Il femminismo promuove la solitudine e i fallimenti di coppia

Aperto da Finnegan, 6 Aprile 2018, 11:15:37 PM

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Finnegan

E' un richiamo appassionato al campo femminile perché la smetta di nascondersi dietro una narrazione di comodo, discriminatoria, conflittuale, sterile, improduttiva. Un richiamo affinché le donne tornino a mettersi in discussione, ma non da sole, bensì insieme agli uomini. Perché, piaccia o no, uno non si dà senza l'altro.

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Esattamente come non credo, contrariamente a quanto la narrazione diffusa vuol far credere, che gli uomini siano tutti mostri dediti alla sopraffazione della donna, ugualmente non credo che tutte le donne siano scorrette, calcolatrici, traditrici, pessime madri, pessime compagne e quant'altro. La realtà dei fatti smentisce l'una come l'altra cosa. Ma c'è una differenza sostanziale: dal campo maschile non arriva nessuna "versione ufficiale" autodescrittiva, che definisca e imponga a tutti il modo giusto o tipico dell'essere uomo. E se anche arriva, non trova diffusione in ogni caso. Diversamente, il campo femminile possiede questo complesso di elementi descrittivi: un misto di ideologia (quando si scade nel femminismo) e comunicazione di genere, atta a dire a tutti cosa è la donna di oggi. Un tipo di narrazione che sul mercato viene imposta a forza.

La descrizione di cosa sia oggi una donna, fatta da donne stesse, ha un potere persuasivo che finisce per influenzare un numero molto grande di persone di sesso femminile, che a quel modello tendenzialmente vogliono o sono indotte a conformarsi. Ed è verso quel modello, ben sostenuto nelle sue forme più semplificate e deteriori dai media e da vari portatori d'interesse, che vanno le mie critiche più aspre. E non è misoginia. E' un richiamo appassionato al campo femminile perché la smetta di nascondersi dietro una narrazione di comodo, discriminatoria, conflittuale, sterile, improduttiva. Un richiamo affinché le donne tornino a mettersi in discussione, ma non da sole, bensì insieme agli uomini. Perché, piaccia o no, uno non si dà senza l'altro. O meglio, si dà, ma con miserrimi esiti di solitudine e fallimento. Il punto è che l'autodescrizione femminile odierna è dotata di un'efficientissima "cassetta degli attrezzi" atta al reperimento di alibi di ferro e autoassoluzioni assortite. Il vissuto maschile non ha niente del genere, tende invece ad affrontare il fallimento per quello che è, dunque con disillusione, disarmo, rabbia e una quotidianità zoppa, perché mancante di una parte essenziale: un progetto di vita che sia portatore di senso.

"Progetto di vita"... Tradizionalmente, e ancora oggi, per l'uomo (con ciò intendendo ogni persona di sesso maschile per bene e sana di mente, ovvero la maggioranza) esso significa famiglia. Un'alleanza basata sull'amore dal lato sentimentale, e sulla cooperazione dal lato operativo. Fin dalla prima emancipazione femminile l'uomo si è adeguato a un necessario cambio di ruolo: non più solo distante produttore di reddito per il nucleo familiare, bensì soggetto partecipe attivo alle sue dinamiche, fino ad acquisirle come motivo dell'esistenza, tanto quanto, se non più, della realizzazione professionale. E questo grazie all'ingresso con pieni diritti delle donne nel contesto comunitario, a sua volta indotto dai cambiamenti economici degli anni '60 e '70. Insomma: l'uomo è stato capace di cambiare. Oggi il modello di oppressivo pater familias, signore e padrone, quand'anche sia davvero esistito, è tramontato, e l'esistenza di una famiglia o la presenza di figli rappresenta per il maschio una fonte di senso molto più che una carriera brillante.

