Ritratto d’Interno di un Seminario Italiano degli Anni Ottanta. Testimonianza

Aperto da Finnegan, 8 Maggio 2021, 09:02:27 AM

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Finnegan

Un amico di Facebook – per cui una persona reale, riconoscibile e non un personaggio virtuale – mi ha inviato questa sua testimonianza. Si riferisce alla sua esperienza in seminario negli anni '80; e da quello che ho sentito nel corso degli anni temo che la sua vicenda sia tutt'altro che isolata, anzi; non solo nei seminari diocesani, ma anche in quelli religiosi, e in particolare negli ordini una volta fiorenti e ora in via di sparizione, e perciò tutt'altro che selettivi nell'accoglienza. Buona, triste, lettura.

§§§
Quando leggo certe orribili notizie sul clero odierno non mi meraviglio più, oramai, perché mi sono ampiamente vaccinato già molto tempo fa, essendo entrato in un seminario dell'Italia del nord attorno alla metà degli anni ottanta.

Quando vi entrai ero molto idealista: pensavo ad una realtà di seminario, di prete e di Chiesa che già allora stava scomparendo. Se, da una parte, vedere la realtà mi ha fatto bene perché mi ha ricondotto con i piedi sulla terra, dall'altra mi ha fatto molto riflettere. Già allora mi ponevo la domanda: dove sta andando la Chiesa cattolica? Cito una breve storia per farle capire come raggiunsi rapidamente una sofferta consapevolezza che mi fece formulare quella domanda, ben prima di molti altri.

Al mio secondo anno di studi seminaristici, entrò un personaggio stravagante, proveniente dal Sud che chiameremo Enzo, un nome di fantasia. Ne fu dato l'annuncio dal rettore, in un giorno di ottobre, mentre tutti i seminaristi, me compreso, stavano finendo di pranzare in refettorio: "È arrivato Enzo. Ha fatto un lungo viaggio per arrivare fino a noi. Ora sta riposando nella sua camera. Mi raccomando, dategli il benvenuto ma non disturbatelo ora". Un piccolo gruppo tra i più chiassosi chierici (ovviamente tutti vestiti in borghese, che la talare si metteva solo a carnevale!), capitanato dal più curioso tra loro, un giovane quasi calvo con occhiali a effetto fondo di bottiglia, appena finito il pranzo salirono velocemente al piano delle camere e, in men che non si dica, penetrarono nella camera di Enzo praticamente senza bussare. Ovviamente lo sorpresero a letto. Io ero dietro a loro, piuttosto infastidito di apparire indisponente.

Visto che la frittata era già stata combinata, con l'irruzione nella camera e il risveglio del nuovo seminarista, mi avanzai. Che vidi? Qualcosa di assolutamente strano che mi parve come dissonante, disarmonico e antiestetico: un grassone coperto da un lenzuolo dal quale s'intravvedevano delle gambette mingherline e corte. Enzo aveva un faccione largo, un volto che sembrava quello di un ubriaco, rosso, illuminato da un dolce sorriso ebete, dei capelli disordinati e lunghi. Come se non bastasse aveva un barbone completamente incolto che gli dava l'aria di un vero e proprio fauno. Le gambette piccole e striminzite lo rendevano grottesco poiché il resto del corpo era grosso e fin troppo nutrito. Per completare il quadro, tali gambette erano disposte con una morbidezza e vezzosità da apparire quelle di una ragazzina. Era la prima volta che vedevo qualcosa del genere ed ero esterrefatto. "Un fauno effeminato!", mi suggerì una voce interiore, al che mi ritrassi in preda ad una sorta d'incredulità, sgomento e ripugnanza.

Non dico che in un seminario debbono necessariamente entrare i migliori tra gli uomini, ma qui era in ballo qualcosa che andava ben oltre la semplice estetica, come ognuno può ben capire. Allora mi era incomprensibile come si potesse accettare in un seminario un essere così strano. Il tutto mi inquietò perché lo vidi per ciò che era: strano, stravagante... anormale! Come ci era entrato e con quali raccomandazioni? A tutte queste domande ricevetti risposta molto lentamente, anche grazie all'osservazione del comportamento e delle scelte dei cosiddetti superiori. Al momento ero obbligato a digerire il mio sconvolgimento ma ci misi molti mesi, non senza essere talvolta sgridato poiché manifestavo troppo chiaramente l'idea di non accettare quel nuovo seminarista.

In realtà, la mia mancata accettazione nasceva dall'aver istintivamente capito che personaggi di quel genere non avrebbero dovuto trovare luogo in un seminario e chi mi sgridava rappresentava la mentalità dei tempi correnti per cui tutto va bene. D'altra parte lo stesso vescovo di allora lo affermava a chiare lettere: fare scelte inclusive, ad ogni costo! Forse lui stesso avrà avuto istruzioni a tal riguardo dall'alto, chissà!

