Desocializzazione e condizione maschile

Aperto da Finnegan, 18 Febbraio 2018, 02:53:35 PM

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Finnegan

Dal libro di Matthew Fforde Desocializzazione, ed. Cantagalli, Siena. Ti riconosci?

Per desocializzazione non intendo quella di Charlie Brown "che aveva tanto bisogno di amici", ma la frantumazione del tessuto sociale che porta a superficialità nei rapporti umani e a relazioni insincere e false tra uomini e donne. Non tutti possono capire queste righe, ma molti sono lettori di questo forum. Buona lettura.

La società contemporanea sta diventando sempre più "darwiniana", anche se attraverso modalità e per ragioni di cui abitualmente non ci rendiamo conto. La durezza e la severità della società post-moderna sembrano promuovere a posizioni di primo piano coloro che tendono a una maggiore insensibilità e asocialità. Sono proprio le persone con il più alto grado di resistenza alle imposizioni della desocializzazione, quelle che riescono a rimanere indenni dalle sue ferite; gli individui più orientati al perseguimento del profitto personale e meno distratti dalla sollecitudine e dalla cura per gli altri; quelli che sono pronti a fare ricorso a metodi che danneggiano gli altri e restano indifferenti al dolore che possono causare; e infine, le persone il cui sguardo è in minor misura diretto verso il bene collettivo, le meno interessate alle conseguenze delle proprie azioni. I duri, i sordi, quelli che hanno una pelle da rinoceronte, gli autosufficienti, quelli che rimangono ciechi e insensibili, quelli che ci hanno fatto il callo: sono loro che sempre più vanno a occupare posizioni influenti e di potere. Eppure sono i nemici della comunità: la loro sopravvivenza ai processi di desocializzazione comporta che ne diventino i paladini più convinti.
Terapie che peggiorano il male
Come i medici pre-moderni praticavano salassi ai malati di cui conquistavano la fiducia, la desocializzazione si riproduce anche favorendo una serie di terapie che peggiorano la malattia.
È così che nel loro travaglio le vittime della condizione di anonimia si volgono spesso verso cure psichiste e fisiologiste, oppure al conforto procurato dalla ricchezza e dal potere, o ancora al mondo del piacere sensuale, a unioni o matrimoni falsi, ad amicizie vacue, alle sabbie mobili dello pseudo-sociale, all'immaginario e al falsificato, o anche semplicemente all'aggressività. Inconsapevoli del fatto che all'origine della loro inquietudine c'è la mancanza di amore, i desocializzati sovente non sono in grado di articolare una risposta spirituale al loro disagio, e si rivolgono a terapie che peggiorano il male. Andiamo ad analizzare in dettaglio questo processo.
«L'assenza di legami colpisce con un'ampiezza straordinaria l'universo coniugale e familiare», ha affermato un altro relatore, «viviamo, in effetti, in una società disintegrata che [...] favorisce [...] lo sviluppo di personalità spezzettate che hanno grandi difficoltà a unificarsi psicologicamente e moralmente»". «Nel nostro tempo», ha dichiarato ancora un altro, «il sintomo più evidente della depressione è da ricercarsi nell'emarginazione dell'individuo a nella sua non rilevanza all'interno della società»".
Davanti alla perdita dei legami l'Homo sapiens, a causa della sua natura biologica e spirituale, soffre e si preoccupa — un aspetto assai rivelatore del fine dell'uomo in questo mondo.

Senza amore e verità, senza salute spirituale e sotto «l'affermazione di disvalori», l'interiorità dell'uomo cede e si piega. La presenza stessa di tutti questi fenomeni dovrebbe farci capire che vi è qualcosa di profondamente sbagliato nella nostra società — il che è fin troppo evidente — e indurci a mettere in discussione la strada che abbiamo imboccato nei secoli recenti.
A livello individuale le persone saggiano altre forme di risposta che, tuttavia, sono di solito destinate al fallimento. (Segue)
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La ricerca del "piacere"