Le donne invece non hanno saputo frenare. Ottenute le vittorie importanti sul lato civile, sono scivolate in modo naturale sul campo della pretesa di privilegi, a danno degli interlocutori maschili. Non è accaduto perché le donne sono "cattive" di natura, ben inteso. E' accaduto sulla spinta duplice di un'ideologia che, ottenuti i risultati più importanti, ha perso di profondità e si è limitata a navigare in superficie, e di un modello economico che ha individuato nelle donne (e nei fanciulli) un motore potentissimo per il consumo. Indurre la donna a considerare l'uscita dal contesto familiare come una forma di emancipazione ha contribuito alla disgregazione dell'ultimo baluardo contro lo sfruttamento di un'economia priva di qualunque scrupolo: appunto la famiglia. Quella che se mette qualche soldo da parte, è per gli studi dei figli, per la loro salute, per il loro futuro, non per l'auto nuova, la borsa griffata, l'ultimo modello di cellulare o le scarpe alla moda. Ci hanno provato ad agganciare gli uomini, ben inteso, ma senza successo: il naufragio di riviste come "Men's health" e simili ne è la prova.

E lì oggi siamo: il genere maschile ancora, forse un po' ingenuamente, tiene botta rispetto alla necessità di riuscire a coniugare i diversi aspetti di uomo e donna, per costituire una realtà protettiva e produttiva, appunto la famiglia. Sa che tale realtà comporta rinunce e sacrifici, specie dal lato individuale, ma sa anche che la contropartita è grande, fino a diventare il senso stesso del vivere. Anche l'altro genere, quello femminile, mantiene inizialmente questa chiave di lettura. Non esiste donna che non voglia sposarsi e avere figli. Salvo poi sfogarsi con le amiche che il contesto familiare rende loro impossibile curarsi di se stesse, delle proprie esigenze, inquietudini, insoddisfazioni. Tutte criticità accettabili ponendo la produzione di senso attraverso la famiglia come priorità. Sbarre di una prigione declinata al maschile per come articoli di giornale, servizi televisivi e libri ancora raccontano la donna moderna e per come la donna moderna racconta se stessa.

Ecco allora che scatta la produzione degli alibi, fioriscono le autoassoluzioni, sulla base di un proprio inalienabile diritto a essere se stesse, autonome, a prescindere, anzi in contrapposizione all'interlocutore maschio e a ciò che con questo è stato costruito. Un interlocutore che però nel frattempo è stato coinvolto con tutta la sua esistenza in un progetto di vita in cui ha investito tutte le sue risorse interiori. E con lui spesso ci sono dei figli, il più grande miracolo di un contesto familiare, che come tali non investono nella famiglia, ma sono essi stessi il prodotto migliore dell'investimento. Eppure no, il falso concetto che passa è: sono soffocata, sono oppressa, non mi posso esprimere liberamente, non voglio che la mia realizzazione dipenda dalla presenza di un uomo. In quel momento le pulci nell'orecchio messe da un'autodefinizione narcisistica e distorta si ingigantiscono, inducendo la donna a leggere come dipendenza quella che, fin dall'inizio, doveva essere una alleanza basata sul sentimento. Un'alleanza che lei stessa solitamente ha promosso, ha contribuito a creare e ha sottoscritto.

Ferma restando l'esistenza di un numero maggioritario di meravigliose madri di famiglia, mogli dedite, leali e innamorate del progetto di vita costruito col proprio compagno, è in questa contraddizione che un altrettanto grande numero di donne cade regolarmente. La maggior parte delle cause di separazione è promossa dalle mogli. In esito alle separazioni la società oggi pullula di uomini spezzati, da un lato, e dall'altro di donne single impegnate a trovare consolazione alla loro solitudine e inutilità, al loro vuoto improduttivo, con la ricerca di alibi e di una narrazione "romantica" del loro essere indipendenti e autonome. Sono donne impregnate di tristezza e alienazione, che spacciano a se stesse quotidianamente il loro essere soddisfatte della vita, tra uno shopping e l'altro, tra un toyboy e l'altro, e che ottengono da altre donne una descrizione favoleggiante della loro esistenza miserabile e sradicata cui hanno costretto se stesse e un numero imprecisato di uomini. In quell'autodescrizione sono inclusi molti alibi ispirati e retorici: il prozac culturale con cui cercano, spesso senza successo quando gli capita a tiro uno specchio (interiore), di guardarsi serenamente invecchiare sole, inutili e dimenticate.