Una delle sere seguenti, salendo dal pian terreno, mi recai al secondo piano dello stabile che ospitava le camere dei seminaristi e quindi la mia. All'ingresso di quell'ala, era disposta una cappellina assai squallida: sul pavimento era stata stesa una moquette con una deprimente tonalità di marrone; al centro, quale altare, era stato disposto un tavolinetto classico da salotto, coperto a mala pena da una tovaglietta bordata con un microscopico pizzo. Dietro, su una colonnetta di legno a tortiglione, era appoggiato qual tabernacolo uno scatolotto metallico postmoderno; a fianco di esso, "impiccato", c'era un turibolo aperto dentro il quale era stato inserito un cerone acceso per fungere da lampada. Intorno a tutto il muro perimetrale di quella squallida stanzuccia c'erano semplici sedie da auditorium. Ovviamente quel posto era privo di inginocchiatoi o qualsivoglia immagine o statua devozionale. Enzo era lì, nell'oscurità, mentre versava lacrimoni con sonori singhiozzi che risuonavano lugubri per tutto il corridoio abissalmente lungo e semibuio fuori dalla cappella, corridoio che aveva, a destra e a sinistra, numerose camere in gran parte vuote per seminaristi.

"Che hai, posso fare qualcosa per te?", gli chiesi, contrastando una certa naturale ritrosia nei suoi riguardi. "Nulla, non puoi fare nulla, oramai è tutto finito!", mi rispose con un fare   melodrammatico. Sembrava che gli fosse morto chissà chi o avesse perso un'immensa cifra al gioco. Insistetti e ricevetti la medesima risposta ma ancor più lacerata dal pianto. A pelle, tutto ciò mi parse a dir poco stravagante ma di lì a qualche giorno ebbi modo di capire il motivo di tanta tristezza.

La risposta arrivò senza che mi scervellassi di capire, anche perché non c'era nulla da capire in un essere così stravagante e poco normale, come lentamente sarebbe apparso. I seminaristi erano soliti fare bisboccia per quaranta minuti dopo il pranzo quotidiano, in una saletta disposta sullo stesso piano dei dormitori detta "camera del caffè". Quella camera, originalmente una stanzuccia da letto come tutte le altre, era stata fornita di un vecchio armadio da cucina, qualche fornello a gas e il solito lavandino di cui ogni camera su quel piano era normalmente fornita. Al suo centro c'era un tavolo con delle sedie da cucina. Dalla fine del pranzo, chi non dava qualche calcio al pallone, ossia la maggioranza, si ammassava in quel luogo dando corpo a chiassose adunanze, tra chicchere sporche, caffè sempre da fare e dense nubi di fumo nell'aria. A volte compariva pure qualche bottiglia di grappa o di Vodka ad alta gradazione.

Qualche giorno dopo i teatrali e solitari pianti di Enzo, i seminaristi, finito il pranzo, si ritrovarono nella stanza del caffè a fare le loro solite discussioni, in gran parte fatue, sullo stato della Chiesa, sul bisogno di ammodernarla, ossia secolarizzarla, sull'inutilità di perdere tempo a pregare mentre la gente nel terzo mondo soffre la fame e così via.

Per non annoiarsi ci entrò pure Enzo trovando, tra gli altri, un corpulento e butterato diacono permanente (che poi scoprii essere gay) e un seminarista con gusti sessuali pari ai suoi proveniente, come poi capii, dal battuage.

Ovviamente, ero ben lungi dall'aver capito questi personaggi, le loro propensioni e il loro mondo, ma ne dovetti prendere atto pian piano e con prudenza per non essere, io, il discriminato! Per giunta non ho mai amato compagnie chiassose e vacue. Così, preferivo lasciare i seminaristi tra loro a far bisboccia, per rientrare nella mia camera, di fronte alla stanza del caffè, poco più in là. Quel giorno, non avevo neppure posto la mano sulla maniglia della porta della mia camera che rimasi impietrito: l'aria fu lacerata da un urlo sopranile, meglio, uno strido selvaggio molto simile a quello del pavone (uccello bellissimo ma dal pessimo verso). L'urlo insistette due o tre volte lasciandomi di stucco e atterrito poiché il corridoio in cui stavo lo rimbombava mostruosamente. Veniva proprio da là, dalla sala del caffè. Immediatamente dopo, si spalancò la porta di quella stanza e ne uscirono, tenendosi la pancia dalle risate, il diacono butterato e il suo amico di gusti. Cos'era successo? Lo compresi poi: il diacono, per capire il nuovo arrivato, fece "piedino" a Enzo. Enzo realizzò fulmineamente che quell'ambiente, all'inizio a lui estraneo, aveva dei gay, si entusiasmò e proruppe in urla incontenibili di felicità. In questo modo poi compresi che pure Enzo apparteneva al novero di quei seminaristi gay che pian piano si palesavano, e divenne sempre più assurdo e sguaiato.

