creato una pseudoliturgia o paraliturgia che assomiglia al rito romano; in nessun senso ha "rivisto il rito romano".  Ha " sostituito" il rito romano con un nuovo rito che mantiene la validità sacramentale ma manca di onorevole parentela. Deve essere considerato un servizio di preghiera con una consacrazione, che confeziona il Corpo di Cristo in modo straordinario e non come il punto culminante di un autentico rito liturgico storico di derivazione apostolica. In questo senso, sarebbe stato molto più corretto chiamare il Messale di Paolo VI la "forma straordinaria" e il Messale di Giovanni XXIII la "forma ordinaria", poiché quest'ultima è ancora largamente in continuità con le precedenti edizioni del messale, mentre il primo non rientra in questa tradizione messale. La Messa tradizionale è un vero rito liturgico, con tutte le qualità o proprietà necessarie per meritare quel titolo distinto;

Come tutta la Chiesa, anche il papa "riceve" la liturgia in eredità; e anche se si suppone che conservi e difenda la dottrina nella fede e nella morale, così, e proprio per la stessa ragione, dovrebbe conservare e difendere i riti liturgici. Quindi, la differenza tra Pio V e Paolo VI si riduce a questo: Pio V "riconosceva" un rito come quello della Chiesa, mentre Paolo VI cercava di "costituire" un rito come quello della Chiesa. Spetta alla Chiesa "regolare" i riti, ma non "creare" riti, come riconosce Joseph Ratzinger:

Dopo il Concilio Vaticano II, è nata l'impressione che il Papa potesse davvero fare qualsiasi cosa in materia liturgica, soprattutto se agisse su mandato di un Concilio ecumenico. Alla fine, l'idea di una liturgia "data", il fatto che non si può farne ciò che si vuole, è svanita dalla coscienza pubblica dell'Occidente ... L'autorità del papa è legata alla Tradizione della fede, e questo vale anche per la liturgia. Non è un "prodotto" delle autorità.... L'autorità del papa non è illimitata; è al servizio della Sacra Tradizione. [45]

Ermeneutica pentecostale

Questo mi porta ad una ampia tesi finale. Il Concilio Vaticano II è stato annunciato come una "nuova Pentecoste". [46] Ma una nuova o una seconda Pentecoste è impossibile. La Pentecoste è il mistero dell'identità e della vitalità della Chiesa lungo tutte le epoche fino al ritorno di Cristo nella gloria; La Pentecoste non è un evento umano come uno spettacolo pirotecnico del 4 luglio, ripetibile a piacimento, ma un dinamismo permanente, espresso nella perenne freschezza della liturgia su cui "lo Spirito Santo... cova con petto caldo e con "ali luminose", [47] ricordato calorosamente in tutte quelle domeniche dopo Pentecoste che riempiono di verde brillante l'autentico calendario romano. L'abate Ansgar Vonier non riesce a trovare parole abbastanza forti per portare a casa questa verità:

L'avvento dello Spirito è completo alla prima Pentecoste come lo sarà la venuta del Figlio di Dio nella gloria del Padre alla fine del mondo.... È a causa di questa misura piena di presenza Pentecostale che si dice veramente che il Regno di Dio sia con noi su questa terra, perché lo Spirito dimora con noi nella pienezza della Sua divinità, non con un'economia transitoria e provvisoria ... Nessuno è mai venuto con una tale completezza come lo Spirito; nessuno è mai arrivato con una tale determinazione a restare per sempre come ha fatto il Paraclito. Perché è nella natura stessa della Sua venuta che Egli debba dimorare.... Venne finalmente, totalmente, permanentemente, stabilendo il Regno di Dio di cui non ci sarà fine.... La finalità dell'avvento dello Spirito è una delle verità cardine che fanno del Cattolicesimo quello che è.[48]

Ci può essere una nuova Pentecoste solo se quella vecchia ha fallito; e allo stesso modo, può esserci una nuova liturgia solo se quella vecchia è fallita. [49] Se può esserci una nuova Pentecoste, può esserci una nuova forma di cattolicesimo, con nuove dottrine, nuova moralità, una nuova liturgia, per una nuova umanità in una nuova creazione – tutte cose che possono essere apertamente in conflitto con la loro vecchie controparti.