L'individuo ferito nei propri sentimenti a causa della mancanza di amore e di comunità può anche essere tentato di contrastare questo dolore con la ricerca del piacere, praticamente un leit-motiv dell'edonismo contemporaneo. L'uso di droghe e stimolanti, il bere, le immersioni nel cinema e nella TV, la lettura di opere di evasione, il lasciarsi andare ai piaceri del consumismo o del sesso senza amore sono forme di comportamento diffuse nello stile di vita contemporaneo: dietro a tali scelte è presente spesso il tentativo di evitare quel senso di vuoto e di tristezza che nasce dall'assenza di rapporti autentici. Queste reazioni inoltre hanno tutte le caratteristiche della droga: la necessità di aumentare la dose per mantenere l'effetto. Scoprendo che i sentimenti arrivano a un punto in cui per attivarli ci vuole una stimolazione sempre maggiore, l'individuo di fatto sprofonda in un processo di "de-sentimentalizzazione", una china scivolosa che lo porta sempre più in basso. Tuttavia, la ricerca del piacere come reazione alla condizione desocializzata non si limita a portare l'individuo fuori strada rispetto alle soluzioni vere, ma lo fa aggrovigliare in un viluppo di modi sentimentisti di pensare e di vivere di cui diventa egli stesso promotore. Facendo ricorso all'edonismo, nel suo piccolo l'individuo infelice affila l'enorme coltello che lo ha ferito, e che continuerà a ferirlo. (Segue)

Questa è la ragione per cui non credo molto a chi afferma di essere felice per il solo fatto che non si è sposato e fa rafting nel Colorado. Può essere una strategia di sopravvivenza, non la soluzione che il libro indica nei capitoli successivi.
L'anticipo qui: ogni strategia che porta a farsi i fatti propri, a "disperdersi" peggiora la situazione. L'unica vera soluzione è ricostituire (con pazienza) un tessuto associativo e comunitario.
Penso inoltre che, a meno di non vivere su Marte, la vita sia più o meno la stessa per tutti, si può reagire ma chi dice di trovarsi bene in questo deserto prende in giro se stesso e gli altri.
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I rapporti vuoti

Uno dei temi del presente studio è che per quanto l'uomo post-moderno vada contro ciò che dovrebbe essere, per quanto rifiuti la propria vocazione, è destinato a rendersi conto che non può farlo impunemente. In un modo o nell'altro dovrà pagare il prezzo per il cammino di disordine che sta percorrendo. La solitudine in senso stretto è forse la punizione più grande che l'uomo post-moderno già subisce. Per sfuggire a questa condizione, spesso assai grave quanto a impatto emotivo, molte persone nel mondo desocializzato di oggi instaurano rapporti o contraggono matrimoni non basati sull'amore bensì sull'interesse individuale. L'idea è trovare qualcuno che possa essere usato per fornire compagnia e mettere fine allo stato di solitudine. Forse questo è uno degli errori contemporanei più diffusi, ma non costituisce certo una soluzione, anzi può aggravare il problema. L'altro viene utilizzato come strumento per raggiungere un fine, e nel rapporto c'è poco di autentico. Poiché non vi è amore, non può aver luogo un'unione spirituale e fisica autentica, il vero antidoto alla solitudine. È un atto di opportunismo che non porta da nessuna parte, e anzi ricorda all'individuo cos'è che gli manca davvero, perché gli mette sempre davanti la realtà di ciò che non c'è. Lungi dall'essere sfuggito alla solitudine e dall'aver risolto il problema, l'individuo cade per così dire dalla padella nella brace, e si trova a dover vivere nella menzogna, a sopportare la falsità, a calarsi in un rapporto che nel profondo è vuoto — tutti elementi che mettono in luce il suo vero stato di mancanza di amore. Davanti a lui c'è l'esatto opposto di ciò di cui ha bisogno, quindi non è semplicemente tornato al punto di partenza ma è addirittura regredito.
Il desiderio di sfuggire alla solitudine in senso stretto porta anche a stringere amicizie insincere e false. L'amicizia, come l'amore, è antica quanto il mondo ed è probabilmente la seconda pietra angolare della comunità umana. L'amicizia è il luogo dell'espressione della virtù, del perseguimento di un progetto comune, la conquista dell'appartenenza, e fra i suoi benefici principali si contano la buona compagnia, l'aiuto reciproco e la partecipazione. La storia umana è marcata dalla sua presenza costante, anche se stranamente gli storici dedicano scarsa attenzione allo studio della sua evoluzione. È stata però ripetutamente evocata in opere letterarie e artistiche, nei proverbi, e accompagnata da precetti e princìpi ricchi di saggezza. Una caratteristica fondamentale della condizione di anonimia è stata anche la perdita dei legami amicali. Sembra sia andata perduta una parte notevole della conoscenza, della pratica e delle convenzioni dell'amicizia, e questa è un'altra forma di deculturalizzazione. Le pseudo-amicizie nate per contrastare la solitudine hanno molte caratteristiche in comune con le false relazioni che si stabiliscono fra uomini e donne; vi si riscontra lo stesso impegno in ciò che non è autentico e lo stesso svuotamento dei punti vitali di potenziale contatto umano. Si tratta di rapporti la cui falsità non fa che mettere in luce ciò che manca e ciò che ha ingenerato questo stato di cose. Inoltre la fine delle amicizie e la loro transitorietà è un ulteriore tratto tipico del modo attuale di vivere, come il divorzio nel matrimonio o le "coppie" di fatto che vanno e vengono: è all'opera il medesimo processo, una fuga egoistica dall'isolamento che dà luogo a rapporti fragili ed egocentrici i quali non fanno altro che riportarci al punto di partenza, se non ancora più indietro. (Segue)
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L'evasione

