Desocializzazione e condizione maschile

Aperto da Finnegan, 18 Febbraio 2018, 02:53:35 PM

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Finnegan

Dal libro di Matthew Fforde Desocializzazione, ed. Cantagalli, Siena. Ti riconosci?

Per desocializzazione non intendo quella di Charlie Brown "che aveva tanto bisogno di amici", ma la frantumazione del tessuto sociale che porta a superficialità nei rapporti umani e a relazioni insincere e false tra uomini e donne. Non tutti possono capire queste righe, ma molti sono lettori di questo forum. Buona lettura.

La società contemporanea sta diventando sempre più "darwiniana", anche se attraverso modalità e per ragioni di cui abitualmente non ci rendiamo conto. La durezza e la severità della società post-moderna sembrano promuovere a posizioni di primo piano coloro che tendono a una maggiore insensibilità e asocialità. Sono proprio le persone con il più alto grado di resistenza alle imposizioni della desocializzazione, quelle che riescono a rimanere indenni dalle sue ferite; gli individui più orientati al perseguimento del profitto personale e meno distratti dalla sollecitudine e dalla cura per gli altri; quelli che sono pronti a fare ricorso a metodi che danneggiano gli altri e restano indifferenti al dolore che possono causare; e infine, le persone il cui sguardo è in minor misura diretto verso il bene collettivo, le meno interessate alle conseguenze delle proprie azioni. I duri, i sordi, quelli che hanno una pelle da rinoceronte, gli autosufficienti, quelli che rimangono ciechi e insensibili, quelli che ci hanno fatto il callo: sono loro che sempre più vanno a occupare posizioni influenti e di potere. Eppure sono i nemici della comunità: la loro sopravvivenza ai processi di desocializzazione comporta che ne diventino i paladini più convinti.
Terapie che peggiorano il male
Come i medici pre-moderni praticavano salassi ai malati di cui conquistavano la fiducia, la desocializzazione si riproduce anche favorendo una serie di terapie che peggiorano la malattia.
È così che nel loro travaglio le vittime della condizione di anonimia si volgono spesso verso cure psichiste e fisiologiste, oppure al conforto procurato dalla ricchezza e dal potere, o ancora al mondo del piacere sensuale, a unioni o matrimoni falsi, ad amicizie vacue, alle sabbie mobili dello pseudo-sociale, all'immaginario e al falsificato, o anche semplicemente all'aggressività. Inconsapevoli del fatto che all'origine della loro inquietudine c'è la mancanza di amore, i desocializzati sovente non sono in grado di articolare una risposta spirituale al loro disagio, e si rivolgono a terapie che peggiorano il male. Andiamo ad analizzare in dettaglio questo processo.
«L'assenza di legami colpisce con un'ampiezza straordinaria l'universo coniugale e familiare», ha affermato un altro relatore, «viviamo, in effetti, in una società disintegrata che [...] favorisce [...] lo sviluppo di personalità spezzettate che hanno grandi difficoltà a unificarsi psicologicamente e moralmente»". «Nel nostro tempo», ha dichiarato ancora un altro, «il sintomo più evidente della depressione è da ricercarsi nell'emarginazione dell'individuo a nella sua non rilevanza all'interno della società»".
Davanti alla perdita dei legami l'Homo sapiens, a causa della sua natura biologica e spirituale, soffre e si preoccupa — un aspetto assai rivelatore del fine dell'uomo in questo mondo.

Senza amore e verità, senza salute spirituale e sotto «l'affermazione di disvalori», l'interiorità dell'uomo cede e si piega. La presenza stessa di tutti questi fenomeni dovrebbe farci capire che vi è qualcosa di profondamente sbagliato nella nostra società — il che è fin troppo evidente — e indurci a mettere in discussione la strada che abbiamo imboccato nei secoli recenti.
A livello individuale le persone saggiano altre forme di risposta che, tuttavia, sono di solito destinate al fallimento. (Segue)
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La ricerca del "piacere"

L'individuo ferito nei propri sentimenti a causa della mancanza di amore e di comunità può anche essere tentato di contrastare questo dolore con la ricerca del piacere, praticamente un leit-motiv dell'edonismo contemporaneo. L'uso di droghe e stimolanti, il bere, le immersioni nel cinema e nella TV, la lettura di opere di evasione, il lasciarsi andare ai piaceri del consumismo o del sesso senza amore sono forme di comportamento diffuse nello stile di vita contemporaneo: dietro a tali scelte è presente spesso il tentativo di evitare quel senso di vuoto e di tristezza che nasce dall'assenza di rapporti autentici. Queste reazioni inoltre hanno tutte le caratteristiche della droga: la necessità di aumentare la dose per mantenere l'effetto. Scoprendo che i sentimenti arrivano a un punto in cui per attivarli ci vuole una stimolazione sempre maggiore, l'individuo di fatto sprofonda in un processo di "de-sentimentalizzazione", una china scivolosa che lo porta sempre più in basso. Tuttavia, la ricerca del piacere come reazione alla condizione desocializzata non si limita a portare l'individuo fuori strada rispetto alle soluzioni vere, ma lo fa aggrovigliare in un viluppo di modi sentimentisti di pensare e di vivere di cui diventa egli stesso promotore. Facendo ricorso all'edonismo, nel suo piccolo l'individuo infelice affila l'enorme coltello che lo ha ferito, e che continuerà a ferirlo. (Segue)

Questa è la ragione per cui non credo molto a chi afferma di essere felice per il solo fatto che non si è sposato e fa rafting nel Colorado. Può essere una strategia di sopravvivenza, non la soluzione che il libro indica nei capitoli successivi.
L'anticipo qui: ogni strategia che porta a farsi i fatti propri, a "disperdersi" peggiora la situazione. L'unica vera soluzione è ricostituire (con pazienza) un tessuto associativo e comunitario.
Penso inoltre che, a meno di non vivere su Marte, la vita sia più o meno la stessa per tutti, si può reagire ma chi dice di trovarsi bene in questo deserto prende in giro se stesso e gli altri.
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I rapporti vuoti

Uno dei temi del presente studio è che per quanto l'uomo post-moderno vada contro ciò che dovrebbe essere, per quanto rifiuti la propria vocazione, è destinato a rendersi conto che non può farlo impunemente. In un modo o nell'altro dovrà pagare il prezzo per il cammino di disordine che sta percorrendo. La solitudine in senso stretto è forse la punizione più grande che l'uomo post-moderno già subisce. Per sfuggire a questa condizione, spesso assai grave quanto a impatto emotivo, molte persone nel mondo desocializzato di oggi instaurano rapporti o contraggono matrimoni non basati sull'amore bensì sull'interesse individuale. L'idea è trovare qualcuno che possa essere usato per fornire compagnia e mettere fine allo stato di solitudine. Forse questo è uno degli errori contemporanei più diffusi, ma non costituisce certo una soluzione, anzi può aggravare il problema. L'altro viene utilizzato come strumento per raggiungere un fine, e nel rapporto c'è poco di autentico. Poiché non vi è amore, non può aver luogo un'unione spirituale e fisica autentica, il vero antidoto alla solitudine. È un atto di opportunismo che non porta da nessuna parte, e anzi ricorda all'individuo cos'è che gli manca davvero, perché gli mette sempre davanti la realtà di ciò che non c'è. Lungi dall'essere sfuggito alla solitudine e dall'aver risolto il problema, l'individuo cade per così dire dalla padella nella brace, e si trova a dover vivere nella menzogna, a sopportare la falsità, a calarsi in un rapporto che nel profondo è vuoto — tutti elementi che mettono in luce il suo vero stato di mancanza di amore. Davanti a lui c'è l'esatto opposto di ciò di cui ha bisogno, quindi non è semplicemente tornato al punto di partenza ma è addirittura regredito.
Il desiderio di sfuggire alla solitudine in senso stretto porta anche a stringere amicizie insincere e false. L'amicizia, come l'amore, è antica quanto il mondo ed è probabilmente la seconda pietra angolare della comunità umana. L'amicizia è il luogo dell'espressione della virtù, del perseguimento di un progetto comune, la conquista dell'appartenenza, e fra i suoi benefici principali si contano la buona compagnia, l'aiuto reciproco e la partecipazione. La storia umana è marcata dalla sua presenza costante, anche se stranamente gli storici dedicano scarsa attenzione allo studio della sua evoluzione. È stata però ripetutamente evocata in opere letterarie e artistiche, nei proverbi, e accompagnata da precetti e princìpi ricchi di saggezza. Una caratteristica fondamentale della condizione di anonimia è stata anche la perdita dei legami amicali. Sembra sia andata perduta una parte notevole della conoscenza, della pratica e delle convenzioni dell'amicizia, e questa è un'altra forma di deculturalizzazione. Le pseudo-amicizie nate per contrastare la solitudine hanno molte caratteristiche in comune con le false relazioni che si stabiliscono fra uomini e donne; vi si riscontra lo stesso impegno in ciò che non è autentico e lo stesso svuotamento dei punti vitali di potenziale contatto umano. Si tratta di rapporti la cui falsità non fa che mettere in luce ciò che manca e ciò che ha ingenerato questo stato di cose. Inoltre la fine delle amicizie e la loro transitorietà è un ulteriore tratto tipico del modo attuale di vivere, come il divorzio nel matrimonio o le "coppie" di fatto che vanno e vengono: è all'opera il medesimo processo, una fuga egoistica dall'isolamento che dà luogo a rapporti fragili ed egocentrici i quali non fanno altro che riportarci al punto di partenza, se non ancora più indietro. (Segue)
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L'evasione