Questo genere di donne, che sono davvero moltissime, e i cantori e le cantrici del loro modello sono il centro della mia critica più serrata. E non è misoginia. Derubricarla come tale significa scappare furbescamente da un confronto argomentato. Un po' come dare del razzista a uno che voglia analizzare nel profondo il fenomeno dell'immigrazione. Io cerco di andare più addentro e sostengo che l'interruzione di quel tipo di autodescrizione femminile sia un passaggio fondamentale per la costruzione di un futuro dove non noi, ma i nostri figli, possano avere qualche possibilità di non essere nomadi affettivi, isolati e incompleti. Ed è un'interruzione che deve partire anzitutto dalle donne che, come durante il femminismo primigenio, hanno il compito di mettere in discussione se stesse e i modelli che vengono loro imposti, per porsi davanti agli uomini come sono oggi e trovare un campo d'intesa nuovo, ragionato, logico. Ciò significa anche che le donne dovrbbero smettere di farsi manipolare e strumentalizzare da una comunicazione autoreferenziale e sterile, per quanto fascinosa, mandando al diavolo chi pretende di descriverle, quando in realtà sta solo producendo delle scusanti che le sollevino, in linea del tutto teorica, dalle proprie responsabilità. Magari cercando di farci su pure un po' di grana.

Avevo detto che per questo articolo avrei fatto esempi concreti. Voglio qui prendere un esempio attuale, tratto da un blog che tra le donne, a quanto vedo, sta andando per la maggiore: S.O.S. donne. Metto il link ma è inutile che inviate commenti, ci ho già provato io, ma senza successo: il confronto con l'altro non è ammesso, specie se critico.

La titolare del blog è una mia concittadina, tale Penny, che si autodescrive come insegnante, madre, donna uscita da un doloroso divorzio. Di recente è stata anche promossa scrittrice di romanzi dalla casa editrice "Giunti", che non si è certo fatta scappare il business legato a una narratrice così efficacemente autoreferenziale e per sole donne.

Questo è l'obiettivo: non raccontare se stesse alla luce di una dura realtà, ma evocare il più poeticamente possibile concetti e modelli in realtà vuoti di ogni reale significato, ma che suscitano emozioni. Roba di classe, signori... Ma andiamo ai contenuti. Come la donna, madre, insegnante Penny racconta le donne? Ascoltate.

CitazioneQuante volte abbiamo sentito: "Mia figlia è sistemata". Oppure lo abbiamo pensato: mi sono sistemata. Un matrimonio. O un amore. Un figlio. Forse due. Una casa. Cosa si sistema? Un oggetto su un mobile. Dei calzini in un cassetto. Non una persona.

da "Quando le figlie sono sistemate: un matrimonio, una casa, un figlio"