Martin Mosebach diagnostica in modo eloquente il problema:

Lo "spirito del Concilio" ha cominciato a essere giocato contro il testo letterale delle decisioni conciliari. Disastrosamente, l'attuazione dei decreti conciliari fu coinvolta nella rivoluzione culturale del 1968, scoppiata in tutto il mondo. Quella era certamente l'opera di uno spirito, anche se solo di uno molto impuro. Il sovvertimento politico di ogni tipo di autorità, la volgarità estetica, la demolizione filosofica della tradizione non solo devastò università e scuole e avvelenò l'atmosfera pubblica, ma allo stesso tempo si impossessò di ampi circoli all'interno della Chiesa. La sfiducia nella tradizione, l'eliminazione della tradizione, ha cominciato a diffondersi dappertutto, all'interno di un'entità la cui essenza consiste totalmente nella tradizione, tanto che si deve dire che la Chiesa non è nulla senza tradizione. Così la battaglia post conciliare che ha operato rotture in molti campi contro la tradizione non è altro che un tentativo di suicidio della Chiesa – un processo letteralmente assurdo e nichilista.

Tutti possiamo ricordare come vescovi e professori di teologia, pastori e funzionari di organizzazioni cattoliche proclamarono con tono fiducioso e vittorioso che con il Concilio Vaticano II era giunta sulla Chiesa una nuova Pentecoste, che nessuno di quei famosi Concili della storia che avevano plasmato lo sviluppo della Fede aveva mai affermato. Una "nuova Pentecoste" non significa niente di meno che una nuova illuminazione, forse una che supererebbe quella ricevuta duemila anni fa; perché non passare immediatamente al "Terzo Testamento"  da "Educazione del genere umano" di Gotthold Ephraim Lessing? Agli occhi di queste persone, il Vaticano II ha significato una rottura con la Tradizione così come esisteva fino ad allora, e questa rottura è stata salutare. Chi lo avesse ascoltato avrebbe potuto credere che la religione cattolica avesse trovato realmente se stessa solo dopo il Vaticano II. Si suppone che tutte le generazioni precedenti, a cui noi che siamo qui dobbiamo la nostra fede, siano rimaste in un cortile esterno dell'immaturità. [50]

Quello che abbiamo visto negli ultimi sei decenni è un goffo risveglio dell'eresia gioachimita medievale con cui la Chiesa sarebbe entrata nella terza e ultima era, una nuova era dello Spirito, che lascia dietro di sé l'Antica Alleanza del Padre, rappresentata dalle tavole del decalogo e dei sacrifici animali, e la Nuova Alleanza del Figlio, rappresentata dalla congiunzione costantiniana di Chiesa e Stato e dal Santo Sacrificio della Messa. La nuova era ecumenicamente e interreligiosamente "va oltre" i comandamenti, la cristianità e la tradizione di adorazione divina. Con la riforma liturgica di Paolo VI andiamo oltre la tradizione liturgica ereditata; con gli incontri di Assisi di Giovanni Paolo II, andiamo oltre la differenza assoluta tra la vera religione e le false religioni; con l' Amoris Laetitia di Francesco, ci muoviamo oltre i rigidi confini del Decalogo e dei Vangeli.

Così tante e così grandi novità equivalgono a una nuova religione, e una nuova religione è una falsa religione. I tratti peculiari della "nuova Pentecoste" o "nuova primavera" sono manifestazioni di un'eresia neo-gioachimita incompatibile con il cattolicesimo confessionale. Il crollo della Chiesa nei nostri tempi è stato il segno divino di disapprovazione per l'abbandono deliberato e l'allontanamento passivo dalla Scrittura, dalla Tradizione e (sì) dal Magistero, in questi decenni in cui l'amnesia ha sostituito l'anamnesi e il sacrilegio ha soppiantato la sacralità. Per quanto ovvio sia stato il collasso – e minaccia di diventare sempre più sconvolgente ogni anno che passa – molti sono gli occhi ciechi e le orecchie sorde che non registrano nient'altro che un interesse istituzionale, un ristretto "sensus fidei" mediante il quale possono discernere tra ortodossia ed eterodossia, il retto culto e le sue deviazioni. [51] Come ha notato uno scrittore online:

È la generale inaffidabilità di gran parte dei media e delle tipografie cattoliche ufficiali che ha reso i blog così popolari. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda l'ovvia dissonanza cognitiva che ogni serio cattolico sente tra la placidità e l'allegria dei media ufficiali e la realtà vista sul campo, dall'abuso sui bambini all'abuso dei sacramenti, dall'abuso della liturgia all'abuso di fiducia, dalla promozione dei dissidenti all'occultamento delle statistiche del collasso generale della demografia e della pratica cattolica nella maggior parte del mondo dall'inizio di questa stagione invernale. [52]

