Con quanto campa un padre separato

Aperto da Finnegan, 20 Maggio 2018, 10:23:00 PM

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Finnegan


I padri separati e il loro dramma silenzioso: le difficoltà economiche, la mancanza della casa e l'allontanamento dai figli

In Italia i padri separati sono circa 4 milioni, 800mila si trovano sulla soglia di povertà secondo il Rapporto Caritas 2014 . Un esercito di uomini che, complice la crisi economica, per sostenere il mantenimento dello stesso tenore di vita all'ex moglie e ai figli, non hanno i soldi per pagare un affitto e così vivono dentro un'automobile o sono ridotti allo stato di clochard. Papà in giacca e cravatta in fila alla mensa dei poveri, costretti a dormire in macchina e a farsi la doccia in ufficio.

"Non possono permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni, non possono scaldare adeguatamente casa e arrivano a fine mese con grande difficoltà", si legge nel Rapporto. Un fenomeno in continua crescita, come testimonia l'andamento dei servizi rivolti ai padri separati. "Dal 2013 a oggi sono aumentate le richieste di alloggi e servizi residenziali", spiega Laura De Lauso, responsabile dell'Ufficio Studi Caritas. "Per un papà separato la casa è una necessità, non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico. È uno spazio per ritrovare se stessi, per riprendere in mano la propria vita oltre che un luogo sano dove poter incontrare i figli".

La separazione, le difficoltà economiche, la mancanza di una casa. Un dramma silenzioso che confina molti uomini allo stato di indigenza a cui si somma il dolore per l'allontanamento dei figli. "Una quercia abbattuta senza più radici. Fragile, inerme e senza più dignità". Pagani descrive così la condizione di un uomo che, non più marito, non vuole rinunciare a essere padre e lotta ogni giorno, in silenzio, per non finire nel baratro della solitudine, dell'abbandono e della negazione dei suoi diritti di genitore. "Ogni bambino vede il proprio papà come un eroe", spiega ad HuffPost. "Ma dopo una separazione quella quercia forte e protettiva diventa una canna sbattuta dal vento. E quando un uomo non riesce più a prendersi cura della sua famiglia, perde la stima in se stesso e si sente un fallito".

A peggiorare questa situazione l'isolamento e la solitudine con cui molti uomini affrontano questo dramma. "Il padre separato non fa rumore, non chiede aiuto, si vergogna. Lo riconosci dallo sguardo perso e remissivo", racconta Pagani ad HuffPost. "Sono stato anch'io in quella situazione. La prima cosa che facevo al mattino quando mi svegliavo era pulire la macchina dove avevo dormito per cancellare ogni segno della notte precedente perché mi vergognavo". Il pudore, il bisogno di nascondersi e di non mostrare la propria debolezza di fronte ai figli. "Spesso gli uomini non hanno la forza morale per affrontare questa situazione. Così si innesca una spirale per cui i papà che non riescono a pagare gli alimenti si sentono in difetto e pensano di non meritarsi l'affetto dei figli".

"Io, padre separato, per 5 mesi ho dormito in macchina"

Con 1.200 euro di stipendio per un papà separato pagare gli alimenti per i figli è più che difficile
di Lidia Baratta
12 Gennaio 2013 - 07:05

RHO (MILANO) – «Si prega di rispettare il silenzio». Ad accoglierti nel collegio dei Padri oblati di Rho è un cartello che esorta a non fare rumore. Dietro il portone di legno della struttura di inizio Settecento, il rumore del traffico della cittadina dell'hinterland milanese è già un ricordo. Nel chiostro pulito con l'erba curata, accanto ai padri, quelli religiosi, si vedono camminare anche i papà. Quelli laici e separati. È qui che è nata la "casa" che accoglie gli uomini che dopo il divorzio sono rimasti senza un tetto. Le stanze messe a disposizione sono 15, ma al momento solo sei sono occupate. Con 1.200 euro di stipendio,  pagare gli alimenti per i figli, l'affitto di una nuova casa e magari il mutuo di quella vecchia diventa impossibile. Così si finisce in fila alle mense della Caritas o a dormire sulla scalinata della stazione Centrale di Milano. Il progetto, nato nel 2010 in collaborazione con la provincia di Milano, è ufficialmente terminato il 31 dicembre del 2012. «Tra un annuncio e l'altro sulla abolizione delle province, non sapevamo se sarebbe andato avanti», dice Michele Elli, padre superiore del collegio. «Ma ora dalla Regione Lombardia mi hanno dimostrato la volontà di proseguire».

In questi anni, dalle stanze di Corso Europa sono passati circa trenta papà. Dalla separazione alle notti in macchina il passo è più breve di quanto si pensi. «Noi mettiamo a disposizione le camere», spiega padre Michele, «offriamo un posto dove vivere e dove poter anche accogliere i figli». Quella dei padri separati in difficoltà «è un'urgenza sociale epocale che mostra la fatica di tener su la famiglia», dice il padre superiore. A Milano, secondo i più recenti dati della Caritas, almeno 50mila persone vivono una situazione che, dopo la separazione, rasenta il tracollo finanziario. L'iniziativa di Rho non è l'unica. In città ci sono diversi dormitori che hanno aperto le porte a questi nuovi poveri. E anche alcune case confiscate alle mafie sono state destinate a questi progetti.

Non solo Milano, in base agli ultimi dati Istat, in Italia il 46% delle persone separate o divorziate dichiara un peggioramento delle condizioni economiche. La vita peggiora di più per chi, al momento della rottura, ha figli. A pagare, sono soprattutto gli uomini. Nel 2010 le separazioni con assegno corrisposto dal marito sono state il 97,8 per cento. Importo medio: 447 euro mensili. A essersi invertita, però, a partire dal 2006, è stata la quota di affidamenti dei figli concessi alla madre, che si è fortemente ridotta a vantaggio dell'affido condiviso. Il "sorpasso" vero e proprio è avvenuto nel 2007 (72,1% di separazioni con figli in affido condiviso contro il 25,6% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre), per poi consolidarsi negli anni successivi. Nel 2010 le separazioni con figli in affido condiviso sono state l'89,8% contro il 9% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre. La quota di affidamenti concessi al padre, però, continua a rimanere su livelli molto bassi. E anche la casa nel 56,2% delle separazioni viene assegnata alla moglie, con un picco del 62,8% nel Sud.

L'iniziativa della Provincia di Milano prevede l'assegnazione di un posto dove vivere ai papà in difficoltà residenti nel milanese. La permanenza massima prevista nel progetto è di otto mesi, con proroghe fino a 12 mesi. Ma c'è anche chi in Corso Europa ha superato il traguardo dell'anno.