Un'altra reazione diffusa a tale condizione è la creazione di ruoli e immagini come meccanismi consolatori. Infatti lo stile di vita post-moderno è spesso caratterizzato dall'interpretazione di ruoli. Le persone diventano ciò che non sono perché il contesto culturale non permette loro di essere se stesse. Si cerca quindi conforto nell'invenzione — una reazione, questa, sorretta dalle idee e dagli atteggiamenti promossi dal cinema, dalla televisione, dalla realtà virtuale, che contribuiscono a formare una parte di quel gusto per la fantasia diventata tipica dell'uomo post-moderno. Questa propensione a interpretare una parte, a inventarsi un ruolo, a proiettare un'immagine, sfugge all'autenticità, comporta la creazione di rapporti — e quindi di un ambiente per gli altri — basati sulla falsità, sulla recita, e dà luogo a un artificio costante che colpisce al cuore la comunità: la vita con gli altri non si fonda su ciò che è reale, ma è intrisa di elementi fasulli. Inoltre, la persona che adotta questa soluzione per rimediare alla perdita di legami sociali non fa che tornare al punto di partenza, perché non riesce a rapportarsi con gli altri in modo autentico. Al tempo stesso, proprio come il coniuge, il "partner" o l'amico falsi, il suo comportamento produce l'effetto di desocializzare coloro con cui entra in contatto, privandoli della possibilità di interazione autentica. Recitando, coinvolge gli altri in una simulazione precaria che offende la realtà, e mancando di sincerità con se stessa, finisce per colpire e danneggiare, tramite vari meccanismi, la propria interiorità, ovvero il punto di partenza vitale per un più ampio benessere sociale. (Segue)
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Il narcisismo

Chi potrebbe negare che viviamo in un'epoca di narcisismo? Paradossalmente, una delle caratteristiche della condizione desocializzata è la tendenza a vivere nello sguardo degli altri, che diventano specchi nei quali l'individuo si osserva e si ammira — una risposta abbastanza comune alla mancanza di amore e di comunità. Privo della considerazione, della stima o del rispetto che vorrebbe o di cui ha bisogno, l'individuo spesso si imbarca in un progetto ingannevole tramite cui si presenta agli altri nella luce più favorevole possibile; falsifica la sua vera natura in modo da guadagnarsi l'ammirazione e assicurarsi una soddisfazione personale. Quando riesce ad ingannare gli altri sulla sua natura, carattere e qualità, trae gratificazione dalla percezione erronea che gli altri hanno di lui. Finisce per vivere di ciò che la gente pensa e dice di lui, piuttosto che della verità su se stesso, e il suo punto di riferimento diventa il modo in cui viene percepito dal punto di vista degli altri (importante punto di collegamento con il relativismo). Questo atteggiamento è connesso con la prospettiva societarista perché, essenzialmente, ciò che l'ambiente umano ritiene vero diventa la realtà, l'apparenza diventa la sostanza, la maschera si sostituisce al contenuto. L'umanismo ci mette del suo perché ciò che conta, alla fin fine, è l'ottica di questo mondo piuttosto che le verità dell'altro. Tutta questa pratica — oggi così diffusa — naturalmente comporta una spinta alla deformazione della realtà. Che una persona abbia talento, sia bella, onesta o intelligente, profonda o capace, ricca o potente, non importa: ciò che conta davvero è che sembri tale agli occhi della gente. La verità viene negata e tradita, e viene fabbricato uno stile di vita all'insegna dell'inganno. È così che, alla base dell'individualismo egoistico, troviamo una propensione a fingere, e questa è un'altra ragione per la quale ci troviamo spesso circondati dalla falsità. (Segue)
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#5
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L'autoisolamento