La Chiesa oggi soffre di malattie cardiache: è letargica a causa del tessuto adiposo e delle arterie ostruite. Ha bisogno di un trapianto di cuore, ma invece di ottenere un cuore "diverso", ha bisogno di sbarazzarsi del cuore meccanico artificiale installato dai suoi medici mal informati e riprendersi il cuore di carne che la sua tradizione ha coltivato dentro di lei. Quando ciò accadrà, saremo testimoni non di una "nuova" Pentecoste, ma di un rinnovamento dell'antica e sempre giovane adorazione cristiana di Dio in spirito e verità, proprio come Nostro Signore ha profetizzato e ci ha già provveduto nella Sua immancabile Provvidenza. Dom Paul Delatte, abate di Solesmes dal 1890 al 1921, ha scritto della sacra liturgia tradizionale della Chiesa:

In essa lo Spirito Santo ha raggiunto la concentrazione, l'eternalizzazione e la diffusione in tutto il Corpo di Cristo dell'immutabile pienezza dell'atto di redenzione, di tutte le ricchezze spirituali della Chiesa nel passato, nel presente e nell'eternità. [53]

Non c'è da stupirsi che Dom Guéranger abbia detto, in una riga che amo citare: "Lo Spirito Santo ha posto la liturgia al centro del suo lavoro nelle anime degli uomini". È "qui" che si trova la nostra Pentecoste; è qui che la Chiesa rinasce perennemente nella sua giovinezza, trovandosi pronta a consegnare l'unico linguaggio comune con cui lodare, benedire, glorificare e adorare il suo Re celeste, finché Egli non ritorni glorioso dall'oriente. "Salirò all'altare di Dio, a Dio, che dà letizia alla mia giovinezza".

APPUNTI

Le note saranno ulteriormente sviluppate nella versione pubblicata in forma di libro.

[1]Per questo paragrafo, sono in debito con P. Cassian Folsom, OSB, "Due leges orandi, una lex credendi. Una riflessione sulla lettera 'motu proprio'Summorum Pontificum", un documento del 13 giugno 2015, così come Gregory DiPippo," The Legal Achievement of Summorum Pontificum", New Liturgical Movement , 5 luglio 2017.

[2] Svetonio equiparava ritus e caeremonia. Forcellini dà come definizione di ritus: "mos et approbata consuetudo, et praecipue in sacrificiis administrandis". Vedere William W. Bassett, The Determination of Rite: An Historical and Juridical Study (Analecta Gregoriana, 1967), 22–23.

[3] Prima della riforma tridentina, le varianti erano quasi sempre indicate come usi. Ad esempio, il frontespizio del Messale di Sarum recita: "Missale ad usum insignis et celeberrimae ecclesiae Sarum". Dopo Trento, il termine "uso" divenne raro e al suo posto fu usato "rito".

[4] Di conseguenza, qualsiasi Messa o Uffici propri scritti per uno può essere trasposto in uno qualsiasi degli altri senza alcuna difficoltà. Ad esempio, San Tommaso d'Aquino era un domenicano e scrisse l'Ufficio e la Messa del Corpus Domini secondo l'uso medievale francese seguito dal suo ordine: nove responsori a Mattutino, invece di otto, un versetto tra Mattutino e Lodi, ecc. essere fatto per adeguare questi testi all '"uso della Curia Romana", che divenne la base del Messale e Breviario di San Pio V. Tuttavia, quando la stessa Messa fu aggiunta al rito ambrosiano, dovettero essere fatti; l'aggiunta di una prima lettura, l'antifona dopo il Vangelo, l'oratio super sindonem  e il transitorium, nessuna delle quali esiste nel Rito Romano, così come la rimozione della Sequenza, che non è mai esistita nel rito ambrosiano. Viceversa, se si volesse prendere la Messa ambrosiana in onore di Sant'Ambrogio e trasporla nel rito storico romano, bisognerebbe mutilarla molto male, aggiungendo all' ingressa un versetto del Salmo e un Gloria, togliendo la prima lettura, l'antifona dopo il Vangelo, l'oratio super sindonem e il transitorium, ecc.