Mauro, 42 anni, vive da quasi dieci mesi nella camera A11, al secondo piano dellla struttura. «È come un albergo», dice mentre gira chiave nella serratura. Ma i corridoi spogli ricordano più quelli di un convento che la hall di un hotel. Mauro si scusa per non aver rifatto il letto. «È a una piazza e mezzo», dice, «così quando viene mio figlio dormiamo insieme». Ma «se faccio richiesta i padri mi aggiungono pure un lettino singolo». A completare la stanza ci sono una scrivania con un piccolo computer grigio, un tavolo con il microonde, una poltrona e un bagno. «Gli altri mangiano qui e riscaldano i piatti al microonde o cucinano con un fornellino elettrico», continua, «io non ce la faccio e alla fine mangio sempre fuori».

Dopo vent'anni di matrimonio e un figlio (che lui chiama «bambino» ma ha ormai dodici anni), un anno fa per Mauro arriva la separazione. Con due lavori – consegna dei giornali di notte e call center di giorno – all'inizio riesce a tirare avanti. Affitta una casa a Cantù e per i primi tempi anche gli oltre 300 euro di alimenti per moglie e figlio non sono uno scoglio insormontabile. «Ma poi ho avuto un calo emotivo», racconta, «ho avuto la percezione che tutto il mondo ce l'avesse con me e così ho perso il lavoro di consegna dei giornali. Finché non sono più riuscito a pagare l'affitto, ho lasciato la casa e ho cominciato a vivere in macchina».

Nella sua Smart a quattro posti Mauro trascorre cinque mesi. «A parte un paio di notti», dice, «quando riuscivo a mettere da parte 50 euro per poter prendere una stanza d'albergo e dormire insieme a mio figlio». Per il resto, tante notti nei piazzali degli Autogrill, «che sono più sicuri». «Imitavo i camionisti abituati a questa vita per lavarmi, fare la barba e cambiarmi», racconta. Quando poi il freddo fuori si faceva sentire, «andavo a fare un giro nel bar». In questi lunghi mesi, racconta Mauro, «ho incrociato tanti disperati sulla mia strada che facevano la mia stessa vita, molti dei quali erano padri separati».

«Certo», ammette, «potevo andare alla Caritas a chiedere un letto e un pasto caldo, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo». Tra i quattro sportelli della macchina passano i mesi invernali, quelli più freddi. «Nella macchina si dorme male e poco», racconta, «ma di giorno cercavo comunque di essere una persona normale, andavo a lavorare nel call center e ogni tanto andavo a casa di un amico per fare una doccia e lasciare le valigie, in modo da avere più spazio in auto». Pranzo e cena non erano una abitudine di tutti i giorni. «Mangiavo quando potevo». Ma, dice orgoglioso, «non ho mai fatto mancare gli alimenti a mio figlio». Eppure, prosegue con un po' di nostalgia, «prima avevo pure una bella casetta, una villettina. Per fortuna avevamo finito di pagare il mutuo». «Se avessi voluto, gli amici o la famiglia avrebbero potuto aiutarmi. Ma in questa situazione mi ero ficcato da solo e da solo volevo uscirne». Finché «ho capito che non ce la facevo più. Vado dai servizi sociali e racconto che da cinque anni dormivo in macchina. L'impiegato di fronte mi dice: "Ma sta scherzando?"».

Compilati tutti i moduli, ad aprile Mauro riesce a entrare in lista per avere una stanza a Rho. «Mi ero autodistrutto», dice, «tanto che appena mi sono rilassato un po', mentre ero qui nel giardino del collegio con mio figlio, sono stato colpito da un ictus». I motivi, è facile intuirlo, erano lo stress e la mancanza di sonno. Dopo un periodo di convalescenza, ora Mauro fa i controlli di routine e riesce a tirare avanti facendo da autista «a una signora facoltosa di Milano» e «collaborando nella logistica e nella organizzazione di alcuni spettacoli teatrali». Anche perché, per accedere alle stanze di Corso Europa, un reddito minimo bisogna avercelo. Una Commissione, si legge nel regolamento, valuta la consistenza del reddito residuo (tolte le quote di mantenimento ai figli e alla ex moglie/convivente, il pagamento di eventuale mutuo della casa coniugale) per far fronte al proprio mantenimento e al pagamento di un affitto a prezzo di mercato. «Il pagamento mensile», spiega padre Elli, «è diviso tra un contributo da parte della provincia e contributo da parte dei papà, ma a un prezzo calmierato». Il costo complessivo è di 400 euro, da dividere per due. «Diamo i soldi all'economo mese per mese, ma se non ce li hai i padri chiudono un occhio e puoi anche darli dopo», racconta Mauro.

I papà non fanno vita da collegio, né partecipano alle funzioni religiose del santuario che si trova accanto. La maggior parte della giornata avviene oltre le mura di quelle stanze. Anche perché non c'è una mensa dove andare a mangiare. Nella struttura c'è solo un bar dove prima di pranzo gli anziani del posto si riusniscono per l'aperitivo. «Qui ci danno solo da dormire», racconta Giancarlo, che nel collegio vive da più di un anno anni. Per lui, 55 anni, che ogni giorno si divide tra colloqui di lavoro e un piccolo laboratorio fotografico di Milano, anche il pranzo può essere una spesa insormontabile. «L'altro giorno mi erano rimasti gli ultimi trenta centesimi in tasca», racconta col suo accento romano, «sono andato in un panificio e gli ho detto: "Cosa mi potete dare con 30 centesimi?". Mi hanno presentato un panino minuscolo. Sai che gli ho risposto? "Tenetevelo e tenetevi pure i 30 centesimi"». Ex fotoreporter, Giancarlo racconta di anni «indimenticabili» trascorsi tra Roma, Londra e gli Stati Uniti. Racconta delle sue foto «di contorno», come le chiama lui. Come quelle fatta dopo l'attentato alla Sinagoga di via dei Serpenti, «che solo i giornali stranieri apprezzavano».

