La Resistenza Cattolica deve partire dalla Messa in Latino

Aperto da Finnegan, 4 Marzo 2018, 09:03:16 AM

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Finnegan

Pensate che la Messa in Latino sia un relitto per nostalgici? Ascoltiamo queste parole di Lutero nel "Contra Henricum": "Quando la messa sarà distrutta, penso che avremo distrutto anche il papato... Infatti il papato poggia sulla messa come su una roccia. Tutto questo crollerà necessariamente quando crollerà la loro abominevole e sacrilega messa".
Qui Lutero aveva visto giusto: distruggi la Messa e distruggerai la Chiesa. Ebbene, la riforma liturgica del 1970 fu ideata con la consulenza di pastori protestanti, "affinché la Messa cattolica non fosse più d'inciampo per loro", come aveva detto il riformatore Mons. Bugnini, poi allontanato da Paolo VI e inviato in Iran a seguito di accuse di appartenere alla Massoneria.
Il fedele che devotamente va a Messa ogni domenica, non si rende conto fino a che punto il rito sia stato reso estrememente simile a quello voluto da Lutero, con probabili danni spirituali per il popolo cattolico.
Data la delicatezza della materia, lascio spiegarlo ai due grandi esperti, Cardd. Ottaviani e Bacci, che all'indomani della redazione del nuovo rito pubblicarono il seguente documento.
E' ben possibile oggi, senza essere "scismatici", partecipare alla Messa di S. Pio V che, secondo l'autorevole parere di Mons. Bux (dal libro "Come andare a Messa e non perdere la fede", Piemme 2010) ha origine "nel III secolo. A questo secolo risale la Traditio apostolica, un testo che presenta come apostolici tanti usi propri della liturgia romana."
Assistendo a questo magnifico rito, fonte di copiose grazie per lo spirito, si sostiene anche la ripresa della Fede nella Chiesa e la costituzione di comunità veramente fedeli.
E' doveroso al giorno d'oggi, considerata l'apostasia silenziosa nei riti, nella predicazione e nei costumi, di cui parlava Giovanni Paolo II. Molti protestano col parroco per certe derive liturgiche, ma questo sistema si è dimostrato inefficace anche considerando che già nel rito l'assemblea è fortemente protestantizzata e voci minoritarie non hanno alcun effetto.
Solo col rito antico, che tra l'altro preserva la dignità delle donne non facendone le teatranti della nuova liturgia, se sapremo "fare massa" e raggiungere grandi numeri, potremo arginare con l'aiuto di Dio la deriva della Chiesa.
Orari aggiornati delle Messe in Latino in Italia:
http://blog.messainlatino.it/2014/08/elenco-messe-nella-forma-straordinaria.html

Ed ecco lo studio dei due autorevoli Cardinali. Ho aggiunto dei grassetti alle parti più rilevanti anche per la causa antifemminista:

Breve esame critico del «Novus Ordo Missæ»

Presentato al Pontefice Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci

L'opuscolo in formato pdf:

Lettera di presentazione a Paolo VI

Beatissimo Padre,
esaminato e fatto esaminare il Novus Ordo preparato dagli esperti del Consilium ad exquendam Constitutionem de Sacra Liturgia, dopo una lunga riflessione e preghiera sentiamo il dovere, dinanzi a Dio ed alla Santità Vostra, di esprimere le considerazioni seguenti:

1) Come dimostra sufficientemente il pur breve esame critico allegato - opera di uno scelto gruppo di teologi, liturgisti e pastori d'anime - il Novu Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i «canoni» del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l'integrità del magistero.