[5] Gli usi di Braga, Lione e Sarum continuano ad essere usati occasionalmente per la Messa o per l'Ufficio Divino o per entrambi; è ricomparso l'uso Praemonstratense; il certosino esiste in una condizione semi-riformata. La grande eccezione sarebbe l'uso domenicano, che sta vivendo una sorta di rinascita tra le giovani generazioni di frati.

[6] Un'edizione maggiore di un libro liturgico, promulgata negli Acta Apostolicae Sedis , è chiamata editio typica . Il 1920 e il 1962 furono tali. Le edizioni del Missale Romanum del 1924, 1939, 1953, ecc. Sono edizioni post typicam del 1920. Allo stesso modo, le modifiche del 1964 e del 1967 sono considerate variazioni rispetto al 1962.

[7] "Il Novus Ordo è un'autentica espressione della Tradizione?", Presidente LMS , 14 dicembre 2013.

[8] Inutile dire che il dottor Shaw non intende affermare questa nozione a proprio nome. Un canonista tedesco, Markus Graulich, ha sostenuto con una certa plausibilità che esiste una distinzione tra l'abrogazione o la deroga di un libro liturgico e la rimozione del permesso del clero di utilizzare quel libro. Egli sostiene che il vecchio messale, come tale, non fu mai abrogato, ma che il permesso dei sacerdoti di utilizzarlo fu limitato da Paolo VI, che gli sostituì il permesso di usare il nuovo messale. Pertanto, è verosimile che il celebrante richiedesse un indulto affinché potesse legittimamente utilizzare un libro liturgico che, di per sé, non era stato formalmente abrogato. Può sembrare una scissione di capelli, e forse lo è, ma se fosse vero, spiegherebbe meglio ciò che Papa Benedetto intendeva fare in Summorum, cioè, avendo ammesso che il vecchio messale non era mai stato abrogato, di procedere a concedere un permesso o facoltà universale a tutto il clero in regola di avvalersi di questo messale (e di altri riti liturgici tradizionali). Vedi "Vom Indult zum allgemeinen Gesetz: Der Gebrauch des Messbuchs von 1962 vom Zweiten Vatikanischen Konzil bis Summorum Pontificum in kirchenrechtlicher Perspektive", in Zehn Jahr Summorum Pontificum: Versöhnung mit der Vergangenheit — Weg in die Zukunft . idem (Regensburg: Verlag Friedrich Pustet, 2017), 13-54.

[9] Klaus Gamber, The Reform of the Roman Liturgy: Its Problems and Background, trad. Klaus D. Grimm (San Juan Capistrano, CA: Una Voce Press e Harrison, NY: The Foundation for Catholic Reform, 1993).

[10] Come ho notato nel capitolo 1, la "tradizione" nel suo senso più ampio comprende anche la Sacra Scrittura, che registra gli atti storici e i detti di Israele, ed è tramandata all'interno della Chiesa (prendendo Israele come parte della Chiesa, come Agostino e lo fanno i Padri). Tutta la rivelazione di Dio all'umanità arriva sotto forma di paradosis o traditio, qualcosa che si tramanda dall'alto al popolo e da una generazione all'altra.

[11] Reid, Sviluppo organico della liturgia, Prefazione, 11.

[12] Naturalmente, l'Ufficio divino se la passò anche peggio sotto l'influenza del riduzionismo liturgico, poiché l'Ufficio non ha nulla di equivalente alla preparazione o al conferimento di un sacramento sotto una forma e una materia definite. Poiché è puramente un insieme di testi da cantare o recitare, la possibile estensione della sua deformazione e corruzione è pressoché infinita. L'unica cosa che potrebbe trattenere la mano violenta è il rispetto per la tradizione, ad esempio, che i salmi tal dei tali sono sempre stati pregati in determinate ore in determinati giorni. Sappiamo che tale rispetto non era una caratteristica notevole dei rivoluzionari liturgici. La Liturgia delle Ore promulgata da Paolo VI ha, nel migliore dei casi, una vaga somiglianza, nel peggiore nessuna somiglianza con l'Ufficio divino come era stato pregato per la maggior parte della storia della Chiesa.

