Tecniche di demolizione degli uomini: la cultura del "Quinto Stato"

Aperto da Finnegan, 21 Febbraio 2018, 02:02:35 PM

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Finnegan

La Rivoluzione francese fu letta come la ribellione del Terzo Stato - la borghesia. Nell'anticamera della Storia, attendeva la sua ora il Quarto Stato, i lavoratori proletari. Del Quinto Stato (tossicomani, non-impiegabili, banditi e dementi) non si parlava, perché non aveva funzione sociale.

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Contrariamente a ciò che crede l'uomo contemporaneo, che non è solo ugualitario (a parole) ma anti-civile, ciò che realmente distingue gli uomini gli uni dagli altri non è il reddito, ma le qualità umane, il carattere.
All'uomo-massa contemporaneo viene proposta (imposta) una vita "senza programma", senza sforzo di miglioramento; la virtù consiste nell'essere "quel che già si è".

In tutte le culture evolute (ma spesso anche "primitive") tutto è polarizzato a una tensione verso l'alto, che spinge anche chi concepisce la vita come «essere quello che già si è» (senza sforzo di migliorarsi) a un trascendersi, a darsi una «forma», uno stile: e il popolo ha costumi, tradizioni che fortemente conserva, e che sono il suo «stile», la sua forma. Il substrato informe - ciò che oggi passa come «liberazione», «vita liberata» -, proprio degli uomini di natura più abietta, è bandito dagli usi popolari, e sanzionato quando prova ad esprimersi fuori dal Carnevale.
Tutto si è rovesciato negli ultimi decenni: oggi vige l'imitazione del «più basso». Il presente può anche leggersi come una involuzione della società intera, un suo scadere verso il substrato informe.
In Italia l'abbiamo visto con l'esplodere del modello neo-borghese, che possiamo giustamente definire «scalfariano», perché è stato Eugenio Scalfari a veicolare il nuovo costume, con L'Espresso e con la Repubblica. È stato lui a fabbricare, istruire e vestire l'homunculus novus.
Il neo-borghese è la creatura che vive a suo perfetto agio nella «secolarizzazione compiuta»: che per lui (come per Scalfari) significa il rifiuto, in via di principio, di riconoscere qualcosa di superiore a sé. Con ciò, è diventato il viziato della storia, il figlio di papà della civilizzazione tecnocratica. «Viziare» - avverte Ortega y Gasset - «equivale a non frenare i desideri, a dare a un essere l'impressione che tutto gli è permesso e che a nulla è obbligato». I comfort asettici dello Stato del benessere hanno dato all'uomo nuovo la sensazione (falsa) di non avere limiti, di non essere sottoposto a condizioni. Gli sono risparmiate le ristrettezze, la fatica fisica, la pressione crudele dell'ambiente naturale; le difficoltà reali della vita, e persino la malattia e la morte gli sono nascoste, o svalutate dalla speranza (sostenuta dai media) che «la scienza», anch'essa concepita come onnipotente, vi troverà rimedio.
Proprio perché è ignaro di quanto sia dura la vita, il neo-borghese si proclama ecologista, anti-industriale, preoccupato delle specie in via di estinzione, foche e balene, più che dell'operoso sviluppo umano. Ancor più illuminante il suo atteggiamento verso la religione: non la pratica e non ci crede, ma protesta se il Papa si oppone alla «limitazione delle nascite» e alla «libertà sessuale». Come dire, il neo-borghese non si assume nemmeno il peso di essere un ateo vero. Chiede alla Chiesa di dichiarare lecito il peccato, così da sollevare lui dai complessi di colpa. Vuole la religione come assicurazione sociale che dia il suo contributo alla «qualità della vita».
Soprattutto, il neo-borghese non si sforza più nemmeno lontanamente di imitare modelli di vita superiori. Come Narciso, si contempla essere «quello che già è», vuole solo «essere sé stesso». Tutto quel che vuole fare è «esprimere il proprio io», ritenuto massimamente degno di espressione. Tale espressione si rivela poi miserevole, dato che l'animula del neo-borghese è per essenza informe (lui dice: «aperta a tutte le esperienze»). A forza di essere «libero», ossia di non servire alcuno scopo superiore, slegato da ogni fedeltà, il neoborghese finisce per essere inservibile e vuoto.