In Inghilterra Giancarlo conosce quella che sarebbe diventata sua moglie e la madre delle sue due figlie, che oggi hanno 16 e 18 anni. «Dopo vent'anni fuori Roma», racconta, «siamo tornati in provincia di Milano. Ho aperto un laboratorio fotografico di fotografia analogica in bianco e nero. Ma dopo l'11 settembre 2001, i clienti americani, che erano i principali clienti, sono via via diminuiti. Finché sono stato costretto a chiudere la baracca». In questi anni Giancarlo si è arrangiato con altri lavori, anche nelle cucina dei grandi ristoranti di Milano. Fino al suo ultimo impiego da autista. Due anni fa. Da allora, il vuoto. «Questa situazione non è andata bene a mia moglie. Ognuno ha il suo modo di reagire ai problemi». Così arriva la separazione, l'uscita da casa e la richiesta di ingresso nel collegio di Rho. «Non avevo neanche una macchina», dice, «l'alternativa era dormire sotto le stelle».

Nel chiostro cammina un papà che tiene per mano i suoi due figli. Mauro lo saluta mentre mette il tabacco nella cartina. «È da due anni che non riesco a trovare un'occupazione. Non faccio che errare da posto in posto», dice. Il problema principale «è l'età, l'esperienza non conta. Questa è una ingiustizia». Spesso, continua, «non ho i soldi per comprarmi da mangiare». E gli alimenti a moglie e figli? «Non posso darli», risponde. «Non mi resta che tornare in Inghilterra, ho già sentito alcuni amici. I soldi per un biglietto Ryan Air riuscirò a tirarli su».

«Quello che manca al progetto», spiega padre Elli, «è una rete di servizi che possa garantire un reinserimento dei papà nella normalità. Questo posto deve essere come un pronto soccorso di sei-sette mesi. Bisogna trovare accordi, ad esempio, con i comuni d'origine per trovare un posto di lavoro e favorire l'uscita dal collegio». Lo dice anche Mauro: «Per tanti che stanno qui le cose vanno sempre peggio. Man mano che si va avanti non si riesce a pagare l'assicurazione per la macchina, si perde l'automobile ecc. Bisogna pensare anche al dopo, altrimenti restiamo qui immobili in questa situazione di difficoltà».

http://www.linkiesta.it/it/article/2013/01/12/io-padre-separato-per-5-mesi-ho-dormito-in-macchina/11569/

Un rapporto, quello con il bambino, che rischia di incrinarsi con il venir meno della quotidianità. Dopo la separazione la relazione con il figlio cambia e il più delle volte in senso negativo tanto da parlare in alcuni casi di crisi del rapporto. Una ferita aperta per molti uomini che si sentono privati della possibilità di trascorrere più tempo insieme al bambino. "Il 58,1% dei padri intervistati denuncia un peggioramento nella qualità dei rapporti con i figli", si legge nel Rapporto. "Le madri invece riconoscono per lo più un miglioramento". A rendere insoddisfatti i papà sono la frequenza delle visite, i luoghi degli incontri e l'impossibilità di partecipare a momenti importanti della vita del bambino come compleanni, feste e altre ricorrenze. "Alcune mamme tendono persino a ostacolare il rapporto padre-figlio", spiega l'avvocato Walter Buscema, presidente di 'Nessuno tocchi papà', associazione che si occupa di dare voce ai padri separati. "E così, dopo la fine del matrimonio molti cercano di rafforzare il rapporto con il bambino viziandolo, e diventando poi dei compagni di gioco più che dei papà".

Le associazioni a difesa dei padri separati la chiamano "paternità negata" e denunciano una disparità di trattamento tra uomo e donna dopo la fine della relazione quando di mezzo ci sono i figli. "I papà sono trattati dallo Stato come genitori di serie B", spiega Buscema ad HuffPost. "Spesso si dice che i figli dei separati siano orfani di padri viventi. È una provocazione ma rispecchia la realtà di molte famiglie in Italia. Colpa di una legge che risente ancora del vecchio pregiudizio secondo cui i figli sono solo della mamma. Ma i bambini hanno diritto di godere dell'affetto di entrambi".

https://www.huffingtonpost.it/2016/11/22/padri-separati-figli-_n_13145504.html

"Io, padre separato, vivo in camper per stare con mio figlio portato in un'altra città dalla madre". La storia di Stefano

"Dopo la separazione ho comprato un camper. Una casa in miniatura per i fine settimana con mio figlio", racconta Stefano, 43 anni, padre separato di Genova. "Col tempo è diventato il nostro piccolo rifugio su due ruote. Vado a prenderlo tre volte al mese a Como, dalla mamma, e al posto di girare per hotel o prendere una stanza in affitto, ci divertiamo a colorare il nostro camper e a riempirlo di ricordi. Così è come se vivessimo in una casa vera".

Dopo un matrimonio finito male, Stefano decide di non rinunciare a essere padre anche se la sua ex moglie da un giorno all'altro ha scelto di allontanarsi dalla città, privandolo della possibilità di vedere il bambino tutti i giorni. "Una sera ho chiamato mio figlio per dargli la buonanotte", racconta ad HuffPost. "Lo sentivo agitato, e poi mi ha detto: 'Non ti preoccupare papà, tanto ci vedremo lo stesso anche se saremo lontani'. Non capivo a cosa alludesse. Allora mi sono fatto passare la mamma: 'Ho già fatto le valigie. Domani abbiamo il treno alle 7 e non torneremo mai più a Genova'. Quella è stata la notte più buia della mia vita".

Ma Stefano non si arrende. "La mattina seguente sono andato in stazione per provare a fermarla ma la polizia mi ha intimato di non farlo: avrei rischiato una denuncia. E così sono partiti per Como. Ho visto il treno allontanarsi e sono rimasto in stazione, impotente, per ore prima di arrendermi e tornare a casa, in lacrime", ricorda. "Ero disperato. Avevo perso tutto, rivolevo mio figlio".

Stefano e Paola (i nomi sono di fantasia) si erano conosciuti in vacanza: dopo una relazione a distanza, il matrimonio a Genova e il desiderio comune di un figlio arrivato subito. Ma dopo la nascita del bambino qualcosa tra loro si è rotto. "Non stavo più bene a casa. Non riuscivo a sentirmi un papà. Tra Paola e il bambino si era creato un rapporto esclusivo e lei non mi permetteva di stare vicino a mio figlio come avrei voluto", spiega Stefano ad HuffPost. "Nei rari momenti che passavamo insieme lo portavo in campagna a vedere gli animali, a giocare al parco o a mangiare un gelato con i suoi compagni d'asilo. Stavamo bene io e lui soli. Ma appena rientravamo a casa per me era l'inferno. Ero escluso da tutto".