2) La ragioni pastorali addotte a sostegno di tale gravissima frattura - anche se di fronte alle ragioni dottrinali avessero diritto di sussistere - non appaiono sufficienti. Quanto di nuovo appare nel Novus Ordo Missæ e, per contro, quanto di perenne vi trova soltanto un posto minore o diverso, se pure ancora ve lo trova, potrebbe dar forza di certezza al dubbio - già serpeggiante purtroppo in numerosi ambienti - che verità sempre credute dal popolo cristiano possano mutarsi o tacersi senza infedeltà al sacro deposito dottrinale cui la fede cattolica è vincolata in eterno. Le recenti riforme hanno dimostrato a sufficienza che nuovi mutamenti nella liturgia non porterebbero se non al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di fede. Nella parte migliore del Clero ciò si concreta in una torturante crisi di coscienza di cui abbiamo innumerevoli e quotidiane testimonianze.

3) Siamo certi che questa considerazioni, che possono giungere soltanto dalla viva voce dei pastori e del gregge, non potranno non trovare un'eco nel cuore paterno di Vostra Santità, sempre cosí profondamente sollecito dei bisogni spirituali dei figli della Chiesa. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, piú che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l'abrogazione della legge stessa.

Supplichiamo perciò istantemente la Santità Vostra di non volerci togliere - in un momento di cosí dolorose lacerazioni e di sempre maggiori pericoli per la purezza della Fede e l'unità della Chiesa, che trovano eco quotidiana e dolente nella voce del Padre comune - la possibilità di continuare a ricorrere alla integrità feconda di quel Missale Romanum di San Pio V dalla Santità Vostra cosí altamente lodato e dall'intero mondo cattolico cosí profondamente venerato ed amato.

A. Card. Ottaviani
A. Card. Bacci

BREVE ESAME CRITICO DEL «NOVUS ORDO MISSÆ»


I

Nell'ottobre del 1967, al Sinodo Episcopale, convocato a Roma, fu chiesto un giudizio sulla celebrazione sperimentale di una cosiddetta «messa normativa», ideata dal Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia.
Tale messa suscitò le piú gravi perplessità tra i presenti al Sinodo, con una forte opposizione (43 non placet), moltissime e sostanziali riserve (62 juxta modum) e 4 astensioni, su 187 votanti. La stampa internazionale di informazione parlò di «rifiuto», da parte del Sinodo, della messa proposta. Quella di tendenze innovatrici ne tacque. E un noto periodico, destinato ai Vescovi ed espressione del loro insegnamento, cosí sintetizzò il nuovo rito:

    «[vi] si vuol fare tabula rasa di tutta la teologia della Messa. In sostanza ci si avvicina alla teologia protestante che ha distrutto il sacrificio della Messa».

Nel Novus Ordo Missæ, testé promulgato dalla Costituzione Apostolica Missale romanum, ritroviamo purtroppo, identica nella sua sostanza, la stessa «messa normativa». Né sembra che le Conferenze Episcopali, almeno in quanto tali, siano mai state nel frattempo interpellate al riguardo.

Nella Costituzione Apostolica si afferma che l'antico messale, promulgato da S. Pio V il 19 luglio 1570 ma risalente in gran parte a Gregorio Magno e ad ancor piú remota antichità (1) fu per quattro secoli la norma della celebrazione del Sacrificio per i sacerdoti di rito latino, e, portato in ogni terra, «innumeri præterea sanctissimi viri animorum suorum erga Deum pietatem, haustis ex eo... copiosus aluerunt». E tuttavia questa riforma, che lo pone definitivamente fuori uso, si sarebbe resa necessaria «ex quo tempore latius in christiana plebe increbescere et invalescere cœpit sacræ fovendæ liturgiæ studium».
Ci sembra evidente, in questa affermazione, un grave equivoco. Perché il desiderio del popolo, se fu espresso, lo fu quando - soprattutto per merito del grande S. Pio X - esso cominciò a scoprire gli autentici ed eterni tesori della sua liturgia. Il popolo non chiese assolutamente mai, onde meglio comprenderla, una liturgia mutata o mutilata. Chiese di meglio comprendere una liturgia immutabile e che mai avrebbe voluto si mutasse.