Fra le reazioni all'ambiente desocializzato si annovera anche il ritrarsi dal contatto e la riduzione al minimo dei contenuti dell'interazione: per diminuire il dolore — reale o potenziale — dell'impatto con l'ambiente sociale, le persone si desocializzano volutamente. A monte di questa strategia stanno tre motivazioni principali, che contribuiscono tutte a rinchiudere ancora di più l'uomo post-moderno nella sua gabbia solitaria. Per prima cosa, la paura dell'aggressività, dell'incostanza, dello sfruttamento, dell'infelicità, delle critiche e della severità di cui spesso sono portatori i rapporti col prossimo. Una risposta molto semplice è quella di sottrarsi al contatto, o assicurarsi che esso sia molto superficiale. Si evita il pericolo. In secondo luogo, il desiderio di sentirsi importanti può indurre riluttanza a impegnarsi nei rapporti, perché questi possono minare il proprio senso di superiorità, o ad assicurarsi che essi siano così svuotati da impedire la comparsa di fattori che possano metterlo in forse. In terzo luogo, dato che spesso manca il comune accordo sul modo 'in cui le relazioni andrebbero stabilite e sostenute, e poiché queste sovente comportano un alto grado di rischio, l'idea e la pratica del contatto generano insicurezza e incertezza. Una reazione ovvia a questo disagio è l'allontanamento dai rapporti interpersonali tout court o il loro confinamento nella massima vacuità. Nell'insieme, quello che succede è che per contrastare la malattia si sceglie la malattia; lo stesso male viene impiegato per tenere alla larga il male. (Segue)

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L'aggressione alle anime sane