Stefano decide anche di provare a chiedere supporto a uno psicologo ma la situazione in famiglia, giorno dopo giorno, diventava sempre più insostenibile. "Così, dopo qualche anno, ho scelto di uscirne nel peggiore dei modi: me ne sono andato di casa. Il bambino aveva sei anni". Da quel momento per Stefano è iniziato un periodo buio fatto di solitudine e crisi, anche personale. Lotte quotidiane per vedere il bambino, una battaglia legale per difendere il suo diritto di essere padre, denunce per "aggressione" e "mancato mantenimento" – accuse poi rivelatesi infondate -, fino al pedinamento di un investigatore privato assoldato dalla donna che poi è diventata la sua ex moglie. "Ho dato fondo a tutti i miei risparmi per dimostrare che non era vero nulla. Non avevo un'amante e pagavo tutte le spese, per mio figlio e per la mia ex moglie. Tanto che dopo la separazione, il giudice ha persino abbassato la cifra di mantenimento da 750 euro a 600 mensili. Di solito non accade".

Una battaglia per rivendicare il proprio ruolo di padre e il diritto di essere presente nella vita dei figli anche dopo la separazione. Una battaglia che accomuna la storia di Stefano a quella di tanti altri padri in Italia. "Ma non rimpiango nulla. Mi manca solo la quotidianità di vedere mio figlio tutti i giorni", racconta Stefano. "Sul piano emotivo è difficile da sopportare. Potevo lottare ancora di più ma non me la sono sentita: il bambino aveva già sofferto troppo in questi anni e per il suo bene ho ceduto al trasferimento a Como". Ma il ricordo di quegli anni non si cancella. "Se mi guardo indietro, la parola che accomuna tanti padri separati come me è la solitudine", spiega Stefano. "In queste situazioni, quando ci sono di mezzo i bambini, l'80 per cento delle persone che hai intorno spariscono. La solidarietà va sempre alla mamma, come se una donna soffrisse di più".

https://www.huffingtonpost.it/2016/11/23/padre-separato-vive-camper_n_13165264.html

Alzi la mano chi non ha mai letto di padri separati finiti alla Caritas o che si sono arrangiati alla bell'e meglio per non finirci. Il web pullula delle loro storie, tanto che ormai è chiaro a tutti quel che può accadere quando un matrimonio finisce sul binario morto della separazione.

Alla madre vanno la casa coniugale (quando c'è), i soldi per il mantenimento dei figli e il 50% delle spese straordinarie (mediche, scolastiche e sportive). E, come se non bastasse, il padre deve farsi anche carico della rata del mutuo (metà, se non tutta) di una casa di cui non disporrà più fino all'indipendenza economica dei figli e dell'affitto per una nuova abitazione in cui poter esercitare il proprio diritto di visita.

Così la povertà è sempre in agguato. È in questi particolari casi che lo Stato giunge in soccorso. In tutta Italia è un fiorire continuo di strutture di accoglienza ad hoc: Bolzano, Milano, Rimini, Roma, Savona, Torino, Venezia. Tra le ultime, in ordine cronologico, Prato. "Sei un padre separato? Lo Stato ti aiuta". Basta uno slogan da cavalcare in campagna elettorale, il "giusto" contributo di soldi pubblici e una buona dose di demagogia. E giù consensi. Tutti a dire "bella iniziativa", "ci voleva", "era ora che qualcuno li togliesse dalla strada".

Così le case per i padri separati prendono piede. A quelle già esistenti se ne aggiungono di nuove e chissà quante altre ne seguiranno. Forse una in ogni capoluogo di provincia. Insomma minimo sforzo, massima resa: di soldi, di consensi, di voti. Peccato che un tetto sopra alla testa l'avrebbero bisogno in migliaia, non qualche sparuta decina. Ma tant'è. In fin dei conti basta un poco di zucchero...E la pillola va giù? Non proprio. In un Paese civile simili strutture non dovrebbero neppure esistere. In Italia, invece, non solo esistono, ma addirittura proliferano per una distorsione legislativa secondo cui, in funzione dell'interesse prioritario dei figli, in caso di proprietà comune tocca al padre lasciare la casa, mentre, se la madre non vanta alcun titolo di proprietà sull'immobile, il giudice non può "espropriare" il bene per darlo all'altro genitore. In altre parole la debolezza economica non viene considerata ai fini dell'assegnazione della casa coniugale. Dettagli giuridici, certo, ma ci sarà un motivo se più di una volta la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per non aver garantito i diritti dei padri separati. C'è un limite alla propaganda politica oltre il quale sarebbe bene non andare.

Uno Stato dovrebbe scoraggiare la povertà, non favorirla. Trovare soluzioni, non palliativi. Basterebbe ripensare a livello legislativo, secondo una visione più bilanciata dei diritti, una diversa regolamentazione della casa coniugale. Forse, però, lo Stato non ha nulla da guadagnarci.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/05/padri-separati-poverta-complice/1475391/

L'affido condiviso. I papà ancora discriminati

E' stata quasi totalmente sdoganata dai tribunali italiani, che la applicano massivamente. Ma secondo alcuni autorevoli critici è stata anche purtroppo svuotata degli obiettivi per cui era nata: la legge 54 sull'affidamento condiviso dei figli nelle separazioni e nei divorzi ha da poco superato il settimo anno ed è oggetto di profondo dibattito.
Sul tavolo c'è, prima di tutto, la domanda se sia veramente uscita dalla carta. Insomma, l'affidamento condiviso ha davvero realizzato quel principio di bigenitorialità secondo cui, pur nella separazione, padri e madri devono mantenere pari diritti e pari doveri nella cura e nell'educazione dei figli?

Secondo le ultime rilevazioni Istat (anno 2010) in Italia le separazioni sono state 88.191 e i divorzi 54.160. Il fenomeno è in crescita costante: se nel 1995 c'erano 158 separazioni e 80 divorzi ogni 1000 matrimoni, ora si registrano 307 separazioni e 182 divorzi. Quasi il 70% delle separazioni e quasi il 60% dei divorzi coinvolge coppie con figli.
E qui arriviamo all'applicazione, quasi a tappeto, dell'affidamento condiviso: è stato previsto nell'89,8% delle separazioni e nel 73,8% dei divorzi.

I figli coinvolti nel fenomeno non sono pochi: si tratta complessivamente di 153.331 tra bambini, adolescenti e maggiorenni. Di questi, 88.972 sono minorenni e sono dunque stati affidati secondo il regime della legge 54 o, per casi ormai residuali, in affidamento esclusivo.