Il Messale Romano di San Pio V era religiosamente venerato e carissimo al cuore dei cattolici, sacerdoti e laici. Non si vede in che cosa l'uso di esso, con l'opportuna catechesi, potesse impedire una piú piena partecipazione e una maggiore conoscenza della sacra liturgia e perché, con tanti eccelsi pregi che gli sono riconosciuti, non lo si sia stimato degno di continuare a nutrire la pietà liturgica del popolo cristiano.

Sostanzialmente rifiutata dal Sinodo Episcopale, quella stessa «messa normativa» oggi si ripresenta e si impone come Novus Ordo Missæ; il quale non è stato mai sottoposto al giudizio collegiale delle Conferenze; né è stata mai voluta dal popolo (e men che meno nelle missioni) una qualsiasi riforma della Santa Messa. Non si riesce dunque a comprendere i motivi della nuova legislazione, che sovverte una tradizione immutata nella Chiesa dal IV-V secolo, come la stessa Costituzione Missale Romanum riconosce. Non sussistendo dunque i motivi per appoggiare questa riforma, la riforma stessa appare priva di un fondamento razionale, che, giustificandola, la renda accettabile al popolo cattolico.

Il Concilio aveva espresso bensí, con il par. 50 della Costituzione Sacrosanctum Concilium, il desiderio che le varie parti della Messa fossero riordinate, «ut singularum partium propria ratio necnon mutua connexio clarius pateant». Vedremo subito come l'Ordo testé promulgato risponda a questi auspici, dei quali possiamo dire non resti, nel risultato, neppure la memoria.
Un esame particolareggiato del Novus Ordo rivela mutamenti di portata tale da giustificare per esso lo stesso giudizio dato per la «messa normativa». Quello, come questa, è tale da contentare, in molti punti, i protestanti piú modernisti.



II

Cominciamo dalla definizione di Messa che si presenta al par. 7, vale a dire in apertura al secondo capitolo del Novus Ordo: «De structura Missæ».

    «Cena dominica sive Missa est sacra synaxis seu congregatio populi Dei in unum convenientis, sacerdote præside, ad memoriale Domini celebrandum(2). Quare de sanctæ ecclesiæ locali congregatione eminenter valet promissio Christi "Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum" (Mt. 18, 20)».

La definizione di Messa è dunque limitata a quella di «cena», il che è poi continuamente ripetuto (n. 8, 48, 55d, 56); tale «cena» è inoltre caratterizzata dalla assemblea, presieduta dal sacerdote, e dal compiersi il memoriale del Signore, ricordando quel che Egli fece il Giovedí Santo.
Tutto ciò non implica: né la Presenza Reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell'assemblea (3). Non implica, in una parola, nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa e che ne costituiscono pertanto la vera definizione. Qui l'omissione volontaria equivale al loro «superamento», quindi, almeno in pratica, alla loro negazione (4).
Nella seconda parte dello stesso paragrafo si afferma - aggravando il già gravissimo equivoco - che vale «eminenter» per questa assemblea la promessa del Cristo: «Ubi sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum» (Mt. 18, 20). Tale promessa, che riguarda soltanto la presenza spirituale del Cristo con la sua grazia, viene posta sullo stesso piano qualitativo, salvo la maggiore intensità, di quello sostanziale e fisico della presenza sacramentale eucaristica.

Segue immediatamente (n. otto) una suddivisione della Messa in liturgia della parola e liturgia eucaristica, con l'affermazione che nella Messa è preparata la mensa della parola di Dio come del Corpo di Cristo, affinché i fedeli «instituantur et reficiantur»: assimilazione paritetica del tutto illegittima delle due parti della liturgia, quasi tra due segni di eguale valore simbolico, sulla quale torneremo piú tardi.