Un'altra reazione diffusa a tale condizione è la creazione di ruoli e immagini come meccanismi consolatori. Infatti lo stile di vita post-moderno è spesso caratterizzato dall'interpretazione di ruoli. Le persone diventano ciò che non sono perché il contesto culturale non permette loro di essere se stesse. Si cerca quindi conforto nell'invenzione — una reazione, questa, sorretta dalle idee e dagli atteggiamenti promossi dal cinema, dalla televisione, dalla realtà virtuale, che contribuiscono a formare una parte di quel gusto per la fantasia diventata tipica dell'uomo post-moderno. Questa propensione a interpretare una parte, a inventarsi un ruolo, a proiettare un'immagine, sfugge all'autenticità, comporta la creazione di rapporti — e quindi di un ambiente per gli altri — basati sulla falsità, sulla recita, e dà luogo a un artificio costante che colpisce al cuore la comunità: la vita con gli altri non si fonda su ciò che è reale, ma è intrisa di elementi fasulli. Inoltre, la persona che adotta questa soluzione per rimediare alla perdita di legami sociali non fa che tornare al punto di partenza, perché non riesce a rapportarsi con gli altri in modo autentico. Al tempo stesso, proprio come il coniuge, il "partner" o l'amico falsi, il suo comportamento produce l'effetto di desocializzare coloro con cui entra in contatto, privandoli della possibilità di interazione autentica. Recitando, coinvolge gli altri in una simulazione precaria che offende la realtà, e mancando di sincerità con se stessa, finisce per colpire e danneggiare, tramite vari meccanismi, la propria interiorità, ovvero il punto di partenza vitale per un più ampio benessere sociale. (Segue)
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Il narcisismo

Chi potrebbe negare che viviamo in un'epoca di narcisismo? Paradossalmente, una delle caratteristiche della condizione desocializzata è la tendenza a vivere nello sguardo degli altri, che diventano specchi nei quali l'individuo si osserva e si ammira — una risposta abbastanza comune alla mancanza di amore e di comunità. Privo della considerazione, della stima o del rispetto che vorrebbe o di cui ha bisogno, l'individuo spesso si imbarca in un progetto ingannevole tramite cui si presenta agli altri nella luce più favorevole possibile; falsifica la sua vera natura in modo da guadagnarsi l'ammirazione e assicurarsi una soddisfazione personale. Quando riesce ad ingannare gli altri sulla sua natura, carattere e qualità, trae gratificazione dalla percezione erronea che gli altri hanno di lui. Finisce per vivere di ciò che la gente pensa e dice di lui, piuttosto che della verità su se stesso, e il suo punto di riferimento diventa il modo in cui viene percepito dal punto di vista degli altri (importante punto di collegamento con il relativismo). Questo atteggiamento è connesso con la prospettiva societarista perché, essenzialmente, ciò che l'ambiente umano ritiene vero diventa la realtà, l'apparenza diventa la sostanza, la maschera si sostituisce al contenuto. L'umanismo ci mette del suo perché ciò che conta, alla fin fine, è l'ottica di questo mondo piuttosto che le verità dell'altro. Tutta questa pratica — oggi così diffusa — naturalmente comporta una spinta alla deformazione della realtà. Che una persona abbia talento, sia bella, onesta o intelligente, profonda o capace, ricca o potente, non importa: ciò che conta davvero è che sembri tale agli occhi della gente. La verità viene negata e tradita, e viene fabbricato uno stile di vita all'insegna dell'inganno. È così che, alla base dell'individualismo egoistico, troviamo una propensione a fingere, e questa è un'altra ragione per la quale ci troviamo spesso circondati dalla falsità. (Segue)
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#5
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L'autoisolamento

Fra le reazioni all'ambiente desocializzato si annovera anche il ritrarsi dal contatto e la riduzione al minimo dei contenuti dell'interazione: per diminuire il dolore — reale o potenziale — dell'impatto con l'ambiente sociale, le persone si desocializzano volutamente. A monte di questa strategia stanno tre motivazioni principali, che contribuiscono tutte a rinchiudere ancora di più l'uomo post-moderno nella sua gabbia solitaria. Per prima cosa, la paura dell'aggressività, dell'incostanza, dello sfruttamento, dell'infelicità, delle critiche e della severità di cui spesso sono portatori i rapporti col prossimo. Una risposta molto semplice è quella di sottrarsi al contatto, o assicurarsi che esso sia molto superficiale. Si evita il pericolo. In secondo luogo, il desiderio di sentirsi importanti può indurre riluttanza a impegnarsi nei rapporti, perché questi possono minare il proprio senso di superiorità, o ad assicurarsi che essi siano così svuotati da impedire la comparsa di fattori che possano metterlo in forse. In terzo luogo, dato che spesso manca il comune accordo sul modo 'in cui le relazioni andrebbero stabilite e sostenute, e poiché queste sovente comportano un alto grado di rischio, l'idea e la pratica del contatto generano insicurezza e incertezza. Una reazione ovvia a questo disagio è l'allontanamento dai rapporti interpersonali tout court o il loro confinamento nella massima vacuità. Nell'insieme, quello che succede è che per contrastare la malattia si sceglie la malattia; lo stesso male viene impiegato per tenere alla larga il male. (Segue)

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L'aggressione alle anime sane