Queste significative parole ci introducono alla parte più difficile. Siamo giunti all'ultimo stadio dell'attacco all'anima: l'aggressione a coloro la cui spiritualità è ancora viva e al potenziale bene che potrebbero fare. Nel momento in cui un modello culturale è diretto all'espressione e alla promozione della malattia spirituale, va da sé che cerchi di corrompere, emarginare, neutralizzare o eliminare coloro che per natura sono orientati in direzione opposta.
Il primo stadio dell'aggressione sta nel collocare la persona spiritualmente sana in un contesto culturale in cui si trovi in attrito e in disaccordo. Qui è sottoposta a un tentativo continuato di dissuasione dalle proprie posizioni, ma anche a uno scoraggiamento derivante dalla delegittimazione del suo modo di vedere il mondo e i propri simili. Oltre a ciò, il dover assistere alla costante ripetizione di ciò che ritiene sbagliato [cf. freethinker :)] la induce a demoralizzarsi. Questo processo è stato in parte descritto dal sociologo americano Peter Berger tramite il concetto di devianza conoscitiva una condizione colma di rischi per coloro che vi si trovano:
«Una minoranza conoscitiva è un gruppo di persone che si forma intorno ad un corpus di "conoscenze", deviante dalla normalità [...] la situazione di una minoranza conoscitiva è, senza scampo, una situazione di disagio, non tanto e necessariamente perché la maggioranza che la attornia sia repressiva o intollerante, quanto e semplicemente perché essa ricusa di considerare i concetti definiti circa la realtà, propri della minoranza, una "conoscenza".
Qual è la natura delle pressioni cui vengono sottoposte le anime sane soggette alla cultura desocializzata nella sua forma più estrema — figure che formano una vera minoranza conoscitiva? Prima di tutto, i punti di vista che l'individuo spiritualmente sano (nel caso sia credente) capta dall'ambiente circostante non fanno che ribadirgli che è in errore e che bisognerebbe percorrere altre strade. Inoltre, credente o meno che sia, si trova circondato da pensieri e pratiche che vanno contro la sua natura più profonda, che negano la legittimità del suo mondo mentale, dei suoi atteggiamenti e valori, del suo modo di vivere, in un processo di dissuasione mirato a farlo smettere di essere ciò che è. Tutto ciò è già sfibrante di per sé, ma viene aggravato ulteriormente dallo scarso sostegno da parte di quanti gli sono vicini: non viene sostenuto e incoraggiato in ciò che è e fa, quindi è vittima allo stesso tempo dei tentativi di dissuasione e dell'assenza di qualsiasi apporto, oltre che del contatto costante con ciò che è sbagliato, falso, distorto. La contemplazione continuata dell'errore suscita nell'anima sana dolore, stress, dispiacere e perfino orrore. La sua energia e la sua volontà vengono prosciugate fino a renderla un avversario meno pericoloso.
Ma non si tratta soltanto di scoraggiamento. La persona spiritualmente sana è colpita anche dal disorientamento e dall'inquietudine. L'ambiente circostante non solo la rattrista, ma la mette in condizione di non essere se stessa, privandola della prospettiva di realizzarsi e condannandola alla frustrazione. In questo modo si esercita una massiccia pressione proprio sulle parti più essenziali della sua natura. Tramite quali meccanismi? Le persone spiritualmente malate non sono in grado di formare comunità autentica, non possono produrre amore per l'amore né amore per la verità. Circondata da questo tipo di individui, l'anima sana si trova nella dolorosa incapacità di dedicarsi a ciò a cui è chiamata e naturalmente incline, la costruzione di rapporti autentici, che è anche ciò che desidera e di cui ha bisogno. La sua aspirazione all'amore e alla verità comporta che la loro assenza la colpisca più profondamente rispetto a coloro che hanno scelto di vivere nell'oscurità. Come un pesce è creato per nuotare nell'acqua, così la persona spiritualmente sana è fatta per vivere in comunità autentica, in un contesto di salute spirituale, in un sistema culturale che operi a beneficio della spiritualità. Se ciò non è possibile si soffre proprio come un pesce che si dibatte in uno stagno svuotato: non ci si può esprimere, si avverte il morso della frustrazione, fino a giungere a uno stato di disorientamento e inquietudine. L'equilibrio interiore e la capacità di agire poi vengono minati in più punti e, come costretti a camminare nel deserto per giorni senza poter bere, si subiscono i colpi di questo clima altamente distruttivo. È come un'oasi sommersa dalla sabbia, che fa ancora più fatica ad alimentare la vita, quella vita che si oppone al deserto. (Segue)
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La persona che salvaguarda la propria spiritualità è anche soggetta alla pena di non essere compresa da coloro che la circondano, e questo è un aspetto saliente dell'aggressione nei suoi confronti. Le sue prospettive, i suoi punti di vista, i riflessi, le reazioni e i sistemi di comprensione sono quelli della vita secondo lo Spirito. I suoi avversari vivono in un universo differente, e il modo in cui sperimentano il mondo appartiene a un ordine diverso. Di conseguenza, non solo non riesce a instaurare una comunità con le persone spiritualmente malate (perché esse non vogliono e non ne sono capaci), ma trova quasi impossibile farsi capire, una condizione da non augurare a nessuno. Così la comunicazione, quell'elemento vitalissimo della comunità, viene compromessa alla base. La persona di buona volontà si ritrova quasi in un'altra dimensione in cui gli altri sono come fantasmi — apre la bocca e fa gesti, ma gli altri non possono veramente sentirla o vederla. Le realtà a cui si riferisce e il linguaggio che usa per descriverle sono purtroppo ben poco familiari alle anime malate. L'incapacità di comunicare è una delle condizioni più crudeli che l'individuo buono deve sopportare, e non solo accresce la sua demoralizzazione e il suo disorientamento (indebolendolo ulteriormente), ma a volte lo spinge a cedere a una lotta ineguale e ad alzare bandiera bianca: davanti a una mancanza di risposte può scegliere di adottare una politica del silenzio, a che pro parlare al muro? E così la voce della verità si estingue e si spegne un'altra luce. Questa è un'altra delle strade tramite cui il modello culturale imperante contrasta l'apporto di coloro che sono spiritualmente vivi. Le candele vengono smorzate.