Vero, quella è una frase sentita spesso. Dalle nonne. Ed è saggezza antica. Si riferisce a una "sistemazione economica", laddove tempo fa per una donna era necessario trovare un uomo che avesse un buon lavoro, appunto per sistemarsi, ma non c'è solo quello. Le donne che pensavano e pensano a questo sono preoccupate per una futura buona vita della propria prole. Una vita fatta non di stenti, privazioni e solitudine, ma di sicurezza e senso. Non è un caso che le stesse madri da sempre auspichino le stesse cose riguardo ai figli maschi. Amandoli veramente, cosa si può desiderare per essi? Che abbiano la possibilità di trovare un alleato/una alleata d'amore, con cui sostenersi e completarsi a vicenda, insieme a cui costruire una realtà protetta e sicura. Dove sta il male in tutto questo? Non c'è. Ma Penny si appropria del concetto, lo volgarizza femminilizzandolo e avvicinandolo alla considerazione della donna come oggetto. Il tutto con un tono sottilmente rivendicativo: la donna non è una cosa! Da questo assunto ne discende che sposarsi, innamorarsi, fare figli, avere una casa è male. Non c'è traccia del concetto di coppia, se non in termini di condanna. Dunque la costruzione di una realtà di coppia deve andare male a tutte. O meglio: se va male non è mai colpa delle donne, ma di chi le ha considerate come calzini da mettere in un cassetto. Così una donna racconta le donne: appropriandosi di un fenomeno normale, logico, produttivo, descrivendolo come il male e leggendolo attraverso una lente distorta. Per demonizzarlo e per fornire a se stessa e alle altre un'autoassoluzione che le allontani dall'autocritica e dalle responsabilità. Il tutto ben sapendo che si tratta di frottole. Ma andiamo avanti.

CitazioneUna persona, una donna, non si sistema. Non si colloca. Non è legittimata solo vicino a un uomo. Una donna, semplicemente, ce la può fare. Da sola. Innanzitutto.

da "Quando le figlie sono sistemate: un matrimonio, una casa, un figlio"

Che una donna possa sentirsi legittimata solo vicino a un uomo lo dice lei, Penny, e forse nessun altro. Ed è improprio (ma astuto) parlare di legittimazione. E' improprio perché non si tratta di politica, dove qualcuno è legittimato a governare se prende la maggioranza dei voti. Non è un'azienda, dove qualcuno è legittimato a prendere decisioni se viene nominato Amministratore Delegato. Qua si parla di relazioni umane e affettive. Dunque la questione non è la legittimazione, ma la completezza. Sotto questo profilo la frase diventerebbe ancora più insensata: "una donna non è completa solo vicino a un uomo". E invece sì. Esattamente come un uomo è completo solo vicino a una donna. Da soli sono soltanto la metà di un mondo che, in quanto tale, resta incompiuto. Come incompiute e irrisolte sono le donne che descrive Penny, o le donne a cui Penny si rivolge, o le donne come le vuole Penny. Sole al mattino, quando al risveglio l'altro lato del letto è vuoto e freddo; sole al desco durante la cena; sole nei loro pensieri e dentro di sé. Sole, decadenti e senza un senso dell'esistenza. Uguali uguali sono gli uomini soli, l'unica differenza è che non se la raccontano... Certo, entrambi ce la possono fare da soli, ma sono individui spezzati. Porre questa frattura come principio di riferimento (quanto tristissimo orgoglio in quel "ce la può fare") significa ancora dettare un modello e proporre un'autoassoluzione. La donna che non si completa in un uomo, come l'uomo che non si completa in una donna, sono semplicemente dei falliti. Come ho detto nella mia lunga introduzione teorica, l'uomo tendenzialmente accetta il fallimento e convive con la mutilazione. La donna no, se la deve raccontare e deve imporre la sua versione a tutti, pur sapendo che si tratta di balle raccontate anzitutto a se stessa. Come fa Penny. Che in questo senso ammette anche di voler far danni, stritolando in questo meccanismo la prole:

CitazioneOra tocca a noi madri. Tocca a noi che parliamo alle nostre figlie e ai nostri figli. "Studia. Trovati un mestiere, possibilmente che ti piaccia, cercati una casa e sii autonoma". Non dobbiamo più immaginare per loro solo un abito bianco. Una navata da percorrere. Un giorno speciale. Come se questo ci potesse rendere orgogliose o tranquille sul loro futuro. Dobbiamo immaginare che sappiano sistemarsi non per mano di un altro, ma da sole.

da "Quando le figlie sono sistemate: un matrimonio, una casa, un figlio"