Fino al 2005, l'affidamento esclusivo dei figli minori alla madre è stata la situazione ampiamente prevalente. C'era una previsione di "calendari di visita" riservati ai padri, che si trovavano però estromessi dalla vita quotidiana dei piccoli nonché dalle decisioni che li riguardavano, dal momento che la potestà genitoriale spettava in modo esclusivo al genitore affidatario.

Con l'entrata in vigore della Legge 54/2006 l'ottica è stata ribaltata: secondo la nuova legge entrambi i genitori ex-coniugi conservano la potestà genitoriale e devono provvedere al sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito. E' previsto un assegno al coniuge economicamente più debole (ma attualmente è concesso solo nel 20% dei casi), cumulabile a quello per i figli, che viene previsto nel 73% delle separazioni. Entrambi i tipi di contributo ammontano in media a poco più di 400 euro, 480 per i figli.

Se questo è il quadro formale, gli aspetti sostanziali legati alla corretta applicazione della legge 54 mostrano tutte le difficoltà culturali, organizzative, sociali, che essa ha incontrato in questi anni.

Una delle maggiori critiche alla legge riguarda la sostanziale "fatica" del sistema, della magistratura in particolare, ad abbracciare pienamente l'innovazione e a evitare di ripetere i vecchi schemi, come l'indicazione della madre "collocataria principale" e la stesura di un calendario minimo di visita che replica le vecchie dinamiche dell'affidamento esclusivo.

Secondo altri – e opposti - punti di vista, l'affidamento condiviso rischia invece di aumentare l'esasperazione dei rapporti e creerebbe un corto circuito nella gestione delle rispettive spese sostenute per i figli (il testo normativo infatti ha eliminato il riferimento a un assegno di mantenimento fisso).

In questi ultimi due anni è stato discusso al Senato un disegno di legge di riforma della legge 54, il ddl 957, ispirato al lavoro dell'associazione Crescere Insieme, presieduta dal professor Marino Maglietta, che è stato l'ispiratore dell'affido condiviso. Il testo era volto a dare maggior sostanza agli obiettivi dell'attuale norma, favorendo ad esempio la situazione di un doppio domicilio per i figli, per vivere la quotidianità con entrambi i genitori. Finita la Legislatura, l'iter della proposta si è interrotto e un nuovo testo dovrà essere ripresentato.

Tra questi molteplici chiaroscuri, l'affidamento condiviso resta oggi una grande opportunità, per i genitori, di dimostrare ai figli l'amore e il senso di responsabilità che li tiene legati, a prescindere dalla vicenda della separazione.


                                                                                               Benedetta Verrini

L'affido condiviso? E' rimasto sulla carta. Quella grande rivoluzione, rappresentata dall'affermazione del principio di bigenitorialità come valore da difendere in tutti i casi di separazione, non è ancora riuscita a realizzare il cambiamento sperato. La prassi giurisprudenziale ha trovato gli escamotage per mantenere gran parte delle separazioni in una condizione da pre-riforma. Marino Maglietta, presidente dell'associazione Crescere Insieme, docente universitario e ispiratore della legge 54 del 2006, stila un severo bilancio dei primi anni di applicazione dell'affidamento condiviso.

«E' stata adottata una - neanche troppo sottile - modifica lessicale», spiega. «Non si parla più di genitore affidatario ma di genitore collocatario. Si tratta ancora, in prevalenza, della madre, che trascorre con i figli la gran parte del tempo, resta nella casa familiare e si fa carico di tutte le decisioni e i compiti di cura. Con questa impostazione, va da sé che la stragrande maggioranza delle sentenze ripescano il vecchio diritto di visita del padre e dispongano un assegno di mantenimento per i figli, che nella ratio della legge doveva restare residuale ed esclusivamente perequativo».

Cosa è successo? «E' successo che la magistratura si è opposta all'applicazione della legge», sottolinea Maglietta. «Un po' per fattori culturali, un po' per difficoltà a ribaltare prassi ormai consolidate, il sistema ha respinto la portata innovativa dell'affido condiviso. Certamente, per applicarlo nel modo giusto, garantendo il pieno coinvolgimento dei padri e delle madri nella vita dei figli, è necessario entrare in ciascun caso, approfondirlo, sforzarsi di sollevare gli occhi dai moduli pre-stampati che azzerano la specificità di ogni storia familiare».

Non a caso, osserva Maglietta, gli unici veri affidamenti condivisi i genitori sono costretti a pretenderli e a farseli da soli, con l'assistenza di mediatori. Ma quanta buona volontà, quanta fiducia reciproca, quanta consapevolezza e corretta informazione servono per arrivare a questo traguardo? In questo senso, il promotore dell'affidamento condiviso non è tenero nemmeno con la categoria degli avvocati che, a suo avviso, «non ha apprezzato il fatto che la legge 54 andasse a ridurre i contenziosi, disinnescando lo scenario vincitori-vinti».

«Per questo motivo, dopo aver a lungo monitorato la situazione, abbiamo ispirato la proposta di legge 957 in discussione in Senato, il cui iter è stato interrotto dalla fine della Legislatura. Continueremo a lavorare perché possa essere riproposta, e nel frattempo anche aggiornata», dice. «L'ipotesi legata alla riforma della legge 54 è quella di "riscriverne" alcuni passaggi in modo che la sua applicazione diventi assolutamente ineludibile».

L'idea di fondo è quella di ribadire la pariteticità delle responsabilità e dei doveri di cura dei genitori, «pariteticità che non significa una divisione al 50 per cento dei tempi», sottolinea Maglietta, chiarendo una volta per tutte un aspetto particolarmente dibattuto della proposta. E di fronte allo scalpore che ha suscitato l'idea del "doppio domicilio", il professore ricorda che la bigenitorialità si sostanzia nella quotidianità con i figli, nella possibilità che "casa" sia l'appartamento del papà così come quello della mamma.

Il corollario di questa impostazione è il superamento di tutte le rigidità legate ai tempi di visita e all'assegno di mantenimento. «Se anche il padre è presente nella vita quotidiana dei ragazzi, non ha senso impostare un rigido calendario di visita e non ha senso dibattere sull'ammontare di un contributo fisso. Con il "vecchio" assegno, infatti, i padri liquidavano anche tutti gli obblighi di cura che finivano sulle spalle delle ex mogli. Ora la gran parte delle mamme sarebbe davvero sollevata di fronte alla possibilità di contare soprattutto sul tempo dei padri, più che sul loro denaro».