Queste significative parole ci introducono alla parte più difficile. Siamo giunti all'ultimo stadio dell'attacco all'anima: l'aggressione a coloro la cui spiritualità è ancora viva e al potenziale bene che potrebbero fare. Nel momento in cui un modello culturale è diretto all'espressione e alla promozione della malattia spirituale, va da sé che cerchi di corrompere, emarginare, neutralizzare o eliminare coloro che per natura sono orientati in direzione opposta.
Il primo stadio dell'aggressione sta nel collocare la persona spiritualmente sana in un contesto culturale in cui si trovi in attrito e in disaccordo. Qui è sottoposta a un tentativo continuato di dissuasione dalle proprie posizioni, ma anche a uno scoraggiamento derivante dalla delegittimazione del suo modo di vedere il mondo e i propri simili. Oltre a ciò, il dover assistere alla costante ripetizione di ciò che ritiene sbagliato [cf. freethinker :)] la induce a demoralizzarsi. Questo processo è stato in parte descritto dal sociologo americano Peter Berger tramite il concetto di devianza conoscitiva una condizione colma di rischi per coloro che vi si trovano:
«Una minoranza conoscitiva è un gruppo di persone che si forma intorno ad un corpus di "conoscenze", deviante dalla normalità [...] la situazione di una minoranza conoscitiva è, senza scampo, una situazione di disagio, non tanto e necessariamente perché la maggioranza che la attornia sia repressiva o intollerante, quanto e semplicemente perché essa ricusa di considerare i concetti definiti circa la realtà, propri della minoranza, una "conoscenza".
Qual è la natura delle pressioni cui vengono sottoposte le anime sane soggette alla cultura desocializzata nella sua forma più estrema — figure che formano una vera minoranza conoscitiva? Prima di tutto, i punti di vista che l'individuo spiritualmente sano (nel caso sia credente) capta dall'ambiente circostante non fanno che ribadirgli che è in errore e che bisognerebbe percorrere altre strade. Inoltre, credente o meno che sia, si trova circondato da pensieri e pratiche che vanno contro la sua natura più profonda, che negano la legittimità del suo mondo mentale, dei suoi atteggiamenti e valori, del suo modo di vivere, in un processo di dissuasione mirato a farlo smettere di essere ciò che è. Tutto ciò è già sfibrante di per sé, ma viene aggravato ulteriormente dallo scarso sostegno da parte di quanti gli sono vicini: non viene sostenuto e incoraggiato in ciò che è e fa, quindi è vittima allo stesso tempo dei tentativi di dissuasione e dell'assenza di qualsiasi apporto, oltre che del contatto costante con ciò che è sbagliato, falso, distorto. La contemplazione continuata dell'errore suscita nell'anima sana dolore, stress, dispiacere e perfino orrore. La sua energia e la sua volontà vengono prosciugate fino a renderla un avversario meno pericoloso.
Ma non si tratta soltanto di scoraggiamento. La persona spiritualmente sana è colpita anche dal disorientamento e dall'inquietudine. L'ambiente circostante non solo la rattrista, ma la mette in condizione di non essere se stessa, privandola della prospettiva di realizzarsi e condannandola alla frustrazione. In questo modo si esercita una massiccia pressione proprio sulle parti più essenziali della sua natura. Tramite quali meccanismi? Le persone spiritualmente malate non sono in grado di formare comunità autentica, non possono produrre amore per l'amore né amore per la verità. Circondata da questo tipo di individui, l'anima sana si trova nella dolorosa incapacità di dedicarsi a ciò a cui è chiamata e naturalmente incline, la costruzione di rapporti autentici, che è anche ciò che desidera e di cui ha bisogno. La sua aspirazione all'amore e alla verità comporta che la loro assenza la colpisca più profondamente rispetto a coloro che hanno scelto di vivere nell'oscurità. Come un pesce è creato per nuotare nell'acqua, così la persona spiritualmente sana è fatta per vivere in comunità autentica, in un contesto di salute spirituale, in un sistema culturale che operi a beneficio della spiritualità. Se ciò non è possibile si soffre proprio come un pesce che si dibatte in uno stagno svuotato: non ci si può esprimere, si avverte il morso della frustrazione, fino a giungere a uno stato di disorientamento e inquietudine. L'equilibrio interiore e la capacità di agire poi vengono minati in più punti e, come costretti a camminare nel deserto per giorni senza poter bere, si subiscono i colpi di questo clima altamente distruttivo. È come un'oasi sommersa dalla sabbia, che fa ancora più fatica ad alimentare la vita, quella vita che si oppone al deserto. (Segue)
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La persona che salvaguarda la propria spiritualità è anche soggetta alla pena di non essere compresa da coloro che la circondano, e questo è un aspetto saliente dell'aggressione nei suoi confronti. Le sue prospettive, i suoi punti di vista, i riflessi, le reazioni e i sistemi di comprensione sono quelli della vita secondo lo Spirito. I suoi avversari vivono in un universo differente, e il modo in cui sperimentano il mondo appartiene a un ordine diverso. Di conseguenza, non solo non riesce a instaurare una comunità con le persone spiritualmente malate (perché esse non vogliono e non ne sono capaci), ma trova quasi impossibile farsi capire, una condizione da non augurare a nessuno. Così la comunicazione, quell'elemento vitalissimo della comunità, viene compromessa alla base. La persona di buona volontà si ritrova quasi in un'altra dimensione in cui gli altri sono come fantasmi — apre la bocca e fa gesti, ma gli altri non possono veramente sentirla o vederla. Le realtà a cui si riferisce e il linguaggio che usa per descriverle sono purtroppo ben poco familiari alle anime malate. L'incapacità di comunicare è una delle condizioni più crudeli che l'individuo buono deve sopportare, e non solo accresce la sua demoralizzazione e il suo disorientamento (indebolendolo ulteriormente), ma a volte lo spinge a cedere a una lotta ineguale e ad alzare bandiera bianca: davanti a una mancanza di risposte può scegliere di adottare una politica del silenzio, a che pro parlare al muro? E così la voce della verità si estingue e si spegne un'altra luce. Questa è un'altra delle strade tramite cui il modello culturale imperante contrasta l'apporto di coloro che sono spiritualmente vivi. Le candele vengono smorzate.
Non ci si limita a far tacere le anime sane; altre forze potenti operano per farle cambiare. È senz'altro vero che le false antropologie post-moderne, con i modi di vita cui danno luogo e i falsi valori che generano, sono come inviti diretti a vivere e comportarsi diversamente. Le anime sane vengono incoraggiate, grazie ai processi naturali della pressione culturale, non solo a conformarsi alla prassi dominante, ma anche — per via della tentazione che scaturisce dal loro stato di privazione — ad abbracciare il compromesso. Infatti in preda alla demoralizzazione e al disorientamento della desocializzazione, la persona spiritualmente sana può essere incoraggiata ad adottare i modi e i comportamenti della cultura che la circonda. Ad esempio, per alleviare la propria sofferenza e infelicità può essere tentata di imboccare vie d'uscita che sembrano ovvie, almeno nel breve termine, soprattutto se queste vengono approvate e praticate da una parte dominante del proprio ambiente umano. Ad esempio, per superare una situazione di povertà o di difficoltà economica può essere tentata di praticare la disonestà e l'inganno, o di ricorrere allo sfruttamento. Nel suo stato di solitudine può essere tentata di instaurare amicizie insincere o false. In una situazione di frustrazione sessuale può essere indotta a trattare l'altro come un oggetto. Costretta in una posizione insignificante può essere tentata dalla caccia al potere. Immersa nella noia può essere spinta a calarsi nel mondo del piacere a spese di qualcun altro. Ma se soggiace a queste tentazioni, corre il rischio di danneggiare la propria spiritualità, esattamente ciò che vogliono le persone spiritualmente malate che la circondano: far passare nelle proprie schiere l'avversario. (Segue)
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La pressione che la desocializzazione nella sua forma radicale esercita sulla persona di buona volontà non finisce qui, perché a ciò si aggiungono i pesanti epiteti del rifiuto. L'uomo che vive la vita secondo lo Spirito si trova soggetto alle difficoltà del non inserimento, si sente un estraneo. Viene infatti considerato anormale, e alla fine anch'egli inizia a sentirsi tale; diventa vulnerabile a venire etichettato dagli altri come eccentrico, insolito, strambo, forse matto, forse disturbato, persona di cui non fidarsi e da non integrare. E sono solo alcuni degli amari frutti dell'attrito che incontra. A un livello più generale, l'individuo che per sua natura aspira alla comunità si trova invece a scontare la realtà del rifiuto. Nonostante l'attuale culto della tolleranza per ciò che è diverso, la persona di buona volontà si trova spesso ad essere vittima di uno sbarramento di rifiuto. Gli effetti deleteri sull'autostima, sul morale e la fiducia in sé sono ovvii, eppure non è lui l'anormale. In questi tempi relativistici la tendenza dominante è quella di definire ciò che è normale in termini di norma umana. Viene considerata "normalità" ciò che decreta la società e ciò che viene riconosciuto come convenzione. Ma che cosa succede se nell'ambiente umano regna il disordine? In verità, alla normalità bisognerebbe dare una definizione molto diversa, quella che penserebbe e praticherebbe la persona spiritualmente sana, indipendentemente dalla cultura o dal contesto in cui si trova. I pensieri e le azioni di questa persona andrebbero semplicemente considerate come conformi alle "norme" della legge divina. Ma nella desocializzazione il normale spesso diventa anormale e viceversa, cosicché l'uomo che si dedica alla salute spirituale scopre che forse deve portare la croce delle varie forme di denigrazione e di rifiuto che scaturiscono dal suo essere diverso. (Segue)
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La demoralizzazione indotta dall'inganno costituisce un ulteriore colpo mortale sferrato alle persone spiritualmente sane. In verità, poche cose sono demoralizzanti quanto il tradimento. Coloro che vivono nel lato oscuro considerano gli altri come strumenti tramite i quali ottenere delle cose; dal loro punto di vista le persone sono oggetti da usare nella pratica dell'egoismo e nell'acquisizione di posizioni, potere, ricchezza, prestigio e piacere. Per loro è molto meglio prendere che dare, e in quest'ottica fanno ricorso all'inganno. La falsa buona volontà, la maschera dell'amicizia, la menzogna, la duplicità sono fenomeni dell'inganno considerati accettabili se mirati al profitto personale. E per questa mentalità, la persona spiritualmente sana diventa un bersaglio speciale, e una vittima designata di questo processo. Infatti l'uomo di buona volontà è naturalmente propenso ad aiutare, a dare e a offrire, perché fa parte della sua aspirazione alla comunità. Di conseguenza è una potenziale fonte di guadagno molto ricca, perché l'aspirazione è vulnerabile allo sfruttamento. A che pro andare a bussare alla porta dell'egoista? Parallelamente l'anima sana desidera accogliere le richieste che si basano su princìpi giusti, rispondere positivamente ai comportamenti radicati nel bene e al richiamo dei virtuosi. È per queste ragioni che viene avvicinata da coloro che vogliono sfruttare la sua generosità, e lo fanno mascherandosi in modo da suscitare fiducia e gentilezza. Scoprire che si tratta di un inganno è un'esperienza amara. Qualcosa di sacro è stato profanato e lo sconforto che si prova resta indelebile nella memoria ed è fonte di nuova pena. (Segue)
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La duplicità crea un'ulteriore condizione che lo spirito buono deve sopportare e che fa da coronamento alle sofferenze causate dallo scoraggiamento, dal disorientamento e dalla demoralizzazione: l'insicurezza. La desocializzazione spesso offre il contrario di un ambiente umano ordinato e sicuro per la persona spiritualmente sana.
Inoltre il relativismo erode costantemente nel pensiero e nella prassi qualsiasi punto di riferimento fisso e radicato, così i rapporti sicuri vengono messi a dura prova o perduti, e ciò che si reputa giusto viene messo continuamente in discussione.
La diffusione della pratica della duplicità, dal canto suo, significa che non vi è costanza nel pensiero e nell'azione degli altri, che le posizioni vengono continuamente modificate, e che non si può fare affidamento sulle persone. Quasi fosse vittima di un terremoto continuo che fa tremare e crollare mura e pavimenti, l'ambiente umano si trova in uno stato di moto perpetuo perché non è basato su salde fondamenta di verità.
Come se tutto questo non bastasse, la società di massa — come si è visto — è propensa a generare rapidi cambiamenti e instabilità nell'ambiente di una persona, sottoponendo ciò che è familiare e noto ad alterazioni costanti. A peggiorare le cose contribuisce il processo di deculturalizzazione che rende la continuità culturale sempre più elusiva. Di fronte a tutte queste realtà, spesso interconnesse, la persona spiritualmente sana è afflitta dall'incertezza e dalla mancanza di fiducia in se stessa, una condizione di insicurezza che esercita un'ulteriore pressione e aggrava una tensione già molto intensa. (Segue)
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La desocializzazione nella sua forma radicale combatte la salute spirituale di cui l'uomo buono è portatore anche in modo molto semplice. La persona di buona volontà aspira ad essere un buon vicino, ma che cosa succede se i vicini non ci sono? Mettete un individuo che può fare del bene su un'isola deserta e vedrete che le sue azioni non produrranno molto. Togliete a un grande pianista il suo pianoforte e non potrà suonare la sua musica. La persona spiritualmente sana esprime amore e verità, quindi opera a beneficio della salute spirituale di coloro che le stanno intorno, contribuendo alla costruzione della comunità. Ma toglietele la famiglia, gli amici, i vicini e tutto il resto (o svuotate del loro contenuto autentico questi rapporti) e tutto ciò diventa inutile. Desocializzare l'uomo buono significa ostacolare o negare il suo apporto positivo all'ambiente umano. Gli effetti benefici del suo essere, collocato in una sorta di vuoto sociale, vanno perduti. Così il contesto culturale non solo provoca demoralizzazione e disorientamento nelle persone spiritualmente sane, ne risucchia le energie e ne indebolisce la volontà ma, tramite i processi che portano al loro isolamento, agisce contro i potenziali effetti di contrasto e opposizione di quanti sono impegnati nella salute spirituale. (Segue)
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Tuttavia la desocializzazione nella sua forma radicale non si limita a isolare l'uomo spiritualmente sano: gli impedisce l'incontro e l'azione in comunione con i suoi simili spirituali. L'unione fa la forza, e l'azione comune non solo procura un sostegno reciproco, ma permette di accrescere il bene che può esser fatto. La concentrazione di risorse fa aumentare esponenzialmente il valore complessivo dei beni. Mentre le persone che combattono da sole possono essere eliminate una per una, l'avanzata di interi eserciti è tutt'altra cosa. È chiaramente nell'interesse funzionale di questo modello culturale impedire un processo di azione comune, anche perché l'unione fra le anime sane, e la loro cooperazione, corrisponde esattamente alla formazione di quella comunità vera che la cultura desocializzata spesso combatte, perché costituisce un nemico mortale simile agli anticorpi in un corpo malato. Quando le persone di buona volontà vengono isolate grazie ai processi naturali della desocializzazione, nel momento in cui vengono a mancare i punti di accesso sociale e viene ostacolata la creazione di connessioni con gli altri, diventa molto difficile per loro entrare in contatto con i propri simili. I sentieri dello sparso esercito di persone spiritualmente sane non si incontreranno più perché la giungla non fa che cancellare le tracce che lo permetterebbero. La tentazione, inoltre, di starsene zitti, la riluttanza a pronunciarsi, l'esperienza del tradimento, il sospetto degli altri, il prosciugamento dell'energia — fenomeni che hanno luogo nella condizione di anonimia — rendono ancora più arduo alle anime sane riconoscersi fra loro ed entrare in contatto. Per queste vie le forze della salute spirituale sono soggette a meccanismi che operano per la loro separazione e frammentazione, rendendole avversari ancora meno pericolosi.
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Finnegan