Fu così che le mie idealità di seminario iniziarono a frantumarsi. Nel periodo del suo seminario, Enzo fu molto chiacchierato per essere autore dei più stravaganti fatti. Tra i tanti ne menziono uno che contribuisce a mostrarne la personalità. Era consuetudine che, ciascun anno, i seminaristi facessero un ritiro spirituale predicato da qualche religioso. In quell'anno il ritiro si fece in un santuario regionale, circondato da un bel parco e recintato da un muro e una cancellata. Enzo oramai non celava più ciò che gli passava per la testa. Lo faceva sapere ad alcuni che lo diffondevano, tra risate e maligni commenti. Una delle sere del detto ritiro, fu assalito da un irresistibile desiderio sessuale. Non potendolo soddisfare in loco per ovvii motivi, pensò di fare una capatina notturna in città. Una malcapitata suora aveva appena chiuso i cancelli di cinta al santuario, essendo le nove di sera, e si trovò dinnanzi Enzo, sudaticcio e balbettante. "Suora, mi apra il cancello poco poco", le disse trafelato, "perché devo uscire per fare una telefonata a mammuzza che non sta bbene!". La suora lo guardò come avesse di fronte un pazzo e, ovviamente, non lo fece uscire. Quella volta Enzo fu scornato ma molte altre volte della sua permanenza seminaristica riuscì a farla franca.

A questo punto nascono domande più che legittime: i superiori che facevano? Si rendevano conto di quanto succedeva? All'inizio almeno in parte credo di sì. Dopo qualche anno sicuramente sapevano bene chi era Enzo. Tuttavia non davano l'aria di preoccuparsene molto. Preferivano lodare il cristianesimo ideologizzato dell'America latina e s'irritavano se c'era ancora qualcuno, come me, che ascoltava canti gregoriani. Di sicuro non volevano essere infastiditi.

Enzo oramai trotterellava allegramente nei corridoi del seminario, emettendo continui gridolini, con la scusa di esser stato a lezione di canto sopranile, agitando i piedini e le gambette grottesche, facendo ballonzolare il corpo tozzo e straripante, e cacciando ovunque il suo visone rosso dal barbone incolto. Lo iniziai a chiamare "cinghiale nella vigna del Signore". Infatti, si comportava proprio con l'opportunismo di tale animale, lasciandosi sfuggire, per di più, risatine sciocche, battute dementi e ricorrenti frasi piccanti al cui centro c'era sempre il fallo, ora denominato "piccione", ora "cefalo"; una vera e propria mania!

Fu ordinato sacerdote nella regione dalla quale proveniva e, in questo modo, i superiori lo scaricarono come una patata bollente lasciando ad altri la rogna che rappresentava ma tenendosi ben strette le proprie.

Da questo racconto cosa se ne può trarre? In un seminario come quello da me conosciuto in gioventù se una persona intuisce un pericolo e lo chiama con il suo nome, viene immediatamente ostracizzata con la scusa di "non accettare" il prossimo. In compenso, il pericolo veicolato da tali esseri viene lasciato circolare perché i superiori, di fatto, non se ne interessano. Già allora eravamo davanti ad un crollo delle istituzioni cattoliche e ci meravigliamo di quanto succede oggi? Chi saprà leggere questo racconto capirà che quanto sta in gioco, non è tanto l'esistenza di un gay sfasato divenuto prete, ma che costui ha trovato un ambiente dove si è potuto esprimere e giungere all'ordinazione senza minimamente cambiare se stesso. Se non fosse stato così, se ne sarebbe allontanato, visto che all'inizio era molto triste perché gli pareva di non essere nel posto giusto.

Siamo dunque di fronte a qualcosa di molto più ampio e drammatico di una grottesca storia personale: la struttura stessa di molti seminari, per opera di chi la dirige e ne è responsabile, è marcia. In definitiva: se i gay oggi si sentono padroni nella Chiesa esistono fondati motivi. Un tempo, pur essendocene sempre stati, non si sarebbe mai fatto quanto accade oggi dove si sbandiera con fierezza e sfacciataggine la propria tendenza sessuale, infischiandosene di tutto e tutti e si cercano pure di cambiare i riferimenti morali e dogmatici tradizionali della Chiesa.

Cordialmente.

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