                                                                                             Benedetta Verrini

«Una nuova e doppia realtà è inevitabile per il figlio di una coppia che si separa, così come all'inizio sono da mettere in conto i capricci e i piccoli opportunismi di ogni giorno. Ciò che va invece curato da subito è la qualità della relazione, la sintonia tra ex coniugi su ruoli e compiti educativi». Lo sostiene con chiarezza Fulvio Scaparro, psicoterapeuta e fondatore dell'associazione milanese GeA, Genitori ancora, che da oltre 25 anni promuove la cultura della genitorialità oltre la separazione e il divorzio.

«E' importante che questa dimensione continui attraverso la relazione tra madre e padre e non a livello individuale. Per un figlio di separati infatti il dolore più grande non è spostarsi da una casa all'altra ma passare attraverso messaggi contrastanti, spesso bellicosi senza contare che a volte il bambino stesso diventa messaggero di rabbie e ostilità».

Difficile però dialogare con equilibrio e coerenza sul terreno quasi sempre aspro di una separazione. «Ma passato il periodo della tempesta deve sopraggiungere la capacità di distinguere il fallimento matrimoniale dal progetto genitoriale. Anzi, lo stesso matrimonio non sarà stato vissuto invano se i figli potranno continuare a contare su mamme e papà capaci di crescerli in armonia.  Proprio nelle difficoltà i "buoni" genitori si dimostrano tali».

Per questo Scaparro invita i genitori che affrontano una separazione a farsi aiutare, avvalendosi dei servizi di mediazione familiare e ancora prima a formarsi. «Esistono corsi di preparazione sulla genitorialità, responsabilità comune e irreversibile, così irreversibile che andrebbe trasmessa chiaramente anche nei corsi pre-matrimoniali per ricordare sempre che si può smettere di essere coppia nella passione e negli affetti ma non si finisce mai di essere genitori».

                                                                                                   Paola Molteni

Nel dibattito su una possibile riforma della legge 54/2006 l'Aiaf - Associazione Italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori ha preso una posizione netta, già nel 2011, per ribadire che non vi sono reali necessità di modifica.

Quello che serve, piuttosto, per far decollare il principio di bigenitorialità, sarebbe «un'equa ripartizione dei compiti domestici e di cura dei figli, nel momento della convivenza come nella fase di separazione della coppia genitoriale; un più efficace intervento culturale sulle responsabilità familiari e genitoriali e un concreto sostegno alle famiglie; servono interventi di tipo psicologico e relazionale a sostegno della genitorialità, soprattutto nei casi di conflittualità tra i genitori, e una fattiva politica di ampliamento dei servizi sul territorio». Così aveva scritto, in un intervento lucido e appassionato, la compianta Milena Pini, che ha guidato per anni l'Aiaf e che è recentemente scomparsa.

In sintonia con il suo pensiero, gli avvocati aderenti all'associazione guardano con preoccupazione a interventi che possano irrigidire, o dettagliare all'estremo, i principi fissati dalla legge sull'affidamento condiviso.

«Il concetto della condivisione non può essere ridotto a una quasi "scientifica" separazione al 50% del tempo trascorso con padre e madre. E' necessario elevarlo a un altro piano, quello educativo, rassicurando i bambini che la mamma e il papà sono coinvolti nella loro vita e sono d'accordo sulle scelte che li riguardano, dalla scuola agli sport, passando per l'educazione e gli orari», spiega Luisella Fanni, vicepresidente Aiaf.
«L'ipotesi di imporre un doppio domicilio, contenuta nell'ultima proposta di riforma della legge 54, mi pare davvero di difficile realizzazione, perché dipende dal livello di conflittualità della coppia ma anche dall'età e dalle abitudini dei figli. Non mi pare giusto che, soprattutto quando sono piccoli, abbiano confusione su dove devono stare e su quale sia la loro casa. Gradualmente potranno capire che dove c'è un genitore che li ama e si prende cura di loro, lì c'è una loro casa».

L'avvocato Fanni cita casi in cui gli ex coniugi sono riusciti a collaborare e a trovare soluzioni molto equilibrate, «ma serve un grande lavoro da parte degli avvocati per far capire, ad esempio, a certi padri che fanno mancare il loro sostegno economico, che i figli devono essere mantenuti; e a certe madri che i bambini non sono una proprietà e non esiste una competenza esclusiva nell'accudimento, in cui bisogna coinvolgere anche i padri, quelli che già lo facevano e quelli che devono imparare a farlo».

Nelle separazioni è passato il mito della vittoria a tutti i costi? «Per gli avvocati Aiaf sicuramente sì. Siamo consapevoli che la miglior vittoria, il più delle volte, è quella in cui si trova un punto di mediazione, in cui si fa capire - anche alla coppia più conflittuale - che i figli hanno il diritto di mantenere le relazioni con entrambi e con i loro familiari. Qui non ci sono vittorie o sconfitte, c'è solo l'importanza di rispettare i propri doveri, oltre a reclamare diritti».

La grande spinta culturale che serve alla legge 54 per poter decollare coinvolge l'intero sistema, avverte l'avvocatessa. Giudici, avvocati, ma anche mediatori e psicologi e tutte le competenze coinvolte nella separazione sono chiamati a consapevolizzare la coppia sui doveri nei confronti dei figli e sul senso profondo del continuare a essere genitori. «Dobbiamo chiederci cosa perdono quei bambini» dice, «e cosa possiamo fare per continuare a garantirglielo. E' necessario altresì valutare quali erano le abitudini precedenti di quella famiglia e modellare il futuro dei bambini su di esse, chiamando i genitori a fare la loro parte perché, anche se non si è più mariti o mogli, si resta madri e padri per sempre».

                                                                                           Benedetta Verrini

Il diritto di un bambino di avere sempre accanto entrambi i genitori, anche dopo la loro separazione, resta sulla carta. Sì perché nonostante la Corte di Cassazione abbia stabilito che l'affido condiviso dei figli debba essere seguito di regola nei casi di separazione, l'istituto non viene effettivamente applicato.

Dati e considerazioni emergono da un recente convegno organizzato a Roma dal Centro studi sul diritto della famiglia e dei minori. In Italia il 49% delle coppie che si separano e il 33% di quelle che divorziano hanno almeno un figlio minore e le separazioni per cui è stato stabilito l'affidamento congiunto toccano l'89,8%. Disposizioni ben lontane della realtà però, come informa una ricerca del centro, secondo la quale per l'88% dei padri separati l'affido condiviso è inefficace (nel 92% dei casi il figlio viene affidato di fatto alla madre).