L'attacco all'anima sana va tuttavia ben oltre la demoralizzazione, il disorientamento e l'isolamento, perché contempla anche un'aggressione costante ed endemica. Per comprendere questo processo è necessario sprofondare nei recessi del lato oscuro, impresa peraltro poco piacevole. L'ostilità all'amore e alla verità, il rifiuto di sentirsi inferiori, la sete di potere, il rigetto della comunità, queste e altre caratteristiche contraddistinguono l'uomo che vive nelle tenebre spirituali. C'è quindi un'aggressività naturale nei confronti di coloro che vivono la vita secondo lo Spirito, poiché sono a priori malvisti, per non parlare dell'ostilità nei confronti della loro presenza e del loro ruolo. Coloro che cercano di costruire (implicitamente o esplicitamente) il regno dei cieli fra gli uomini, operano in favore di strutture e processi che necessariamente inibiscono e ostacolano coloro che agiscono in senso contrario. Questa battaglia spirituale, innata nella cultura umana, implica che le anime sane siano soggette agli attacchi delle parti avversarie, le quali reclamano la libertà di essere ciò che sono e di fare ciò che vogliono, e sono ostili a qualsiasi interferenza, anzi, spesso attaccano con ferocia inaudita ciò che va o potrebbe andare contro di loro. È quindi ora il caso di analizzare questi tipi di attacco in profondità e di comprenderne le ragioni a monte.
Vi è un paradosso riguardo al lato oscuro. Per quanto le anime malate abbiano scelto di vivere nelle tenebre, raramente desiderano che qualcuno ricordi loro che cosa sono; sembrano non voler percepire gli abissi nei quali sono sprofondate, e vorrebbero ignorare o dimenticare ciò che sono diventate. Ugualmente, preferiscono non ricordare le malvagità che possono aver commesso nel perseguire i propri ristretti profitti personali. In tale contesto, e dato questo desiderio di non voler essere messi a nudo, la persona spiritualmente sana costituisce una grave minaccia di smascheramento. Di fatto l'uomo che vive la vita secondo lo Spirito porta in sé una luce che illumina i misfatti e la malattia spirituale degli altri.
Come la sporcizia di uno straccio sudicio viene messa in risalto se accostata a una tela pulita, così l'incontro con l'individuo che ha salvaguardato la propria anima costringe colui che è caduto spiritualmente a constatare in tutta evidenza la realtà del proprio essere. Questa verità lo colpisce come uno schiaffo in pieno viso. Egli diventa simile al pipistrello che si sente al sicuro nell'oscurità della caverna fino al momento in cui viene accesa una torcia, oppure — per fare ricorso a un'altra immagine — come un mostro che vive in un tunnel sotterraneo e si rende conto dell'orrore del proprio corpo solo quando qualcuno si avvicina con una lanterna. In questo contesto, la persona spiritualmente malata reagisce con aggressività, perché per annullare la crisi della verità, che la affligge e le provoca dolore, deve allontanarsi o distruggere il suo contrario, deve attaccare proprio quella realtà che le rivela ciò che è. Non va dimenticato, fra l'altro, che l'aggressività è l'emozione naturale per quegli esseri umani che hanno qualcosa da nascondere. È così che l'uomo di buona volontà, nell'essere fedele a se stesso, diventa vittima dell'aggressività perpetrata da coloro che non vogliono far risplendere su di sé la luce di cui egli è portatore.
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Una quantità di riflessioni ancora maggiore emerge quando focalizziamo l'attenzione sulla posizione sociale e sul denaro. Nella società, premi e riconoscimenti dovrebbero spettare ai virtuosi, a coloro che hanno talento e fanno bene le cose. Lo storico preparato, piuttosto che l'inetto, dovrebbe occupare la cattedra universitaria; la figura pubblica onesta, più che la canaglia, merita la fiducia del popolo; la madre che ama i propri figli, più che la scansafatiche, dovrebbe guadagnarsi la nostra stima. Ma questo principio generale è inaccettabile per la persona spiritualmente malata, che per sua natura brama il potere, il prestigio e la ricchezza. Ciò che le importa è non tanto come si arriva a queste cose, ma che ci si arrivi tout court. Per citare il famoso detto: il fine giustifica i mezzi, e se c'è una cosa che contraddistingue il lato oscuro, è questa aspirazione a essere "importanti" in un modo o nell'altro, collegata alla prontezza ad essere disonesti pur di arrivarci. Ancora una volta è evidente che coloro che vivono nelle tenebre non agiscono o pensano facendo riferimento alla verità, bensì vivono secondo i parametri di questo mondo, e ciò che interessa loro veramente è che la società li consideri "importanti", che ciò corrisponda a verità o meno. Da qui il passaggio all'inganno è breve. Queste persone vogliono ottenere i premi e il prestigio che dovrebbero andare a coloro che li meritano, e sono impostori fin troppo predisposti a defraudare i veri meritevoli.
Da questo punto di vista diventa evidente come la presenza di talento e virtù negli altri costituisca una minaccia per l'anima malata: se premiati, questi la priverebbero di ciò che desidera. Le qualità degli altri mettono in pericolo le sue potenziali acquisizioni, soprattutto in due aree: quella del potere e quella del lavoro. In una comunità il comando a tutti i livelli dovrebbe essere nelle mani di coloro che posseggono le qualità spirituali per garantire decisioni corrette e benefiche. Il loro potere dovrebbe essere impiegato a beneficio degli altri, e questo è vero per i capi di governo come per i capistazione. Invece la persona spiritualmente malata vuole il comando per l'importanza e per i benefici materiali che ne può ottenere, secondo una prospettiva prevalentemente egoistica in cui sono assenti le responsabilità più ampie nei confronti della comunità. Poiché il potere gli spetta per merito, l'uomo che vive la vita secondo lo Spirito diventa il rivale mortale. Così l'individuo che vuole governare bene — o che vuole che i treni arrivino in orario — perché è cosa buona in sé diventa un nemico da attaccare. Di fatto, con il gran parlare che si fa oggi in termini mercatisti della legittimità della competizione, non si sta fabbricando a volte una copertura per combattere coloro che hanno talento? E una volta affermato che siamo tutti identici, non è questo un modo per accantonare le aspirazioni dei più capaci?
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#15
(Ritratto della nostra classe politica e della nostra burocrazia)