Visto il suo rifiuto di imitare esempi superiori, non stupirà notare nel neo-borghese di massa una sottile ma inarrestabile tendenza allo «svaccamento» (parola tipicamente neo-borghese), alla stracchezza danarosa ma inelegante che denuncia il marcire della specie. La celebrata moda italiana, il Made in Italy, si adegua anzi precorre la caduta: sporte da mercato rionale con enorme scritta in oro «Moschino», abiti da spazzacamino firmati «Armani», sono concepiti precisamente per il neo-borghese. L'eleganza autentica è troppo impegnativa, anche moralmente: basta un nome che in qualche modo la evochi. La «griffe» ridotta a flatus vocis. Così per la «cultura» della borghesia progressista scalfariana: i libri da leggere o da far finta di leggere sono imitazioni. Eco che imita Borges, Scalfari che imita Voltaire, Cacciari che imita gli alti teologi delle antiche eresie, Calasso che imita l'arduo pensiero delle gnosi indù.
Si possono prevedere le ulteriori fasi del degrado collettivo. Che il neo-borghese, lungi dall'essere il protagonista del futuro, già da tempo non riusciva a reggersi sulla scena della civiltà; in lui già da tempo era in gestazione il tipo nuovo, degenerato verso una forma inferiore della specie. Giorno dopo giorno la neo-borghesia è diventata più svaccata, più volgare, ha voluto il facile, ha evitato lo sforzo di nobilitarsi; ha perso l'educazione, e perfino l'istruzione: era evidente che avrebbe generato - nei suoi figli - il Quinto Stato.
E infatti i figli anagrafici o culturali della neoborghesia hanno cominciato - anni prima di esplodere come neo-anarchici - a trarre i loro «stili», le loro «mode», insomma a imitare modelli, dai più diversi bassifondi. Non si sottolineerà mai abbastanza la natura allarmante di questo sintomo, che è la nuova «moda» giovanile. Essa imita palesemente tipi umani che si raccolgono nella sezione inferiore del mondo dello spettacolo, contiguo con una specifica società criminale: le ragazze-bene tatuate sul seno o sul pube si ispirano chiaramente alle pornodive, perché il tatuaggio femminile è una «moda» dell'ambiente della prostituzione; i ragazzi con gli orecchini prendono a modello come classi esemplari - lo sappiano o no - vecchie classi marginali, zingari, ladri di cavalli, ciurme piratesche. Il piercing, l'introduzione di oggetti metallici sulla lingua o su altre parti del corpo forate, denunciano l'imitazione patologica di autolesionismi da galeotti, tratti da «modelli» che hanno elaborato il loro «stile» nei riformatori e in carcere. Lo stile punk viene direttamente da lì, dai delinquenti giovanili inglesi. Le scarpe «sportive» costosissime e i pantaloni corti e larghi sono in origine l'abito degli spacciatori negri di crack negli slums degli Stati Uniti, i pushers, imitati attraverso i complessini loschi visti su MTV. Da lì, dal videoclip e dalla discoteca, vengono le «mode giovanili» più sintomatiche; nella loro varietà, apparentemente anarchica e casuale, l'occhio addestrato non mancherà di cogliere «citazioni» di Michael Jackson e di Marilyn Manson, degli invertiti californiani in divisa SS, degli Hell's Angels, degli adoratori di Satana con sottofondo rock.
È infatti la discoteca che «educa» la gioventù neo-borghese. E i figli della neo-borghesia, più avanti dei padri nello scendere in basso, prima di esplodere come problema sociale hanno affollato per anni le discoteche (piccola borghesia arricchita) o quei luoghi di marginalità volontaria che - come ho già mostrato - sono i «Centri Sociali» (figli dell'alta neo-borghesia progressista). La parabola di Carlo Giuliani, figlio di un sindacalista della CGIL «impegnato nel sociale», tifoso della Roma e finito punk-bestia, ucciso nella guerriglia urbana a Genova, è in questo senso esemplare.
Il padre, poveretto, ha saputo dire che suo figlio «odiava l'ingiustizia»: non ha osato evocare un contenuto ideologico un po' più preciso, un motivo meno vago per cercare e dare la morte. Suo figlio non era più, non riusciva nemmeno a essere marxista. In qualche modo, in questa carne da cannone dello sbando è inutile cercare ideologie; è il look che ne tiene il posto e decide l'identità «politica». È la T-shirt con sopra la faccia di Che Guevara, non l'informazione sulle imprese del Che, le sue teorie o le sue idee, che decide l'appartenenza alla «sinistra»; per lo più «alternativa», che significa «senza progetto», inarticolata.
