La sofferenza, nuovo linguaggio universale

Aperto da Finnegan, 1 Dicembre 2022, 02:40:04 AM

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Finnegan

Non dispiaccia il titolo in quest'epoca di "pensiero positivo" di marca anglosassone.
Vi è mai capitato di sentirvi maggiormente in sintonia con persone sofferenti anche molto diverse da voi, invece che con persone della cerchia sociale abituale ma senza spessore umano?
E' per me indelebile il ricordo di un barbone spagnolo ridotto allo stremo, su cui i passeri si posavano senza paura (gli animali sentono la bontà d'animo e non si possono ingannare); o i visi dei profughi caldei (Iraq) appena sbarcati, per non finire decapitati come i loro parenti. Gente di ogni età (anche coppie con figli) dai volti smarriti, segnati, umanissimi che non dimenticherò mai.
Mentre il mondo affonda nelle risate chiassose dei social, nasce un nuovo linguaggio universale degli esclusi dalla società dell'apparenza e dal potere. Che però, potrebbero essere un germe della società del futuro. Il futuro è dei sofferenti spiega Elémire Zolla e il potere che non lo capisce è spacciato, anche nella piena apparenza d'un rigoglio.
Il mondo è diventato una community ma forse già ora, noi siamo una comunità.
Lo previde 50 anni fa H. M. McLuhan nel suo libro (introvabile come sempre) War and Peace in the Global Village, in cui descrive i complessi aspetti di una terza guerra mondiale essenzialmente mediatica e tecnologica (le informazioni sono le nuove armi). Posso inviare il libro in PDF a chi volesse leggerlo, avvertendo che è molto complesso e scritto in uno stile "ermetico": quando McLuhan usò un linguaggio più esplicito, fu bandito ("banned") per dieci anni dagli editori:

The apostolate of pain is new in our time; but pain is a language in depth that transcends all linguistic and cultural barriers and is indeed a force of macroscopic gesticulation.
The electronic culture of the global village confronts us with a situation in which entire societies inter-communicate by a sort of "macroscopic gesticulation," which is not speech at all in the ordinary way.

Il vero linguaggio mondiale non sono i social, ma la profonda comunicazione nonverbale della sofferenza e dell'esclusione. Uno dei maestri di McLuhan, James Joyce, previde con un secolo di anticipo (Joyce utilizza un inglese modificato di sua invenzione, in cui ogni parola ha molti significati) il nascere di masse che il potere considera "buoni a nulla", nel suo Finnegans Wake:

...and, an you could peep inside the cerebralised sauce-pan of this eer illwinded goodfornobody, you would see in his house of thoughtsam ... what a jetsam litterage of convolvuli of times lost or strayed, of lands derelict and of tongues laggin too*, ... and equally so, the crame of the whole faustian fustian, ... though a day be as dense as a decade, ... FW 292.

Concludo con la copertina di un altro introvabile libro di McLuhan, che ben descrive la situazione sociale dei non-allineati: "Nel Paese degli orbi chi ha un occhio non è fortunato ma è l'idiota del villaggio":


* Passaggio che descrive lo squallore (lands derelict) e le vane risate di una cultura superficiale (tongues laughing) ma anche la sua ignoranza e incapacità verbale ("tongues lagging", lingue mancanti)
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Salar

Ciao Finnegan.
Guarda, fatico del tutto ad inquadrare il messaggio.
Ho visto molta sofferenza nella mia vita ma devo dire di essere stato più scandalizzato dalla bruttezza e dalla cattiveria.
Noi esseri umani siamo in fissa con queste 2 cose: sofferenza e morte.
In linea di massima io la vedo così
La prima è molto concreta per noi, dovessi analizzare un codice universale per definire cos'è la sofferenza e spiegarlo in modo rapido a un alieno proverei con un amanita falloide, rossa coi puntini bianchi, ogni volta che ho male da qualche parte mi viene in mente il fungo velenoso che con il colore rosso e i puntini bianchi spiega ai potenziali predatori umani e non , quale sarà il loro destino se lo mangiano.
La sofferenza è un contenuto emotivo e percettivo difficile da definire in modo non tautologico.
Io credo che la sofferenza abbia un forte contenuto emotivo, per me sofferenza e paura sono due cose quasi identiche.
Come l'attesa del piacere è essa stessa piacere, anche la paura del dolore è esso stesso dolore.
In linea di massima concordo con Orwell quando fa spiegare ad O Brien che " per esercitare un potere si deve somministrare dolore".
In sostanza una desensibilizzazione al dolore o una capacità di decondizionerei da esso toglie agli stron*i i loro artigli e ci libera.
Mi torturi?
Faccio comunque come penso e credo e dico io.
Mi fai paura?
Pazienza.
Tu sei Cristiano.
Io sono abbastanza scettico ultimamente ma credo che se i romani ti minacciano di crocifissione tu per fotterli non è che devi crocefiggere loro devi dirgli: dico e faccio quel che mi pare anche crocefisso.
Dolore potere e paura sembrano i tre vertici di uno stesso triangolo.
La morte è più sottile.
L'assenza di noi dal mondo o l'assenza del mondo da noi?
Visibile è visibile.
Comunicabile è comunicabile.
Mi scuso se sono andato fuori tema ma non ho compreso il senso complessivo, diciamo che i diseredati non so fino a che punto soffrano.
La questione è che sono tosti.
Fare accattonaggio è tosta, ti ci vuole carattere, sono gli sciocchi che pensano di essere "migliori".
Io credo che le società dove vaghi come un ebete accattone si, sono il futuro, ma un futuro di disgregazione umana.
Cioè da solo non fai nulla neanche in mezzo alla foresta, figurarsi nella urban Jungle.
Se tu ti trasferisci da solo in una grande città vagherai come un ebete accantonando attenzione e banali saluti e dialoghi, un sorriso di un non più avvenente tabaccaia è una boccata d'aria in un mare in cui affoghi.
Senza appigli umani spendi di più.
Spendi molto di più.
Se tu dai un euro a quelli che accattonano arriveranno a torme.
Come a Calcutta.
E io credo che molte città diventeranno degli indiani.
Io non ce l'ho fatta in quei contesti a continuare a trascinarmi come un ebete in un mezzo a una torma di primati disorientati incapaci anche solo di comunicare fra di loro.
Alle due di notte davanti a un kebab tutti zitti al cellulare, ragazzetti slavi magri e ben vestiti, marocchini con tipe al seguito neri con zaino glovo, tutti al cellulare, balene spiaggiate sembravamo.
Ecco in quel contesto l'umano si disgrega.
Si intossica.
Si avvelena.
Soffre.
Non ha neanche gli strumenti per sopravvivere.
Può solo fuggire.
Per ogni immigrato che arriva c'è prima stato un italiano che è scappato.

Finnegan

#2
Ciao Salar, post come sempre interessante.
McLuhan è un autore complesso e ha un modo non-lineare di comunicare, i suoi libri sono come degli haiku con frasi apparentemente slegate tra loro, che il lettore completa con il proprio vissuto e la propria esperienza. E' quasi impossibile comunicare il suo pensiero in maniera discorsiva.
In sintesi abbiamo da un lato un potere che provoca sofferenza perché disumanizza e atomizza la società (come nel bar di cui dicevi), dall'altro questa sofferenza unisce gli esseri umani anche se appartengono a culture molto diverse, perché la sofferenza è un linguaggio universale.
Altri testi spiegano che una nuova società sarebbe nata dalle ceneri di un'oppressione globale, che avrebbe fatto capire alla gente di appartenere alla stessa famiglia umana
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