[13] Reid, Prefazione, 11. Ratzinger a un certo punto dice che "modernisti e tradizionalisti sono d'accordo" su questo riduzionismo. Non sono del tutto sicuro di cosa voglia dire. Indubbiamente prima del Concilio tutti insegnavano sacramenti in maniera neoscolastica riduttiva, ma una volta che divenne chiaro che i progressisti avevano intrapreso un processo di smantellamento e ricostruzione che non avrebbe onorato nessuna delle forme esistenti, nacque un autentico movimento tradizionalista che ha preso con assoluta serietà le dimensioni organiche, olistiche, estetiche e storiche della liturgia. Mi viene subito in mente la figura di Dietrich von Hildebrand, così come, in una generazione successiva, il dotto abate Franck Quoëx.

[14] Vedi il mio articolo " The Displacement of the Mysterium Fidei and the Fabricated Memorial Acclamation". Come se la perdita del mysterium fidei nelle parole della consacrazione non fosse abbastanza grave, le traduzioni in molte lingue rendevano falsamente pro multis "per tutti", causando confusione tra i cattolici sufficientemente istruiti da riconoscere che ciò rasentava la manomissione della forma stessa del sacramento.

[15] Come tomista, accetto certamente che ci sia un momento di consacrazione, come ho difeso nel mio articolo "Sulla consacrazione 'puntuale': una lettera per la festa di San Tommaso d'Aquino", Nuovo movimento liturgico, 7 marzo , 2016 e altrove. Ma se si guarda alla Summa theologiae III, q. 83, si vedrà che San Tommaso è ben lungi dall'essere un riduzionista liturgico. Vede la complessità del rito romano, il significato e il valore di ciascuna delle sue parti e il rispetto con cui dovrebbe essere trattato da coloro che lo adorano. La precisione scolastica non deve evolversi in riduzionismo neoscolastico.

[16] Questo è l'approccio che ho adottato nel capitolo 2, quando ho messo a confronto il Novus Ordo con una liturgia tradizionale.

[17] Il rito ambrosiano comprende anche il Canone Romano. C'è ancora una mancanza di consenso accademico sulla questione se questo Canone sia sempre stato usato in esso o se sia stato "importato" ad un certo punto per sostituire una precedente anafora specificamente ambrosiana. Le nostre fonti per il Rito Ambrosiano sono molto meno numerose e successive di quelle per il Rito Romano.

[18] Questo modo di parlare è ingannevole, perché il latino utilizzato era un tipo speciale di latino cristiano sviluppato allo scopo, con un registro elevato e ieratico; non era affatto il linguaggio comune o "volgare" della gente.

[19] Come osserva Patrick Owens: "Il registro elevato del latino cristiano alla fine sostituì il greco nei riti sacri dell'Occidente, in parte perché era più appetibile per l'elite romana colta che per il latino greco o volgare. L'evangelizzazione dell'aristocrazia culturale romana fu l'impulso principale alla base dello sviluppo del linguaggio liturgico di Roma "(Introduzione a Spataro, Elogio della Messa tridentina e del latino, Lingua della Chiesa).

[20] È vero che in rari casi la liturgia latina esisteva in forme non latine, ad esempio, la Messa glagolitica, la Messa slava e la Messa irochese. Ma queste erano le rare eccezioni che confermavano la regola. Il latino era sempre l'usanza dominante, quasi esclusiva, e gelosamente custodita e apprezzata come tale.

[21] Anche la Messa bassa testimonia questa normatività dei canti della Messa alta richiedendo la recitazione dei testi dei canti, sebbene questo sia un pò come un disegno bidimensionale contro una scultura tridimensionale.

[22]Per una discussione e una critica approfondite del nuovo lezionario, vedere Kwasniewski, "When the Yearly Biblical Readings of Immemorial Tradition Were Cast Away", Rorate Caeli il 24 maggio 2019.

[23] La situazione è resa ancora peggiore dai continui "adattamenti" consentiti alle Conferenze episcopali. Per prendere due esempi familiari negli Stati Uniti, è puro nominalismo liturgico "trasferire" l'Ascensione e l'Epifania alle domeniche più vicine. Per rivelazione divina sappiamo che l'Ascensione di Nostro Signore avviene quaranta giorni dopo la risurrezione, e quindi di giovedì. L'Epifania viene celebrata dodici giorni dopo Natale. Una cosa è celebrare le feste nei giorni giusti e poi aggiungere le cosiddette "solennità esterne" in una domenica vicina; un'altra è abolire i giorni appropriati e spostarli semplicemente alla domenica più vicina. Questo è l'equivalente liturgico del "matrimonio gay": è fare violenza alla natura delle cose.