La persona spiritualmente malata non si limita al risentimento nei confronti del talento di coloro che insidiano la sua acquisizione di profitti e prestigio, ma si oppone attivamente all'impulso a lavorare bene. Per converso, i sani di spirito si oppongono naturalmente a coloro che aspirano a premi e conferme senza meritarli, o a quelli che trascurano le loro responsabilità nei confronti degli altri, o che non fanno le cose come vanno fatte. Per tutti questi motivi, l'uomo che vive nell'oscurità vede le persone di buona volontà come ostacoli sul proprio cammino, rivali nella lotta per l'avanzamento nel mondo e contrari ai suoi profitti illegittimi.
La reazione naturale a questa rivalità e opposizione sul piano del denaro e del successo è l'aggressione alle anime sane da parte di coloro che vivono nell'oscurità. L'intensità e la frequenza di questa reazione che si esprime attraverso quattro forme principali — mascheramento, isolamento, dominio e inganno — riflettono l'importanza immensa che viene attribuita a questi "beni". Esaminiamo per primo il maschera¬mento. Per raggiungere i loro fini, coloro che vivono nell'oscurità si danno all'imitazione, alla falsificazione e all'inganno. Fingendo di essere dotati di virtù e di talento, indossano la maschera di colui che lavora a beneficio degli altri. Facendo credere di essere persone di valore praticano un inganno, mentre le anime sane, essendo portate alla verità, hanno una propensione naturale alla spontaneità. Le persone spiritualmente malate, al contrario, propendono per il calcolo, con la speranza di arrivare alla ricchezza e al successo terreno tramite la simulazione. In tal modo la persona spiritualmente sana viene esclusa dalla gara e allontanata dal campo.
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In secondo luogo la persona di buona volontà diventa vittima di un processo di isolamento. Uno dei modi migliori per contrastare il suo ruolo e il suo impatto, e per allontanare la sfida che essa rappresenta, è privarla della compagnia del prossimo, di punti di contatto, di possibilità di partecipazione. In una parola, desocializzarla. Il risultato di questa strategia è che le viene sottratto spazio d'azione, un contesto nel quale operare, l'acqua in cui nuotare. Allontanandosi dall'uomo che vive la vita spirituale autentica, abbandonandolo in una vera e propria terra di nessuno, privandolo di un teatro per le sue azioni, le persone spiritualmente malate si rendono conto che, nonostante tutte le sue virtù e il suo talento, l'uomo spiritualmente sano incontrerà grosse difficoltà nell'esprimerli. La gamma di opportunità è stata drasticamente ridotta. Il pianista non può suonare la sua musica meravigliosa perché non ha più il pianoforte o, se ce l'ha ancora, gli mancano molti tasti. Così, quelli che suonano male, a dispetto di tutti i loro errori e della cattiva qualità della loro esecuzione, trarranno vantaggi immediati da una simile situazione. La strategia è diabolicamente semplice: basta isolare l'uomo buono e la sua concorrenza sarà meno pericolosa, anzi, egli può perfino sparire dalla scena.
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In terzo luogo si fa uso del potere per piegare l'uomo di buona volontà e sottometterlo al sistema dominante. Se tramite la ricchezza, il controllo politico, la pressione economica o altri meccanismi, la persona spiritualmente sana può venire subordinata e sottomessa, la minaccia da lei rappresentata può assottigliarsi, se non essere neutralizzata per sempre. Contrastando e tenendo sotto controllo le sue potenzialità, si può impedire che si esprima per ciò che è. Ciò costituisce un altro motivo dell'insaziabile sete di potere da parte di coloro che vivono nell'oscurità: sanno che si tratta di un'arma potente, tramite cui debellare la minaccia rappresentata da coloro che portano la luce dentro di sé. Questo esercizio del potere, spesso di natura economica, è variamente accompagnato dall'aggressione, dalla diffamazione, dall'inganno e dalla denigrazione, che a volte può diventare sadica. Infatti, l'uomo che vive nell'oscurità spesso trae piacere dal mettere in atto tale subordinazione, perché essa riduce il suo senso di inferiorità nei riguardi di colui che vive la vita secondo lo Spirito. Nell'attaccare chi gli è spiritualmente superiore, l'anima malata dà libero sfogo alla rabbia e al risentimento per ciò che è.
In questa affermazione del proprio dominio si riscontra una caratteristica sgradevole che richiede un commento. L'esercizio del potere comporta una sensibilità naturale alla forza e alla debolezza: nell'aggredire la persona spiritualmente sana coloro che vivono nell'oscurità tentano di generare debolezza, oppure, prima di attaccare, aspettano che la persona spiritualmente sana si sia indebolita. Al pari di iene che cercano per prima cosa di ferire le zampe dell'antilope, le persone spiritualmente malate avvertono che il loro attacco va sferrato nel momento in cui la vittima designata è più debole, sia a causa di una condizione di povertà o del dolore causato dalla solitudine o per via della frustrazione professionale e lavorativa.
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Vi è infine il tentativo di corrompere l'individuo che cura la propria anima. Inducendolo ad abbracciare la causa del lato oscuro, e quindi a passare dalla parte del nemico, il pericolo rappresentato dalle sue virtù e dal suo talento verrebbe rimosso. Il suo cambiamento annullerebbe così la minaccia. Nella cultura desocializzata nella sua forma radicale, nella conversazione come nell'azione — attraverso la persuasione e l'esempio, le pressioni e l'incitamento — la persona di buona volontà viene incoraggiata a smettere di essere ciò che è. Il processo di corruzione può assumere forme diverse. Si cerca, ad esempio, di convincere l'individuo buono del fatto che l'uomo e l'esperienza umana si conformino in un modo o nell'altro al paradigma materialista di analisi, e che egli dovrebbe pertanto adottare tale approccio. L'anima sana viene così attirata verso modi di comportamento e di pensiero che pescano nelle profondità del lato oscuro, e incoraggiata al compromesso e alla rinuncia ai propri princìpi. In generale, quanti vivono nell'oscurità hanno un atteggiamento vampiresco nei confronti di coloro che vivono la vita dello Spirito; cercano di succhiare il loro sangue e di trasmettere loro le proprie caratteristiche. Ciò appare conveniente da un punto di vista molto specifico: dopo tutto sono proprio gli uomini di buona volontà con le loro croci, e non gli altri vampiri, a costituire un pericolo per i morti viventi. Questa tattica di corruzione è forse la più efficace di tutte, perché mentre nelle altre tre il concetto è quello di vincolare e ostacolare la persona spiritualmente sana, di piegarla e di emarginarla, in questo caso l'obiettivo è quello di modificarne la natura. Il morso del vampiro, in fin dei conti, ha un effetto devastante. La vittima si trasferisce in un'altra dimensione, cessando di costituire un pericolo, per sempre.
In modo del tutto prevedibile, molti di questi attacchi alle persone spiritualmente sane sono legittimati (e favoriti) dal paradigma materialista. I responsabili non hanno difficoltà a trovare argomenti per difendersi, visto che le loro aggressioni sono incoraggiate e addirittura giustificate in tutte le loro forme. Ad esempio, potrebbero sostenere che le loro azioni siano predeterminate e quindi che non ne sono responsabili — una licenza a fare ciò che si vuole, o che la verità è relativa e le loro opinioni valgono quanto quelle di chiunque altro — un'altra licenza a fare ciò che si vuole, o ancora, rabbia e rancore possono venire legittimati in nome di impulsi psichici profondi e animaleschi. L'uso del potere in tutte le sue forme — ma soprattutto quello economico — finalizzato a piegare la persona di buona volontà può essere inoltre avallato da tesi di natura poterista o economicista: non si sta forse semplicemente facendo ciò a cui l'uomo è naturalmente portato? E ancora, la falsità e l'inganno possono essere difesi facendo riferimento a idee relativiste che annullano qualsiasi fondamento oggettivo in base al quale stabilire standard di qualità. È inoltre possibile infischiarsene di quello che accade alla persona spiritualmente sana, del suo destino doloroso e infelice, dello spreco di potenzialità, adducendo concetti deterministi che inducono a definire la vita così: il risultato di varie forze impersonali quali la società, l'economia, la lotta per il potere...
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PARTE SECONDA: LINEE D'AZIONE
(Nota: il lettore di mente aperta saprà scremare termini che non corrispondono ad idee particolari, per concentrarsi su elementi fondamentali per tutti, che saranno evidenziati in grassetto).

Attraverso queste pagine il lettore è stato accompagnato lungo una sorta di itinerario dantesco :lol: che ripercorre le diverse tappe dell'aggressione all'anima e i colpi che le sono stati inflitti: l'idea che l'anima non esista e la conseguente dissuasione a curarla; l'attacco a caratteristiche fondamentali della vita secondo lo Spirito e l'incentivazione del lato oscuro della spiritualità umana, in particolare attraverso l'incoraggiamento dell'individualismo egoistico; l'instaurarsi di un modello culturale dotato di efficaci meccanismi di autoriproduzione, che appunto sostiene questi processi e genera sistematicamente malattia spirituale. A questa aggressione hanno contribuito anche altri sviluppi storici, specialmente l'indebolimento della cultura cristiana e l'ascesa della società di massa.
In questo inizio del terzo millennio gli esseri umani mostrano spesso una totale inconsapevolezza di ciò che sono. Con tutte le sue stupefacenti conoscenze scientifiche e tecnologiche, l'uomo post-moderno è caratterizzato da vaste aree di ignoranza agghiacciante, soprattutto su di sé. Ha dimenticato chi è veramente, è regredito. Eppure questa caduta costituisce al tempo stesso un invito a opporsi a ciò che è avvenuto, a comprenderne il significato e attivare le proprie energie dirigendole verso l'alto e verso l'esterno.
Le riflessioni del fisico F.A. Wolf al proposito sono incisive:
«L'approccio occidentale alla vita sembra condurre sempre più a un "freddo" isolamento; questa insularità fa sì che molte persone siano in grado di comunicare con il mondo soltanto da dietro lo schermo di un computer o dai confini del proprio ufficio. Ci stiamo distaccando gli uni dagli altri, e questa mancanza di comunione esige il suo pedaggio [... ] Definisco questo sentimento "perdita dell'anima", e lo considero il malessere generale della civiltà occidentale — la perdita di un senso sacro della vita»`.
La negazione dello spirito si riflette in una società che in molti punti è segnata da frammentazione e divisione, spaccature e faglie, vuoti e distanze, fratture e disfacimento. All'inizio del ventunesimo secolo, la condizione dell'uomo contemporaneo è sempre più caratterizzata da separazione, distacco e disimpegno. La figura dell'eremita scontento emerge in modo crescente come modello della vita post-moderna. Così la divisione si propaga nella nostra casa collettiva ormai in frantumi: fra uomini e donne, mariti e mogli, genitori e figli; fra parenti, vicini e fra generazioni; fra datori di lavoro e dipendenti, proprietari e inquilini, politici ed elettori, governanti e governati; fra compagni di lavoro e colleghi di ufficio; fra coloro che vendono e coloro che comprano, fra professionisti e committenti; fra insegnanti e scolari, clero e comunità dei fedeli; fra medici e pazienti, forze dell'ordine e cittadini; fra gruppi politici, confessioni religiose ed etnie diverse; e fra connazionali. Quell'«amicizia civile» di cui parlava Maritain si è ormai assottigliata. Queste divisioni costituiscono la sostanza della desocializzazione. Lo spazio vuoto che si è allargato fra uomo e uomo affonda le radici nella frattura tra l'individuo e la propria anima, ma anche nella divisione fra uomo e Dio: nel volgere le spalle allo spirito respingiamo le nostre origini divine, la nostra vocazione e il nostro destino. Nell'allontanarci da Dio non possiamo che allontanarci l'uno dall'altro. «Tutte le persone sole» cantavano Lennon e McCartney, «da dove vengono?». Ci auguriamo che questo libro abbia dato qualche risposta.
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Questo modello culturale è stato segnato anche da uno svuotamento del nostro patrimonio antropologico — il depauperamento culturale è presente ovunque. Abbiamo inoltre dovuto affrontare una serie di cesure con il nostro passato. Di fatto, in tempi recenti siamo stati soggetti a livelli elevati di deculturalizzazione e abbiamo assistito alla scomparsa di abitudini e costumi, accordi e convenzioni, princìpi e rituali condivisi che un tempo erano alla base del senso della comunità. Allo stesso tempo, si è registrato un sempre minor rispetto per certe istituzioni e sistemi di guida; il sacro è tramontato su più orizzonti. Gran parte del patrimonio antropologico tramandato, che un tempo operava a favore della coesione sociale, è andato disperso o smarrito per sempre.
L'uomo britannico, e occidentale, vive in un contesto in cui molti antichi punti di riferimento culturali e morali sono stati spazzati via da un terremoto storico. Intorno a sé, nel paesaggio post-moderno, spesso non vede che il vuoto. Non solo non gli è chiaro che cosa il suo ambiente si aspetti da lui, ma sperimenta anche l'assenza di amore e di verità. In tale contesto destrutturato nasce un sentimento di perdita, l'ignoto diventa padrone della scena, e si stringe la morsa del disagio e dell'ansia. Oggigiorno la paura è spesso nell'aria.
In The Crisis of the Human Person (1949), J.B. Coates scrive: «in mezzo questa confusione è naturale chiedersi se non ci sia alcuna roccia di verità su cui poggiare sentendosi sicuri che sia inattaccabile, e che rimanga salda nella tempesta di scetticismo che infuria intorno».
Imbarcandoci in un progetto di ricostruzione, dobbiamo riflettere su quali possano essere quelle "pareti" e quella "roccia" nuove.