«E così il minore continua a trovarsi in mezzo a un genitore "collocatario" (di solito la madre) e a uno "marginalizzato" - commenta l'avvocato Matteo Santini, direttore del centro - squilibrio che secondo un nuovo disegno di legge si risolverebbe garantendo ai figli dei separati una doppia casa e un doppio domicilio». Ma non sempre duplicare case e organizzazione quotidiana significa garantire una reale condivisione.

Lo conferma Anna, 40 anni, mamma di due bambini di 13 e 9 anni, separata da più di un anno. «I nostri figli hanno la fortuna di poter contare su due case vicine, dividono la loro settimana tra me e il papà e stiamo attenti a non far mancare loro niente. Non riusciamo però a comunicare sulle loro emozioni e sui bisogni educativi e abbiamo mantenuto le abitudini di prima: io sono quella severa, con lui si divertono però non fanno mai i compiti! Con il risultato che, così "sdoppiati", anche se mi sembrano sereni diventano sempre più insofferenti alle regole e opportunisti».

                                                                                                 Paola Molteni

L'affido condiviso? Il suo riconoscimento legislativo e la sua diffusione nella prassi delle separazioni italiane sono un fatto molto positivo, che ha consentito di riportare i padri sulla scena educativa e affettiva nella relazione con i figli. «Ma un coinvolgimento significativo non significa, necessariamente, una suddivisione al 50% di tutte le responsabilità organizzative e genitoriali. Ogni separazione è una storia a sé. Se l'affido condiviso deve trasformarsi in una lotta per avere tutto doppio, diventa una follia». Costanza Marzotto è psicologa, mediatrice familiare, direttore del Master biennale in Mediazione familiare e comunitaria all'Università Cattolica e membro dell'équipe del Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia che da anni ha istituito anche i Gruppi di parola per i figli dei genitori separati (www.unicatt.it/serviziocoppiafamiglia).
Rispetto alle dinamiche e alla riuscita dell'affido condiviso in Italia ha una visione estremamente lucida, che tiene conto anche del panorama internazionale in cui questa esperienza ha già una lunga e importante storia da raccontare.

Nell'ultima legislatura si è discusso di una proposta per incentivare ulteriormente l'affido condiviso, facendo sì che i figli dei separati abbiano davvero due domicili, due abitazioni, doppi luoghi degli interessi e degli affetti. Cosa ne pensa?

«Da un lato, penso che ci troviamo in una fase in cui l'esperienza dell'affido condiviso è ancora fortemente rivendicata, soprattutto dai padri, dunque si pretende il 50% di tutto per essere certi di essere coinvolti nella vita dei figli. Ed è vero che attualmente il genitore "collocatario" ha una posizione "dominante", mentre l'altro, in una posizione più accessoria, finisce per diventare maggiormente rivendicativo soprattutto sul fronte economico, disposto per esempio a pagare solo per le spese sostenute quando il figlio è con lui. Ma questo non è il cuore del problema. E qual è, allora? Il problema è che i genitori devono essere aiutati a chiedersi quale fosse, durante il matrimonio, la loro delega di responsabilità genitoriale. Se un padre, per esempio, aveva già un ruolo periferico nella vita dei figli – e ciò avviene spesso, perché in Italia la struttura familiare vede ancora un genitore principale e uno accessorio – sarà molto difficile costruire "in laboratorio" un affido condiviso in cui all'improvviso diventa presente e condivide esattamente a metà ogni responsabilità educativa e familiare. Sappiamo che non è nemmeno questo che serve ai figli».

In che senso?

«Una recentissima ricerca anglosassone, condotta su un campione di 400 giovani adulti che hanno ripercorso la separazione dei genitori, ha fatto emergere il bisogno di un progetto il più possibile personalizzato, che tenga conto dell'età e dei bisogni del singolo bambino, basato più sulla qualità della relazione che sulla quantità. Facciamo un esempio: per la qualità della relazione, forse è più importante che un padre porti ogni settimana il proprio figlio a calcio o a nuoto, piuttosto che gli imponga di condividere, magari fin dalle prime settimane della separazione, una nuova casa in cui vive anche un nuovo partner magari con altri figli».

Dunque è meglio non imporre una divisione della vita familiare "con il bilancino"...

«Esattamente, soprattutto, lo ripeto, se prima della separazione il ruolo del padre era in qualche modo accessorio rispetto a quello della madre. Questo non significa escludere un genitore, ma incoraggiarlo e coinvolgerlo in una relazione davvero significativa. E' quello che ci chiedono anche i ragazzi: vorrebbero percepire che il genitore collocatario incoraggia e sponsorizza il rapporto con l'altro genitore, invece accade spesso che gli incontri sono vissuti con estrema tensione e ansia di controllo».

Per questo si cercano strumenti giuridici per dare maggiore concretezza all'affido condiviso...

«Certo, abbiamo molte esperienze all'estero in questo senso: in Canada, per esempio, l'alternanza tra una casa e l'altra è una realtà. L'affido condiviso alternato, che impone al bambino di vivere a settimane alterne in due case diverse, è però al centro di un fortissimo ripensamento in Francia: sono stati i padri stessi a capire che il cambiamento continuo del setting alimentare, educativo, organizzativo era fonte di grande stress per i bambini e i ragazzi».

Allora, che fare?

«Accedere a una mediazione familiare precoce, avere un orientamento informativo preventivo per stabilire accordi significativi da proporre direttamente al giudice della separazione. In questi ultimi tempi ho visto funzionare molto bene una soluzione che prevede l'alternanza dei genitori nella casa familiare. E' un'esperienza che prevede che entrambi abbiano una casa "di riserva", magari quella dei nonni o di un nuovo partner, ma permette di lasciare invariate le abitudini dei bambini, di evitare la famosa "valigia in mano" e di introdurre i cambiamenti della separazione con estrema gradualità, condividendo davvero ogni situazione, spesa, difficoltà nella gestione domestica ed educativa».

                                                                                               Benedetta Verrini

Prendersi cura dei figli, seguire la loro crescita, decidere dove frequenteranno il liceo o da quale dentista possono andare. I papà di oggi vogliono essere presenti nelle vite dei loro bambini anche dopo un'eventuale separazione. La soluzione potrebbe essere l'affido congiunto. Che, però, nella pratica a volte funziona, altre no.