Papà era ancora (o si credeva) un milite del Quarto Stato, il figlio era già Quinto Stato. Perché è questo che denota il Quinto Stato: l'inarticolatezza, l'incapacità di elaborare e perseguire un progetto. Il Quinto Stato, la sottocasta che gli indù chiamavano «paria», è sempre esistito, ma non è mai stato capace di «fare storia»: troppo fluttuante e incostante, dominato dai suoi impulsi primari, per seguire un disegno. La sola cosa che può produrre è il pandemonium, la jacquerie, l'insurrezione senza domani, dovuta all'esplosione anarchica delle sue voglie momentanee. Tuttavia è anche supremamente suggestionabile, permeabile alle atmosfere collettive: ciò rende il Quinto Stato facilmente strumentalizzabile, facile da scagliare contro qualunque cosa. Vedremo che a ciò provvedono cattivi maestri alquanto sapienti.
Ma qui non si può non ricordare che i nuovi giovani «antagonisti» del Quinto Stato sono stati formati da una pedagogia più quotidiana, quella predicata dai media neo-borghesi. Col risultato che tanti padri (il papà di Carlo Giuliani è in ottima e numerosa compagnia) hanno passato anni a tentar di insegnare ai loro figli un po' di patetica neo-moralità illuminata: il sesso è libero e ha da essere precoce, ma mi raccomando usa il preservativo. Eroina e cocaina? Almeno, usa siringhe pulite. L'aborto? È una «conquista», fatelo ma nelle igieniche strutture ospedaliere. La moralità post-moderna non è personale, ma tutta «sociale»: ciò che salva l'anima è la «solidarietà», la lotta contro «l'ingiustizia».
Il risultato di questa pedagogia è appunto un Quinto Stato che, per la prima volta, si proclama protagonista e pretende di avere delle «ragioni». E l'immemoriale tipo umano dei fissati, dei vaneggianti di «amore» [es. l'agenda arcobaleno in nome dell'"amore"], degli pseudo-mistici, dei viziosi minimi, che improvvisamente credono di avere delle idee. Ma questo tipo umano non può avere idee. Può solo avere ossessioni monotematiche.
Un'idea fissa, per lo più un'idée reçue, appresa chissà dove, assurdamente semplificata, e coltivata in modo esclusivo: cioè a esclusione di tutte le altre, di tutti i modi e le ragioni che formano la complessità sociale. Così gli animalisti dell'Animal Liberation Front dedicano la vita a «liberare» i visoni dagli allevamenti, e nulla li convince che così facendo mandano i loro cari piccoli carnivori (che non sono selvatici) alla morte, e provocano uno dei danni ecologici che vivono per scongiurare. Così, all'estremo solo apparentemente opposto, il prete di strada dedito a «salvare» le prostitute negre o i drogati vuole che lo Stato punisca i frequentatori delle prostitute: nessuna ragione lo convincerà mai che, essendosi voluto abolire il reato di prostituzione, a maggior ragione non può considerarsi reato andare con una prostituta (e che dunque sarebbe da lì e non da qui che occorrerebbe cominciare...). E fra questi due estremi, ecco tutto il pullulare minimo delle fissazioni monotematiche: omosessuali che vogliono riconosciuto il loro vizio come diritto umano; nudisti convinti che tutti i mali della società spariranno se tutti andranno nudi; fautori della pedofilia come «rivoluzione»; adepti della libera droga per una società finalmente felice; ambientalisti che si sentono mancare l'aria e vorrebbero ridurre la società all'età della pietra per azzerare «l'inquinamento»; ossessi dell'effetto-serra; missionari da favela che vorrebbero, per «giustizia», il mondo ridotta a favela... tutti uniti dall'incapacità di capire la complessità di una società libera e multiforme, lo iato inevitabile che esiste fra moralità e diritto, fra libertà tutelabili e libertà selvagge, e fra legalità e legittimità. Una sola cosa finisce per unificare i formicolanti cultori di idee fisse: l'antagonismo radicale. Siano pederasti o missionari, ecologisti o zapatisti, convergono su un punto: le istituzioni, per il fatto di non dare alla loro idea fissa (ciascuno ha la sua) il posto centrale e assoluto che secondo loro merita, sono criminali per essenza. Il governo, lo Stato, vanno distrutti; la libertà privata (che è una istituzione, non un dato naturale) e il mercato economico vanno annullati.
Sognano, e vogliono imporre, la società perfetta: dove le più strane libertà fioriscono sotto la massima coazione «legale». Un progetto rigorosamente impossibile: in questo senso radicale, il Quinto Stato è incapace di progetto.

Questo post è tratto dal libro Complotti del giornalista Maurizio Blondet. A seguito di interferenze nella libertà di espressione del forum, su temi diversi da quello principale del topic, ritengo opportuno completarlo con queste immagini. La scritta recita: "Famiglia etero piaga sociale"

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