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Senza alcun dubbio ci troviamo davanti a una trasformazione di proporzioni epocali. L'uomo britannico (e occidentale) è chiamato a confrontarsi con una situazione senza precedenti, che lo colloca in un contesto finora mai sperimentato. La prospettiva storica utilizzata in questo libro ha costantemente cercato di evidenziare e illuminare questa realtà. Che tale mutamento titanico fosse incombente era stato previsto da molti pensatori e osservatori dei tempi moderni, ma vi sono state anche grandi intuizioni sul sopravvenire di un momento culminante o risolutivo.
Scriveva Walt Whitman : "Nessuno sa che cosa può accadere ma tutti sanno che stanno per accadere cose tali da causare le più grandi convulsioni morali della terra"
Weber, da parte sua, aveva previsto un uomo moderno chiuso in gabbia, chiedendosi quali reazioni ne sarebbero scaturite. Mentre negli lo scienziato tedesco Max Planck scriveva: "Viviamo un momento della storia davvero singolare. È una crisi nel senso letterale della parola. In tutti i campi della nostra civiltà spirituale e materiale sembriamo essere arrivati a una svolta cruciale. Questo spirito si rivela non solo attraverso lo stato attuale delle questioni pubbliche ma anche nell'atteggiamento generale nei confronti dei valori fondamentali della vita personale e sociale".
"La civiltà occidentale oggi sta attraversando uno dei momenti più critici della storia" osservava C. Dawson nello stesso decennio, "in ciascun settore della vita i principi tradizionali sono stati scossi e screditati, e ancora non sappiamo che cosa li sostituirà"; negli anni Quaranta, Jacques Maritain pubblicava Il crepuscolo della civiltà. "Ci furono mai nella storia" chiedeva Bonhoeffer nello stesso periodo, "uomini con un terreno tanto insicuro sotto i piedi?".
"Tutti noi" dichiarava Solzenicyn negli anni Settanta, "ci siamo avvicinati al bordo estremo della grande catastrofe storica, del diluvio che inghiotte le civiltà e cambia le epoche". "Mano a mano che il ventesimo secolo si avvicina alla sua conclusione cresce la convinzione che, con esso, molte altre cose stiano finendo" scriveva C. Lasch. "I nostri tempi sono assediati da annunci di tempesta, presagi, indizi di catastrofi".
"Quanti moti tenebrosi nel mondo civile!". La tesi del presente libro, è che la nostra crisi nasce da certi errori fondamentali dell'età moderna, basati a loro volta su un errore cruciale. Come aveva notato Leo Strauss: "la crisi della modernità su cui stiamo riflettendo ci suggerisce che dovremmo tornare indietro. Ma tornare a che cosa? Ovviamente a una civiltà occidentale nella sua integrità pre-moderna".*

* Da non confondere con il ritorno all'età della pietra.
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Guardando alla fisionomia dell'esperienza umana sul finire del Novecento e nell'era post-moderna si possono costatare sviluppi che suscitano angosce profonde. È come se una folla di oche guardiane si fosse data appuntamento a una determinata ora per lanciare all'unisono un grido di avvertimento. Ma che cosa significa tutto ciò, e come possiamo penetrare il significato profondo di questa cacofonia? Il diffondersi della desocializzazione; l'impatto della deculturalizzazione e la crisi dell'identità personale; l'aumento della criminalità e la diffusione dello stress; il declino dell'istituzione familiare e la confusione sull'identità sessuale; il dilagare della solitudine e la delegittimazione delle istituzioni: tutti questi elementi, sommati a molti altri, rendono la nostra epoca minacciosa e dominata dall'incertezza. Indipendentemente dal vero significato della crisi e da come vogliamo decodificarlo — in termini escatologici o altro — si impone ormai una reazione decisa. Di fatto, l'insorgenza e l'accettazione di errori di ogni tipo fa pensare che il peggio debba ancora venire — la resistenza a virus ancora più potenti si indebolisce con l'avanzare della malattia. Una risposta rapida è necessaria, perché le tendenze in atto fanno prevedere un'accelerazione del processo di declino.
Per ripetere una frase contenuta in questo libro, molti figli della post-modernità non sono figli felici. Forse dovremmo fare un passo indietro rispetto alla travolgente velocità del cambiamento, ai frenetici ritmi della vita quotidiana, ai caleidoscopici processi di alterazione costante che caratterizzano i tempi, al fine di riflettere sul significato di questa infelicità. Per l'uomo contemporaneo, uno dei modi per celebrare l'inizio del terzo millennio potrebbe essere proprio quello di concedersi una pausa di riflessione. A partire dall'Illuminismo, la società ha intrapreso strade nuove e diverse; è arrivato il momento di soffermarci sulle mete a cui siamo giunti e di valutare la saggezza di quelle scelte. La diffusa "perdita di legami", con tutta la sofferenza che essa comporta, indica che le cose non sono riuscite poi così bene. Il diffondersi della disgregazione, del malessere e dell'isolamento all'interno della società occidentale e britannica rivela che vi è qualcosa di sbagliato nell'orientamento del mondo moderno e post-moderno: andando contro la nostra interiorità spirituale e biologica abbiamo seguito strade che vanno contro l'umano.
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Ancora una volta l'autore evidenzia i rischi di menefreghismo e disimpegno:


L'importanza attribuita al ritorno alle virtù e alla centralità del loro ruolo nel garantire coesione sociale è benvenuta ma sorge spontanea la domanda: come concretizzare tutto ciò? La gente potrà pure essere d'accordo sulla necessità di gettare queste fondamenta per la comunità, ma è sufficiente questa presa d'atto collettiva? Se la gente è sprofondata nell'individualismo egoistico, come faranno queste proposte a trovare terreno fertile? Questo programma può diffondersi fra coloro che non sentono alcuna inclinazione interiore per l'amore e per la verità?
È il benessere dell'anima che genera la virtù, espressione naturale e inevitabile della salute spirituale. Le virtù si possono insegnare, mettere in vigore e sostenere, ma se non si preserva l'uomo interiore le fonti della virtù non possono che estinguersi. È necessario sbloccare la sorgente di quest'acqua vitale, e questo richiede un ritorno alla nostra spiritualità.
Dopo la decostruzione materialista, la ricostruzione spiritualista.
Dedicarsi all'anima ricomporrà la comunità proprio come il famoso alito soffiato sull'argilla diede vita al primo uomo, e allo stesso tempo la nostra cultura diventerà sempre più ricca di contenuti e capace di garantire la coesione. Questa è la strada per la pace nella vita insieme, per la creazione di un contesto realmente favorevole, e per la trasformazione della società in ciò che dovrebbe essere: una casa.
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In quest'impresa è necessario avere sempre un'idea molto chiara di quello che dobbiamo affrontare. Bisogna rendersi conto, sia come individui che come popolo, che contro di noi operano meccanismi potenti che cercano di ostacolare questo corso d'azione.
Ci dovremo impegnare in un Kulturkampf mirato ad estirpare il pensiero e la pratica del paradigma materialista; dovremo ripudiare l'affermarsi di modelli umani, sociali e universali come quelli che si sono radicati negli ultimi secoli; dovremo ricacciare indietro i demoni, e sacrificare ben più di una vacca sacra post-moderna. Una volta realizzato tutto ciò, bisognerà assicurarsi di non ripetere gli stessi errori. Dobbiamo imparare la lezione da ciò che è avvenuto in questi secoli, ed essere pienamente coscienti delle implicazioni e degli obiettivi reali di certe idee e dottrine determinanti. In futuro dovremo essere costantemente pronti e impegnati in una salvaguardia culturale.
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QUESTO E' IL PASSAGGIO FONDAMENTALE DEL LIBRO