[24] La prolepsi è una figura retorica che significa rappresentare qualcosa come esistente prima che lo faccia effettivamente; così l'Offertorio parla della "vittima immacolata" mentre si tiene in alto il pane non consacrato. Tali modi di parlare sono universali nelle tradizioni liturgiche: l'antifona cantata che è sempre stata chiamata Offertorium; le preghiere segrete; il Canone prima della consacrazione. Anche i riti bizantini lo fanno. L'unica cosa strana, infatti, è che il Novus Ordo evita la prolepsi.

[25] Nessun altro uso ha le prime tre preghiere, o se compaiono, è il risultato di un processo di romanizzazione. Gli altri elementi compaiono tutti nella maggior parte degli usi, ma mescolati in vari ordini. Il  uscipe, sancta Trinitas è di gran lunga il più utilizzato. Sebbene la formulazione vari, la sostanza è sempre la stessa.

[26] Ad esempio, San Basilio il Grande, nel suo trattato Sullo Spirito Santo del 375 d.C., sostiene che dovremmo prendere sul serio la divinità dello Spirito Santo per lo stesso motivo per cui prendiamo sul serio la celebrazione della liturgia verso est – vale a dire, che ci è stato tramandato dagli Apostoli, e quindi non è oggetto di controversia. In altre parole, Basil prende ad orientem una base non controversa su cui difendere la controversa divinità della Terza Persona della Santissima Trinità!

[27] Non nego, ovviamente, che parti della liturgia siano per il popolo, ma non c'è parte che sia "semplicemente" per il popolo, come fa la "Liturgia della Parola" nel nuovo rito. Il modo in cui l'antica liturgia serve i bisogni delle persone è ordinandoli incessantemente al divino.

[28] Si vedano i miei commenti sull'importanza del "Confiteor" prima della comunione del popolo come segno di una cesura definita nel rito: "Perché il confiteor prima della comunione dovrebbe essere mantenuto (o reintrodotto)", Nuovo Movimento Liturgico , 27 maggio 2019 .

[29] Non è da un oratoriano Novus Ordo con un canone latino romano, ecc., Che dobbiamo valutare il messale di Paolo VI, ma dalla celebrazione più discontinua ancora consentita dalle rubriche, ad esempio quella che si dice versus populum, in volgare, senza Propers, senza Confiteor, la seconda preghiera eucaristica, la comunione nella mano, ecc. Una tale Messa non è meno perfettamente il Novus Ordo della più gloriosa Messa degli odori e delle campane. In altre parole, cos'è la maggior parte delle caratteristiche del Novus Ordo non è questa o quella configurazione, ma la sua configurabilità ad libitum. Solo per questo motivo non ha alcuna pretesa di appartenere alla famiglia di rito romano. Invece, è il rito papale moderno, che consente il canone romano e così via come opzioni.

[30] Il fenotipo deriva dal genotipo che interagisce con le condizioni ambientali. L'intera dimensione fisica è, inoltre, la controparte metafisica dell'anima razionale individuale, che si esprime attraverso di loro.

[31] Heresy of Formlessness, nuova edizione (Brooklyn: Angelico Press, 2018), 163.

[32] DiPippo ("The Legal Achievement of Summorum Pontificum") difende l'inventiva di Benedetto XVI sottolineando che stava tentando una soluzione canonica stabile a un problema unicamente intrattabile. Se avesse stabilito che c'erano due riti romani, la liberalizzazione del Vetus Ordo avrebbe concesso istantaneamente facoltà birituali a 400.000 sacerdoti; ma chiamarli usi avrebbe falsificato il significato storico del termine. Inventò quindi il nuovo concetto di "forma", come se riconoscesse una situazione assolutamente anomala in cui due riti o usi hanno così molto in comune genericamente, eppure sono così radicalmente differenti nei dettagli.

[33] "La riforma della liturgia del ventesimo secolo: risultati e prospettive", Institute of Liturgical Studies Occasional Papers 126 (2017): 1–13; a 4–5.

[34] Documenti sulla Liturgia 1963-1979 , n. 37.

[35] Citato in Lemna, Apocalypse, 52.

[36] "Per la cronaca – Vescovo olandese: 'Nel sinodo, sciocchezze che metterebbero in imbarazzo Lutero e Calvino: e il Papa sta guardando'", Rorate Caeli , 23 ottobre 2019.

[37] Vedi Pieper, Abuse of Language, Abuse of Power.