Non ci si limita a far tacere le anime sane; altre forze potenti operano per farle cambiare. È senz'altro vero che le false antropologie post-moderne, con i modi di vita cui danno luogo e i falsi valori che generano, sono come inviti diretti a vivere e comportarsi diversamente. Le anime sane vengono incoraggiate, grazie ai processi naturali della pressione culturale, non solo a conformarsi alla prassi dominante, ma anche — per via della tentazione che scaturisce dal loro stato di privazione — ad abbracciare il compromesso. Infatti in preda alla demoralizzazione e al disorientamento della desocializzazione, la persona spiritualmente sana può essere incoraggiata ad adottare i modi e i comportamenti della cultura che la circonda. Ad esempio, per alleviare la propria sofferenza e infelicità può essere tentata di imboccare vie d'uscita che sembrano ovvie, almeno nel breve termine, soprattutto se queste vengono approvate e praticate da una parte dominante del proprio ambiente umano. Ad esempio, per superare una situazione di povertà o di difficoltà economica può essere tentata di praticare la disonestà e l'inganno, o di ricorrere allo sfruttamento. Nel suo stato di solitudine può essere tentata di instaurare amicizie insincere o false. In una situazione di frustrazione sessuale può essere indotta a trattare l'altro come un oggetto. Costretta in una posizione insignificante può essere tentata dalla caccia al potere. Immersa nella noia può essere spinta a calarsi nel mondo del piacere a spese di qualcun altro. Ma se soggiace a queste tentazioni, corre il rischio di danneggiare la propria spiritualità, esattamente ciò che vogliono le persone spiritualmente malate che la circondano: far passare nelle proprie schiere l'avversario. (Segue)
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La pressione che la desocializzazione nella sua forma radicale esercita sulla persona di buona volontà non finisce qui, perché a ciò si aggiungono i pesanti epiteti del rifiuto. L'uomo che vive la vita secondo lo Spirito si trova soggetto alle difficoltà del non inserimento, si sente un estraneo. Viene infatti considerato anormale, e alla fine anch'egli inizia a sentirsi tale; diventa vulnerabile a venire etichettato dagli altri come eccentrico, insolito, strambo, forse matto, forse disturbato, persona di cui non fidarsi e da non integrare. E sono solo alcuni degli amari frutti dell'attrito che incontra. A un livello più generale, l'individuo che per sua natura aspira alla comunità si trova invece a scontare la realtà del rifiuto. Nonostante l'attuale culto della tolleranza per ciò che è diverso, la persona di buona volontà si trova spesso ad essere vittima di uno sbarramento di rifiuto. Gli effetti deleteri sull'autostima, sul morale e la fiducia in sé sono ovvii, eppure non è lui l'anormale. In questi tempi relativistici la tendenza dominante è quella di definire ciò che è normale in termini di norma umana. Viene considerata "normalità" ciò che decreta la società e ciò che viene riconosciuto come convenzione. Ma che cosa succede se nell'ambiente umano regna il disordine? In verità, alla normalità bisognerebbe dare una definizione molto diversa, quella che penserebbe e praticherebbe la persona spiritualmente sana, indipendentemente dalla cultura o dal contesto in cui si trova. I pensieri e le azioni di questa persona andrebbero semplicemente considerate come conformi alle "norme" della legge divina. Ma nella desocializzazione il normale spesso diventa anormale e viceversa, cosicché l'uomo che si dedica alla salute spirituale scopre che forse deve portare la croce delle varie forme di denigrazione e di rifiuto che scaturiscono dal suo essere diverso. (Segue)
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La demoralizzazione indotta dall'inganno costituisce un ulteriore colpo mortale sferrato alle persone spiritualmente sane. In verità, poche cose sono demoralizzanti quanto il tradimento. Coloro che vivono nel lato oscuro considerano gli altri come strumenti tramite i quali ottenere delle cose; dal loro punto di vista le persone sono oggetti da usare nella pratica dell'egoismo e nell'acquisizione di posizioni, potere, ricchezza, prestigio e piacere. Per loro è molto meglio prendere che dare, e in quest'ottica fanno ricorso all'inganno. La falsa buona volontà, la maschera dell'amicizia, la menzogna, la duplicità sono fenomeni dell'inganno considerati accettabili se mirati al profitto personale. E per questa mentalità, la persona spiritualmente sana diventa un bersaglio speciale, e una vittima designata di questo processo. Infatti l'uomo di buona volontà è naturalmente propenso ad aiutare, a dare e a offrire, perché fa parte della sua aspirazione alla comunità. Di conseguenza è una potenziale fonte di guadagno molto ricca, perché l'aspirazione è vulnerabile allo sfruttamento. A che pro andare a bussare alla porta dell'egoista? Parallelamente l'anima sana desidera accogliere le richieste che si basano su princìpi giusti, rispondere positivamente ai comportamenti radicati nel bene e al richiamo dei virtuosi. È per queste ragioni che viene avvicinata da coloro che vogliono sfruttare la sua generosità, e lo fanno mascherandosi in modo da suscitare fiducia e gentilezza. Scoprire che si tratta di un inganno è un'esperienza amara. Qualcosa di sacro è stato profanato e lo sconforto che si prova resta indelebile nella memoria ed è fonte di nuova pena. (Segue)
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