Ciò che ci si prospetta, quindi, è una grande e storica opera di guarigione. L'uomo britannico è sempre più malato, colpito dalla perdita di legami nelle sue numerose espressioni. È nostro dovere assicurarci che guarisca da questa malattia che si è auto-inflitto. La fine della divisione fra l'uomo e la sua anima farà sì che vengano colmate le voragini che separano le persone in seno alla società. Gli amari frutti di questa divisione, che trovano espressione in una miriade di forme di disordine sociale e sofferenza personale, diventeranno così fenomeni di un passato sbagliato, conseguenze di un errore di percorso storico ormai respinte. E ricordiamoci che la guarigione è un processo autorigenerante: dopo un po' la ripresa si sostiene da sé. Ma perché questo avvenga, bisogna oltrepassare una determinata soglia, e in questo cammino emerge il ruolo di due categorie in particolare: coloro la cui anima è sana.
In questo libro abbiamo soprattutto tentato di spiegare a coloro che curano la propria anima — implicitamente o esplicitamente — il motivo per cui diventano tanto spesso il bersaglio delle forze culturali dominanti. Si è cercato di descrivere le entità che operano contro di loro, e di chiarire la natura della loro esperienza. Si è cercato di dir loro che non sono soli, che la loro condizione non è unica, e che ciò che fanno è giusto. Si è cercato di convincerli che ciò che provano non è anormale, non è una loro colpa, o qualcosa da ripudiare, ma una parte del prezzo da pagare per uno stile di vita fondato sulla nobiltà dei sentimenti. È venuto il tempo, per queste persone, di venir fuori dal nascondiglio, di farsi coraggio e di agire insieme. Dovrebbero cercarsi fra loro e diventare forti agenti di rinnovamento. A questi eroi del nostro tempo il presente volume offre un pensiero semplice: nonostante altri abbiano tentato di spegnere la luce che portate, voi dovete reagire irradiando ancora più luce, che permetterà sia di illuminare ciò che avete intorno, sia di accecare i vostri nemici. C'è bisogno di un'alleanza di spiriti vivi, siano essi ricchi o poveri, di sinistra, di centro o di destra, bianchi, neri o gialli, scozzesi, gallesi, inglesi o nord-irlandesi, vecchi o giovani, uomini o donne, cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, indù o non credenti, laureati o non, in buona o in cattiva salute, insomma i portatori della luce dovrebbero creare la loro contro-cultura. «Siamo stati testimoni silenziosi di azioni malvagie» rifletteva Bonhoeffer, «Non di geni, di cinici, di dispregiatori di uomini, di strateghi raffinati avremo bisogno, ma di uomini schietti, semplici, retti». Alle persone spiritualmente sane, quindi, questo libro lancia un appello semplice: venite fuori, ovunque voi siate!
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Finnegan

Dedicato a chi pensa che risolvere la QM sia al di sopra delle nostre forze:

Andrebbe fatta loro un'osservazione speciale: è già stato sottolineato come la cultura desocializzata spesso contrasti l'apporto positivo nell'ambiente umano da parte delle persone spiritualmente sane collocandole non di rado in una sorta di vuoto. Privando le anime sane di punti di contatto con gli altri, il nostro oscuro modello culturale li priva anche dello spazio di manovra. Nel desiderio di comportarsi in modo nobile e fare del bene, coloro che vivono nella luce si trovano pertanto esclusi da un gran numero di occasioni atte a dare espressione concreta a quell'impulso interiore. Eppure è proprio in così ardui contesti che sono più necessari, come, i lumi accesi nell'oscurità o le sorgenti nel deserto. Messe di fronte a una terra desolata, le anime sane troveranno sempre la presenza di altri esseri umani, per quanto distanti. Non necessariamente saranno capaci di agire in grande scala, ma troveranno comunque brevi momenti e piccoli spazi. :fiocco: Gli spiriti sani dovrebbero comprendere come in tali circostanze un'azione minore possa avere un valore immenso, e testimoniare in modo ancora più efficace l'importanza di ciò che essi desiderano e rappresentano. Da questo punto di vista, la natura senz'anima del nostro mondo massificato e desocializzato dovrebbe costituire una sfida anziché una barriera. Una pacata azione positiva, in un contesto impoverito come il nostro, ha una dignità tutta sua. A volte è necessario nascere in una stalla. In questo senso le anime sane dovrebbero sempre tenere a mente di essere chiamate a salvare la città, nonostante il compito sia apparentemente temibile.
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Finnegan

Dello stesso processo fa parte anche lo smascherare le false antropologie post-moderne [femminismo incluso] per quello che sono: errori. Parimenti bisogna ripudiare i comportamenti generati dal paradigma materialista.
In secondo luogo va chiarito che le persone vivono in un contesto culturale più ampio che di per sé esercita su di loro un grande influsso; devono essere rese consapevoli della loro ecologia antropologica. Va sottolineato che in seno alla società dovrebbe vigere un accordo condiviso da tutti che miri a esprimere e promuovere il benessere spirituale, e che il raggiungimento di questo stato di salute dovrebbe costituire il progetto comune alla base della cultura collettiva. Bisognerebbe continuamente ricordare il fatto che le persone hanno una loro incidenza sull'ambiente degli altri, il quale a sua volta incide su di loro. Tale sollecitazione della consapevolezza culturale deve condurre le persone a comprendere i mali di buona parte del contesto attuale e ad impegnarsi nel comune tentativo di creare un ambiente sociale che operi a loro autentico beneficio.
In terzo e ultimo luogo bisogna attirare l'attenzione sull'intensità della solitudine e sui danni provocati dalla condizione di anonimia. Questa realtà, così come il ruolo del rapporto fra anima e cultura nel determinarla, va messa in risalto, spiegando che un accordo per il ritorno alla salvaguardia della nostra spiritualità potrà rigenerare la nostra cultura e respingere gli effetti dell'atomizzazione.
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Finnegan

Per fare del nostro viaggio qualcosa di più nobile, dovremo compiere un atto di umiltà, da due punti di vista. Per prima cosa, occorre riconoscere che nonostante la nostra potenza e capacità abbiamo molto da imparare e molto da rimpiangere. Nonostante il progresso in campo scientifico e tecnologico, siamo colpiti da un notevole regresso spirituale. Riconoscere il fallimento dovrebbe condurre a una profonda autoanalisi. Per nostra consolazione, e nonostante ciò che l'ambiente umano post-moderno ci vuole così spesso infliggere, non siamo soli. Diversamente detto: solo coloro che non adorano se stessi sono capaci di migliorarsi, e accettando la spiritualità autentica — come fa il girasole con il sole — riceveremo energie nuove e molto speciali. Per queste ragioni, ed altre ancora, le parole di Solzenicyn suonano ancora in tutta la loro imperiosa opportunità:
«L'umanità comprese l'erroneità della deviazione verso l'intolleranza del tardo Medioevo e se ne allontanò; ora noi dobbiamo capire la pericolosità degli eccessi del tardo Illuminismo. Siamo stati travolti da un culto servile dei beni di consumo, del piacere e della comodità materiale. Riusciremo a scuotere via questo giogo, a riaprire le ali dello Spirito che fin dalla nascita ci è donato ed è ciò che unicamente ci distingue dal regno animale?»
In questi giorni post-moderni, invece di aggredire l'anima dovremmo imparare ad amarla.
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Finnegan

#29
Ritengo rilevante aggiungere questo documento nella discussione. Descrive tecniche un tempo usate sui prigionieri di guerra ed oggi divenute strategia di governo della popolazione civile:

La Carta della Coercizione di Biderman

Maurizio Blondet

Adesso è metodo di governo.

"Negli anni Cinquanta, lo psicologo Albert Biderman sviluppò un modello descrittivo detto "Diagramma di Biderman": uno strumento che illustra i metodi coercitivi della pressione manipolatoria esercitata sui prigionieri di guerra, e non solo: anche dai capi delle sette "religiose" e persino dai perpetratori di abusi domestici. Lo scopo è distruggere la volontà degli assoggettati ed esercitare il controllo mentale totale".


Isolamento
"Distanziamento sociale", mascherine, allontanamento dalle famiglie
Le sette pseudo-religiose [ma non solo quelle] "lavorano per isolare le persone dagli amici e dalla famiglia"
Biderman: I gruppi settari [ma non si pensi solo alle sette] " possono rimuovere i bambini dai loro genitori, controllare tutti i soldi del gruppo, organizzare matrimoni, distruggere oggetti personali dei membri ".

Monopolizzazione della percezione
Frustra tutte le azioni non coerenti con la conformità, punisce l'indipendenza e la resistenza.

Umiliazioni degradazioni
Rende la resistenza più costosa che la conformità


Esaustione indotta
"....C'è la sensazione di camminare sulle uova
. Tutto diventa importante in termini di come il gruppo o i suoi leader risponderanno... privazion del sonno, del cibo... serve a indebolire la capacità mentale e fisica di resistere.

Minacce anche vaghe e imprecisate
Es. minacce di chiuderti in quarantena e non poter lavorare
"Vi ricordiamo che dovete avere paura, quando vi svegliate e anche quando dormite, di ogni cosa. Finché non vi sarete sbarazzati di questa irresponsabile libertà" (E. Pennetta).

Indulgenze Occasionali
Fornisce motivazione alla conformità sociale
I leader di gruppi coercitivi possono improvvisamente offrire una sorta di indulgenza, amore o affetto, attenzione dove prima non c'era. La vittima spera che la situazione cambierà o si dubita di se stessi ("Forse sto solo immaginando che la situazione sia così brutta")...

Dimostrazioni di onnipotenza
Crea sentimenti di impotenza
Sviluppa mancanza di fiducia nelle capacità individuali
"... ridurre tutti a una sorta di minimo comune denominatore in cui nessun dono o abilità naturale viene valutato o apprezzato, ma sono molto più apprezzati il servizio, l'obbedienza, la sottomissione all'autorità e le prestazioni che non esaltino doni o abilità individuali. [es. università, come confermato da vari autori come M. McLuhan e J. Jacobs].


https://www.maurizioblondet.it/la-carta-della-coercizione-di-biderman/
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Padano74

Citazione di: Finnegan il 29 Settembre 2020, 11:01:21 PM
Ritengo rilevante aggiungere questo documento nella discussione. Descrive tecniche un tempo usate sui prigionieri di guerra ed oggi divenute strategia di governo della popolazione civile:

La Carta della Coercizione di Biderman

Maurizio Blondet

Adesso è metodo di governo.