[38] A p. L'affermazione di Spadaro che in teologia, 2 + 2 può fare 5, vedi George Weigel, "Theology Isn't Math; But It Is Theology ", First Things online, 25 gennaio 2017.

[39] Sul primato del bene comune, Aquinas Review, vol. 4 (1997), 86-87.

[40] "Degna accoglienza" non significa che siamo già perfetti, ma, come ha spiegato Giovanni Paolo II in Ecclesia de Eucharistia, che abbiamo rinunciato al peccato mortale e abbiamo l'intenzione di vivere secondo tutti i comandamenti di Dio.

[41] Vedi il mio articolo "L'omissione che infesta la Chiesa – 1 Corinzi 11: 27–29", New Liturgical Movement , 11 aprile 2016.

[42]Ho preso di mira il riduzionismo neoscolastico, ma che dire di San Tommaso d'Aquino? Non ha forse in parte la responsabilità di questa riduzione della Messa o dell'Eucaristia alla transustanziazione, di cui parla così a lungo, difendendo dettagliatamente l'affermazione che "le parole di consacrazione" sono l'unica causa del miracolo? Tommaso aveva una mente metafisica che era qualificata in modo univoco per affrontare alcune delle difficoltà più spinose della teologia sacramentale, ma non nega la più ampia cornice biblica e patristica dell'intera discussione. Anzi, dimostra di esserne consapevole (come in III, q. 83, sul rito della Messa), anche se è molto più desideroso di scavare nelle perplessità filosofiche. In ogni caso, è importante non considerare San Tommaso come l'essenza e la fine della teologia. È il dottore comune, la nostra guida alla disciplina della teologia; ma sarebbe lui stesso il primo a comandarci di sedere ai piedi degli autori della Sacra Scrittura e dei grandi Padri della Chiesa ai quali guardava come punti di riferimento costanti. Non ripete ciò che hanno fatto, ma sviluppa in un sistema i principi e le conclusioni di cui testimoniano. Abbiamo ancora e sempre bisogno dei dati originali nel modo originale della sua proclamazione. La scolastica ci aiuterà nella nostra ricerca della verità, focalizzando le nostre menti e purificandole; non sostituirà un apprendistato permanente alla liturgia, alla Bibbia e ai Padri.

[43]The Traditional Mass: History, Form, & Theology of the Classical Roman Rite (Brooklyn: Angelico Press, 2020), 36.

[44]Qui penso che sia utile fare una distinzione tra il potere come forza coercitiva e il potere come autorità morale. Qualunque papa ha il potere grezzo di promulgare un rito della Messa con una valida consacrazione, anche se nulla ha a che fare con il rito romano; ma peccherebbe gravemente nel farlo (cfr Sire), poiché non ha l'autorità morale per agire al di fuori della tradizione che deve custodire e difendere.

[45] Joseph Ratzinger, Spirit of the Liturgy, Commemorative Edition (San Francisco: Ignatius Press, 2018), 180.

[46] Per i riferimenti alle dichiarazioni di Giovanni XXIII e altri, vedere Thomas Hughson, SJ, "Interpreting Vatican II: 'A New Pentecost'", Theological Studies 69 (2008): 3–37.

[47] Gerard Manley Hopkins, "God's Grandeur".

[48] Anscar Vonier, The Collected Works of Abot Vonier (London: Burns Oates, 1952), vol.2, pp. 9, 10, 13. Vedi anche il Cardinal Journet sui privilegi apostolici in Teologia della Chiesa .

[49] In effetti, una "nuova liturgia" è una contraddizione in termini; la Chiesa non ha il mandato di istituire una cosa del genere. Anche gli Apostoli svilupparono la loro liturgia dal tempio ebraico e dai rituali della sinagoga e la Pasqua modificata da Cristo. Nessun vero rito è opera di una commissione.

[50] "In occasione del 90 ° compleanno di Benedetto XVI", Prefazione a Peter Kwasniewski, Noble Beauty, Transcendent Holiness: Why the Modern Age Needs the Mass of Ages (Kettering, OH: Angelico Press, 2017), xii-xiii .

[51] Cfr. Roberto De Mattei, L'amore per il papato e la resistenza filiale al papa nella storia della Chiesa.

[52] "Alternative Catholic Media: Into the Catacombs", Rorate Caeli , 2 maggio 2014.

[53] Commento alla Sacra Regola di San Benedetto , 133.

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