Confondere il piano della propria realizzazione personale col piano delle relazioni affettive è quanto di più sbagliato, criminale quasi, ci possa essere. Il consiglio di trovarsi un buon mestiere, avere una casa ed essere autonomi è buono per tutti, da sempre, non solo oggi. Ma non ha nulla a che fare con l'amore e ciò che ne consegue. I due piani si confondevano, è vero, ma molti molti decenni fa. E' da mo' che non è più così, da quando le femministe della prima ondata hanno creato la giusta massa critica per separarli. Rimetterli insieme è un'operazione fuori dal tempo e sostanzialmente disonesta. Nessuno in buona fede e col cervello a posto può oggi pensare di "sistemarsi per mano di un altro". Tutti pensano a sistemarsi per se stessi per poi o contestualmente trovare una propria completezza umana e affettiva nel rapporto con l'altro. Una cosa che non è riuscita a Penny, che non riesce più a un sacco di donne come lei, che leggono con entusiasmo le sue romanticherie criminogene, e che spesso non riescono proprio perché imbevute di tanto letame subculturale. Ai figli e alle figlie va insegnato a farsi un'esistenza autonoma, senza dubbio, per la propria sopravvivenza. Ma anche e soprattutto che le relazioni affettive vanno ponderate, richiedono sacrifici che a loro volta portano a utili straordinari. I figli devono capire che trovare una propria autonomia mette di mezzo solo se stessi, mentre trovare una dimensione affettiva coinvolge un'altra umanità: per questo gli va insegnato a ponderare bene le scelte. A figlie e figli va detto: se coinvolgi un altro o un altra nei tuoi sentimenti, sappi che stai giocando con un'esistenza che non è la tua. Se prendi scelte impegnative, fallo essendo il più certo o certa possibile. Se sai di avere aspirazioni incompatibili con una famiglia, non costruirla, non coinvolgere altri, figli inclusi, in qualcosa che rischi di non essere capace di portare avanti. Se sei anche solo minimamente incerto o incerta del partner, evita. Se la costruisci, fallo con coscienza, sapendo a cosa rinunci e fiero/fiera di ciò che guadagni in termini di senso. E per rispetto dell'altro, se decidi di uscire da ciò che hai costruito, alla base devono esserci motivi veri, forti, significativi, gravi. Perché non si coinvolgono i sentimenti degli altri per poi demolire tutto sperando che avvenga senza colpo ferire, esiste una cosa chiamata responsabilità. QUESTO va insegnato. Perché non per forza i figli o tutto il mondo femminile deve, per solidarietà, fare la stessa fine di chi ha fallito. E tentare di indurle allo stesso fallimento con parole come quelle di Penny è semplicemente sbagliato.

Viene da chiedersi, a questo punto, se l'autrice del blog sia una buona madre. Quel ruolo che lei espone come qualificante del suo essere, insieme all'essere insegnante e moglie divorziata, viene svolto bene? Nessun genitore, uomo o donna, da solo svolge bene il proprio ruolo. Un pezzo manca sempre. Ma non al genitore stesso, o meglio, non solo: manca ai figli. Per quanto uno cerchi di sopperire, l'altro lato dell'amore familiare non c'è, a causa di un errore di valutazione commesso a monte da una delle due parti. Fatto salvo che il numero di stron*i e irresponsabili è sempre alto, tra gli uomini come tra le donne, quello che riscontro io è un esercito di padri separati che, per quel poco che gli è dato di frequentare i figli, fanno tutto per loro, mettendo a rischio il lavoro, le relazioni sociali, la propria stessa integrità. Persone capaci di rinunciare a ogni cosa, purché i figli siano felici e crescano bene, senza trovare scuse a eventuali mancanze. E quando qualcosa va storto, gli uomini rimangono prostrati dal senso di colpa, di inadeguatezza, e si perdono in autocritiche anche eccessive. Le donne invece come si raccontano nei frangenti in cui falliscono come madri? Lo fanno come fa Penny, in un altro articolo, dove anche la grafica viene usata per sottolineare i concetti:

CitazioneUna madre può dimenticare di firmare un avviso. Di partecipare all'assemblea di classe. Di pagare il bollettino per la gita.