"Negli anni Cinquanta, lo psicologo Albert Biderman sviluppò un modello descrittivo detto "Diagramma di Biderman": uno strumento che illustra i metodi coercitivi della pressione manipolatoria esercitata sui prigionieri di guerra, e non solo: anche dai capi delle sette "religiose" e persino dai perpetratori di abusi domestici. Lo scopo è distruggere la volontà degli assoggettati ed esercitare il controllo mentale totale".


Isolamento
"Distanziamento sociale", mascherine, allontanamento dalle famiglie
Le sette pseudo-religiose [ma non solo quelle] "lavorano per isolare le persone dagli amici e dalla famiglia"
Biderman: I gruppi settari [ma non si pensi solo alle sette] " possono rimuovere i bambini dai loro genitori, controllare tutti i soldi del gruppo, organizzare matrimoni, distruggere oggetti personali dei membri ".

Monopolizzazione della percezione
Frustra tutte le azioni non coerenti con la conformità, punisce l'indipendenza e la resistenza.

Umiliazioni degradazioni
Rende la resistenza più costosa che la conformità


Esaustione indotta
"....C'è la sensazione di camminare sulle uova
. Tutto diventa importante in termini di come il gruppo o i suoi leader risponderanno... privazion del sonno, del cibo... serve a indebolire la capacità mentale e fisica di resistere.

Minacce anche vaghe e imprecisate
Es. minacce di chiuderti in quarantena e non poter lavorare
"Vi ricordiamo che dovete avere paura, quando vi svegliate e anche quando dormite, di ogni cosa. Finché non vi sarete sbarazzati di questa irresponsabile libertà" (E. Pennetta).

Indulgenze Occasionali
Fornisce motivazione alla conformità sociale
I leader di gruppi coercitivi possono improvvisamente offrire una sorta di indulgenza, amore o affetto, attenzione dove prima non c'era. La vittima spera che la situazione cambierà o si dubita di se stessi ("Forse sto solo immaginando che la situazione sia così brutta")...

Dimostrazioni di onnipotenza
Crea sentimenti di impotenza
Sviluppa mancanza di fiducia nelle capacità individuali
"... ridurre tutti a una sorta di minimo comune denominatore in cui nessun dono o abilità naturale viene valutato o apprezzato, ma sono molto più apprezzati il servizio, l'obbedienza, la sottomissione all'autorità e le prestazioni che non esaltino doni o abilità individuali. [es. università, come confermato da vari autori come M. McLuhan e J. Jacobs].


https://www.maurizioblondet.it/la-carta-della-coercizione-di-biderman/

E' ciò che viene fatto anche nei confronti degli indagati o addirittura dei semplici "attenzionati" (quindi, va da se, illegalmente) da parte delle FF.OO.

Finnegan

#31
Puoi spiegarti meglio?
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Padano74


Ent

#33
Quest'anno Babbo Natale – a proposito: auguri a tutti - mi ha portato proprio il libro "Desocializzazione".
Dall'osservazione del sommario e da una rapida occhiata, direi che tale testo promette piuttosto bene. Devo però anche rilevare una certa delusione da parte mia nel leggere le opinioni dell'autore sul femminismo, contestato esclusivamente nella sua parte più radicale, e non integralmente (pagine 247-251).
Si afferma, a ragione, che "il femminismo è stato un movimento piuttosto eterogeneo, composto da una varietà di convinzioni, obiettivi e aspirazioni che si sono modificati nel tempo".  Ma poi si aggiunge -  e qui dissento profondamente - che "alcuni risultati positivi sono stati senza dubbio raggiunti, non da ultimo nella sfera economica e professionale".
Dopodiché si attacca in molteplici occasioni il solo femminismo radicale.
Di questi temi abbiamo già discusso; già ho sostenuto che non mi oppongo alla distinzione tra femminismo moderato e radicale, ma all'asserzione secondo cui quello moderato sia buono.

Oggi però arrivo ad affermare che il femminismo moderato sia oggettivamente peggiore del femminismo radicale.
Per quanto odioso sia infatti il femminismo egualitario e misandrico, che strizza l'occhio verso arcobaleni vari, di certo non è a causa di esso che la civiltà occidentale è decaduta. Il femminismo radicale è soggettivamente peggiore, e ha certamente fatto danni: non più però di quanti ne abbia fatto il femminismo moderato (e, ancora per molti, "buono").

I risultati ottenuti "nella sfera economica e professionale" sono una delle principali cause della crisi tra i due sessi. Voglio essere paradossale: uomini e donne si sono allontanati, perché... si sono avvicinati. L'attrazione deriva dalla diversità, dal trovare nell'altro ciò che a noi stessi manca.

Ma il femminismo moderato (o emancipazione femminile, che dir si voglia), che spronava le donne a conquistare terre storicamente maschili, è stata una sciagura per la nostra civiltà, anche per un'altra ragione: la denatalità.
Mi si spieghi, per favore, come può una società replicare se stessa, se la quasi totalità delle donne in età fertile lavora a tempo pieno.
Come evidenzia Eric Zemmour nel libro "Le Premiere Sexe" "le donne hanno sempre lavorato", ma lavoravano in famiglia, e quindi potevano ottemperare pienamente alla loro fondamentale e lodevolissima funzione di mogli e madri. Con i cambiamenti prodotti sul mercato del lavoro in conseguenza del progresso tecnico, le donne sono state poste davanti a un bivio: famiglia o lavoro fuori casa. Ha prevalso la seconda opzione, con l'illusione di poter perfettamente conciliare le due cose.
Niente di più falso. Il numero medio di figli per donna italiana in età fertile è 1,1, quando dovrebbe essere 2,1 per arrivare "alla sufficienza"; i dati degli altri Paesi europei sono anch'essi negativi, soprattutto se privati del contributo alle nascite dato dagli immigrati.

Se si fosse seguita la dottrina cristiana su famiglia e matrimonio - dottrina splendidamente delineata dalla enciclica "Casti Connubii" di Pio XI nel 1930 – la nostra civiltà non sarebbe decaduta, ma avrebbe prosperato, come sempre stato, quando si è seguita la legge di Dio.
Ma l'Occidente ha preferito ascoltare la voce del femminismo "buono", che tuttora canta con giubilo.
E forse, questo Occidente, non si ravvederà nemmeno quando l'Islam sarà maggioranza nelle nostre città, capitali, nazioni. Quando questo avverrà, però, che nessuno osi piagnucolare, soprattutto certi cattolici, quelli che "emancipazione sì, femminismo no", quelli che se la prendono con le Boldrini, ma approvano "senza dubbio" la moltiplicazione di bancarie, avvocate, politiche, soldatesse, manager.

Un'ultima precisazione: con queste considerazioni non contesto il valore del libro di Fforde – che, lo ribadisco, si preannuncia lettura assai interessante – ho voluto piuttosto rimarcare il mio pensiero, che nulla, ma proprio nulla, ha da concedere al femminismo.

Finnegan

#34
A mio parere Fforde fa la consueta concessione (che qui non ho citato) al politicamente corretto, per non apparire "retrogrado & misogino": non a caso le maggiori critiche femministe a Coscienza Maschile sono dovute alla nostra posizione sul lavoro femminile, che contribuisce a spopolare il nostro Paese.
Non esiste un femminismo moderato opposto a uno estremista. Il femminismo moderato non è che la tappa precedente del programma del femminismo radicale, la distruzione dell'uomo e della famiglia.
Sostengo da sempre che le idee che governano la società sono ispirate, prima che da cerchie di potere, dalle tecnologie usate dall'uomo. Parole altisonanti come emancipazione e parità sono il banale prodotto della civiltà industriale, che vede uomini e donne come macchine neutre senz'anima, le cui uniche differenze sono costituite da "parti" destinate a compiti specializzati. E' l'ipnosi prodotta dalla tecnologia, la nostra "Sposa Meccanica" (altro libro che consiglio di mettere sotto l'albero).
Da decenni noti autori affermano che il lavoro è diventato superfluo: un parcheggio per ritardare la maternità e non c'è praticamente donna che non ci caschi. Computer e macchinari già sostituiscono egregiamente donne (e uomini) alle casse, ai centralini, persino in professioni qualificate. Aver figli viene considerato degradante per il genio femminile, l'abbrutimento di lavori monotoni no.

Una parola sulle donne "cristiane": per non poche di loro la religione è un'evasione dalla loro missione terrena. Praticano devozioni come usano il cellulare, o il Tamagochi. A vent'anni dovrebbero scegliere tra marito e convento; invece, indulgono in un limbo di devozioni, prosternazioni e (le più moderne) "volontariato". Un altro segno di decadenza ma è inutile dirglielo, hanno sempre ragione.
La verità è che le donne moderne detestano il matrimonio e la famiglia e fanno di tutto per fuggirli. E' l'inevitabile frutto della civiltà ludica urbana, per cui è scontato che anche quando saremo minoranza nel nostro Paese, continueranno a sprecare la loro vita nell'intrattenimento sacro e profano.

Per invertire questa tendenza (ammesso che siamo in tempo) occorrerebbe liberarsi di tutte le zavorre che ci hanno cucito addosso: materialismo, consumismo, evasioni da sé e false simbologie e mitologie fornite dai media. Ci provò Joyce a ripulire queste stalle di Augia, ma non a caso il suo lavoro è seriamente negletto.
Vi lascio immaginare quanto sia entusiasmante oggi per un uomo la compagnia di una donna, che deve fare di continuo ridere, emozionare e divertire senza affaticarle minimamente il cervello.
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Anima Zen


Finnegan

#36
Pensa che questo prof. è dovuto andar via da Oxford per le sue opinioni! Non è successo neanche a Tolkien che aveva idee simili alle sue
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