«Quando io ed Elena ci siamo lasciati, era terrorizzato al pensiero di non poter più a stare accanto a nostro figlio Marco», racconta Tiziano Buselli, 48 anni e un bambino di 8. «Ho ottenuto l'affido condiviso e ne sono entusiasta, perché passo parecchio tempo con Marco e mi sento un papà presente, attento». Secondo Tiziano, le piccole difficoltà pratiche si risolvono con il buon senso. «Per un bimbo può essere faticoso avere due case, dovere fare e disfare la valigia continuamente. Per questo io e la mia ex abbiamo diviso il guardaroba del piccolo tra i due appartamenti e abbiamo arredato le camerette con mobili simili, in modo che nostro figlio non si senta mai ospite in casa sua». Queste strategie hanno funzionato: il piccolo Marco è sereno. «Impegnarmi con la mia ex moglie per rendere più agile la vita del bambino ha migliorato anche il nostro rapporto, adesso siamo meno rancorosi e più complici nell'educazione del piccolo».

Non per tutti l'affido condiviso rappresenta la scelta migliore. «Sono felice di potermi ancora occupare di mia figlia», racconta Antonio Pesce, 42 anni e una bimba di 10. «Però ho l'impressione che l'affido congiunto stressi un po' troppo la mia piccola, che si ritrova ad avere due vite autonome e separate, una con me e una con la mamma. Purtroppo spesso i ragazzi subiscono l'affido condiviso, che rischia di privarli delle sicurezze di cui hanno bisogno. Sono arrivato al punto di pensare che, forse, in caso di separazione, affidare il bambino a un solo genitore, senza naturalmente escludere l'altro dalla vita del piccolo, è il male minore».

«L'affido condiviso potrebbe essere una grande opportunità per le coppie con figli che si separano» sostiene Paolo Cavallaro, 50 anni e due figli adolescenti. «Purtroppo, però, sono pochi i genitori separati che riescono a crescere insieme i bambini senza scontrarsi di continuo». Le amare parole di Paolo sono il frutto della sua esperienza. «Io e la mia ex moglie credevamo che l'affido condiviso sarebbe stato perfetto per noi, invece ci ha creato molti problemi. Per esempio, io credo che la mia ex mi estrometta da parecchie scelte familiari, mentre lei mi accusa di screditarla davanti ai nostri figli, minando la sua autorità. Ed entrambi ci rendiamo conto che, purtroppo, nonostante i nostri sforzi i ragazzi si sentono spaesati e soffrono».

                                                                                                          Erika Di Francesco

Separarsi è doloroso per tutti. E, se ci sono anche dei figli, diventa faticoso e difficile continuare a fare i genitori, senza escludere la mamma o il papà dell'educazione dei bambini. Molte madri ritengono che la soluzione sia l'affido condiviso.

«Io e Patrizio siamo stati amici per parecchi anni prima di innamorarci, sposarci e diventare i genitori di Viola», racconta Chiara Autelli, 39 anni e una figlia di 12. «Ed è stato proprio l'affetto che ci ha sempre uniti a permetterci, una volta finito l'amore, di restare due genitori presenti e uniti». L'esperienza di Chiara è positiva: Viola vive un po' dalla mamma e un po' dal papà ed è una ragazzina sorridente, sicura di sé. «Con il mio ex ci siamo spartiti i compiti», continua Chiara, «per esempio, io ho scelto la scuola per la piccola, mentre lui l'ha portata dal suo dentista di fiducia per l'apparecchio. Siamo in armonia».

Anche Serena Di Fazio, 47 anni e un bambino di 12, è entusiasta dell'affido condiviso: «All'inizio non è stato facile, perché il nostro Mattia era disorientato dalla nuova vita divisa tra me e il mio ex. Ma sono bastati pochi mesi per ritrovare un po' di equilibrio. Ed è capitato che fosse proprio il nostro bambino a proporci semplici soluzioni ai problemi pratici. Per esempio, qualche mese fa ci ha chiesto di comprargli due copie dei libri scolastici, perché gli capitava spesso di dimenticarli a casa di uno o dell'altra».

Per Elena Masini, 50 e una figlia di dieci, invece, l'affido condiviso è molto, troppo stressante: «Purtroppo io e il mio ex abbiamo pessimi rapporti e non è facile educare la nostra Elisa insieme». Elena si sforza di essere una madre serena, ma quando la bambina è con il papà è sempre tesa, preoccupata. «Vorrei davvero che la piccola avesse un bel rapporto con suo padre e mi rendo conto che dovrei essere io per prima a parlare bene di lui con Elisa. Purtroppo, non sempre ci riesco». Secondo Elena, vivere in due case è troppo faticoso per la sua bimba. «Credo che sarebbe molto meglio se Elisa vivesse nella casa in cui abitavamo tutti insieme e fossimo io e il mio ex ad alternarci accanto a lei».

                                                                                                   Erika Di Francesco

Uno studio pubblicato su Children & Society, su 184.496 bambini in 36 Paesi occidentali (Italia inclusa) ha dimostrato che i bambini che vivono con entrambi i genitori biologici riportano i più alti livelli di soddisfazione di vita rispetto ai bambini che vivono con un genitore single o con un genitore biologico e uno acquisito

In Italia, purtroppo, l'81,9 % dei figli, dopo il divorzio, hanno un solo genitore con cui trascorrono la loro quotidianità e (di solito si tratta della madre) e solo il 18,9% ha la fortuna di continuare a vedere regolarmente entrambi i genitori. Questo succede anche quando è stato deciso l'"affidamento condiviso"

In tal modo si disconosce l'importante principio di bigenitorialità cioè il fatto che un bambino ha un legittimo diritto a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, qualunque sia la loro situazione di coppia.

Il pediatra Vittorio Vezzetti, autore del libro sulla giustizia minorile Nel nome dei figli, ha esaminato, raccolto, riassunto e integrato le più importanti ricerche scientifiche internazionali con validazione statistica relative all'importanza dell'affidamento condiviso.

Le conclusioni, pubblicate in un articolo pubblicato sulla Rivista Scientifica della Società di Pediatria Preventiva e Sociale, considerano gli effetti benefici della bigenitorialità «anche se questo comporta la soluzione del doppio domicilio per i figli di coppie separate».

Mentre  Piercarlo Salari, anch'esso pediatra prtesso il consultorio Familiare Milano e Componente SIPPS haor sottolineato che «La custodia condivisa migliora lo status psichico e fisico dei figli  come dimostrano i risultati congiunti di numerose e affidabili ricerche scientifiche, il coinvolgimento di entrambi i genitori nella crescita del figlio migliora lo sviluppo cognitivo, riduce i problemi di carattere psicologico, riduce l'insorgenza di problemi comportamentali nell'età adolescenziale».


                                                                                                                Orsola Vetri

http://www.famigliacristiana.it/articolo/fascione-l-afido-condiviso.aspx
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