Può dire qualche parolaccia, e sentirsi pessima pessissima.

Può annoiarsi quando gioca con i propri figli e scegliere di non farlo.

Può dimenticarsi di far lavare i denti dopo cena, l'apparecchio in tasca, la merenda nella borsa. I biglietti dell'autobus per la gita.

Una madre può farsi prendere dai cinque minuti, e non avere cerotti o salviette sempre pronti all'uso.

Può avere pensieri poco educativi e non dirlo a nessuno.

Può bruciare la torta al cioccolato, può comprare il gelato prima di cena e le caramelle piene di zucchero quando frignano.

Può paragonare i propri figli con quelli delle brave bravissime, e sentirsi uno schifo.

Una madre ha un codice segreto per ogni porta chiusa, un cuore in borsa per ogni occasione, parole buone quando servono, braccia grandi, e impazienza da vendere.

Una madre buona può esserci ogni tanto perché c'è sempre.
Come il cielo che ci copre o la terra che ci sostiene.
Di lei non ci accorgiamo, è nell'incertezza dei giorni e nei sogni della notte. Sempre accanto anche quando non c'è.

Ha il cuore sbavato, ma sa agire l'amore come nessuno.
E i suoi figli lo sanno.
da "Una madre ha il cuore sbavato, ma sa agire l'amore. Come nessuno"

Cos'è questo se non un elenco, per altro abbastanza preciso, dell'inadeguatezza di un genitore da solo che abbia scelto di essere tale per mettere narcisisticamente se stesso al centro della propria vita, tornando indietro sulla decisione presa in precedenza di mettere al centro un "nucleo cooperativo" che coinvolgeva affettivamente altre persone? E' un elenco che dice: sbaglio in questo, sbaglio in quello e in quell'altro, come madre. Perché al centro del mio mondo ci sono io, IO, IO e basta. Sono un fallimento totale nell'esecuzione di un ruolo molto più complesso che non sia il rendere conto solo a me stessa. Questo dice. Ma... lì viene il bello. Nonostante l'evidenza di tutto questo, lei ha un "codice segreto", "un cuore in borsa"... Ma soprattutto lei può non esserci perché "c'è sempre. Come il cielo che ci copre o la terra che ci sostiene.". Quale poesia... quale musica. Ma intanto i figli restano senza giustificazione a scuola, senza compiti fatti, senza un genitore con cui giocare (mentre l'altro è tenuto a debita distanza), senza torta al cioccolato, bruciata perché magari mamma stava chattando al cellulare o scrivendo stupidaggini sul suo blog per sentirsi lei speciale. Chissenefrega, ci sono io, IO, IO. Ma in ogni caso non c'è problema: di lei, madre, ci si accorge "nell'incertezza dei giorni e nei sogni della notte". Perché "ha il cuore sbavato ma sa agire l'amore come nessuno".

E I SUOI FIGLI LO SANNO
Ne sei così sicura, Penny? Dici di averli sentiti bisbigliare che erano contenti che ti pubblicano il romanzo. Anche di quel frangente hai dato una lettura autopromozionale e narcisistica. Avranno pensato, in realtà, ne sono certo: ci considera così poco e così male, almeno abbia il suo stramaledetto tornaconto, che forse finalmente si mette quieta col suo egocentrismo e inizia a considerarci un po' come si deve. Comincerà a non bruciare la torta, a non lasciarci soli a giocare, a partecipare della nostra crescita senza mettere sempre se stessa e le sue inquietudini individuali al centro di tutto, ma mettendo finalmente NOI al centro del mondo...

Tutti i figli di madri o padri falliti, narcisisti e autocentrati, non sanno proprio un bel niente. Vivono nella perenne privazione di qualcosa, e basta parlarci e frequentarli per rendersene conto. Vivono spezzati anche loro, come spezzati sono i genitori, come spezzata è la madre che, inseguendo una propria egoistica realizzazione, pone loro, che sono ben più importanti, in secondo piano. La frase con cui Penny conclude il suo articolo è romantica, colpisce al cuore le lettrici, che leggendo si sentono legittimate (in questo caso sì) nel loro fallimento. Ma è un ALIBI. Ancora più grave perché consapevole. Un alibi con cui vengono assolte le tante donne che hanno sbagliato, hanno prodotto dolore e privazione in altri, magari a ciò indotte dal bombardamento subculturale della "donna sola e realizzata" o per motivi fatui. Penny partecipa attivamente a questo tipo di bombardamento, infettando di questo virus disperatamente deresponsabilizzante altre che magari vorrebbero lavorare su se stesse per trovare una dimensione completa, consapevole, equilibrata e produttiva.


Mi rivolgo direttamente a Penny: ora non te ne rendi conto, perché sulle ceneri di chi è rimasto schiacciato dai tuoi errori e dalle tue inadeguatezze hai costruito qualcosa con cui alimentare il tuo ego narcisista perennemente insoddisfatto e inquieto, ma quando sarai più vecchia, ancora più sola (i figli a un certo punto se ne vanno), ancora più desolata nell'ammirare l'effetto del tempo, allora guarderai a ciò che hai scritto, e non ne sarai più orgogliosa, anzi forse un po' ti vergognerai di aver fatto propaganda allo sradicamento invece che all'integrazione. Così accadrà a te come sta accadendo e accadrà a molte altre cresciute e indottrinate da articoli come i tuoi. E lo stesso accadrà a tutti gli uomini con cui avete perso l'occasione di costruire qualcosa di molto arduo, ma come tale di grandemente significativo. Tutti insieme vi guarderete alle spalle e vedrete cosa avete lasciato. Nulla.

Questo è il modello di narrazione di donna, e le donne che conseguentemente ne risultano, che io critico aspramente. Non per misoginia, ma per le ragioni evidenti di disallineamento rispetto a ciò di cui ogni persona ha bisogno. Io mi pongo contro una narrazione avversa all'amore, a tutto ciò che di difficile impone e a tutto ciò che di meraviglioso può produrre. A una visione edonistica, individualistica, egocentrica, egoista, narcisista e autocentrata dell'esistenza, che così tanto fa presa nel campo femminile, e così tanto incomprensibile appare al campo maschile da generare sfracelli tra chi vi appartiene. A questa versione posticcia, retorica e fasulla dei fatti io, in quanto uomo, mi ribello, e chiedo scusa se lo faccio con una passione che talvolta diventa virulenta, non riesco a farne a meno. Dietro a tutto c'è il mio sogno di un mondo dove anche le donne vi si ribellino, gettando quei concetti e quelle parole là dove meritano di essere: in discarica. Per rimboccarsi poi le maniche e mettersi al lavoro, tutti insieme, con l'obiettivo di progettare un nuovo futuro di unione, di comunità, di protezione dal male. E dal nulla.


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Finnegan

Dal blog Pater Certo:

La storia dell'uomo ha avuto come pietra angolare la responsabilità, l'impegno e l'amore per millenni. Ma che oggi non vanno più bene perché sperare in un "noi" viene letto come un mettere il guinzaglio, negare la libertà.
Perché tu esattamente come gli uomini insulsi perennemente in fuga che le tue nonne e madri schifavano, la responsabilità non la vuoi.
Perché in fondo sei solo una ragazzina poco cresciuta che pensa che un happy hour con le amiche sia "Libertà" e che si nasconde dietro le argomentazioni "di genere" per mascherare la tua inadeguatezza.
E lo fai trasformando la bellezza in violenza, il romanticismo in una trappola creata apposta su misura per te.
Senza renderti conto che in quella "trappola" ci stiamo insieme.
Anch'io come te.
Senza renderti conto che non é una trappola ma un rifugio sicuro contro la miseria della vita.
E allora perdonami ma vaf*anculo amore mio.
Vaf*anculo.
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