Di denominazioni della Messa ve ne sono innumerevoli: tutte accettabili relativamente, tutte da respingere se usate, come lo sono, separatamente e in assoluto. Ne citiamo alcune: Actio Christi et populi Dei, Cena dominica sive Missa, Convivium Paschale, Communis participatio mensæ Domini, Memoriale Domini, Precatio Eucharistica, Liturgia verbi et liturgia eucharistica, ecc.
Come è fin troppo evidente, l'accento è posto ossessivamente sulla cena e sul memoriale anziché sulla rinnovazione incruenta del Sacrificio del Calvario. Anche la formula «Memoriale Passionis et Resurrectionis Domini»  è inesatta, essendo la Messa il memoriale del solo Sacrificio, che è redentivo in sé stesso, mentre la Resurrezione ne è il frutto conseguente(5). Vedremo piú avanti con quale coerenza, nella stessa formula consacratoria e in generale in tutto il Novus Ordo, tali equivoci siano rinnovati e ribaditi.



III

E veniamo alle finalità della Messa.

1) Finalità ultima.
È il sacrificio di lode alla Santissima Trinità, secondo l'esplicita dichiarazione di Cristo nella intenzione primordiale della sua stessa Incarnazione: «Ingrediens mundum dicit: "Hostiam et oblationem noluisti: corpus autem aptasti mihi"» (Ps. XL, 7-9, in: Hebr. 10, 5).
Questa finalità è scomparsa:

    - dall'Offertorio, con la preghiera Suscipe, Sancta Trinitas,
    - dalla conclusione della Messa con il placeat tibi, Sancta Trinitas,
    - e dal Prefazio, che nel ciclo domenicale non sara piú quello della Santissima Trinità, riservato ora alla sola
        festa e che quindi sarà pronunziato una sola volta l'anno.

2) Finalità ordinaria.
È il Sacrificio propiziatorio. Anch'essa è deviata, perché anziché mettere l'accento sulla remissione dei peccati dei vivi e dei morti lo si mette sulla nutrizione e santificazione dei presenti (n. 54). Certo Cristo istituí il Sacramento nell'ultima Cena e si pose in stato di vittima per unirci al suo stato vittimale; questo però precede la manducazione e ha un antecedente e pieno valore redentivo, applicativo della immolazione cruenta, tanto è vero che il popolo assistendo alla Messa non è tenuto a comunicarsi sacramentalmente (6).

3) Finalità immanente.
Qualunque sia la natura del sacrificio è essenziale che sia gradito a Dio e da lui accettabile ed accettato. Nello stato di peccato originale nessun sacrificio avrebbe diritto di essere accettabile. Il solo sacrificio che ha diritto di essere accettato è quello di Cristo. Nel Novus Ordo si snatura l'offerta in una specie di scambio di doni tra l'uomo e Dio; l'uomo porta il pane e Dio lo cambia in «pane di vita»; l'uomo porta il vino e Dio lo cambia in «bevanda spirituale»: «Benedictus es, Domine, Deus universi, quia de tua largitate accepimus panem (o: vinum) quem tibi offerimus, fructum terræ (o: vitis) et manuum hominum, ex quo nobis fiet panis vitæ (o: potus spiritualis)»  (7).
Superfluo notare l'assoluta indeterminatezza delle due formule «panis vitæ» e «potus spiritualis», che possono significare qualunque cosa. Ritroviamo qui l'identico e capitale equivoco della definizione della Messa: là il Cristo presente solo spiritualmente tra i suoi; qui pane e vino «spiritualmente» (e non sostanzialmente) mutati  (otto).
Nella preparazione dell'offerta, un consimile gioco di equivoci è attuato con la soppressione delle due stupende preghiere. Il «Deus, qui humanæ substantiæ dignitatem mirabiliter condidisti et mirabilius reformasti», era un richiamo all'antica condizione di innocenza dell'uomo e alla sua attuale condizione di riscattato dal sangue di Cristo: ricapitolazione discreta e rapida di tutta l'economia del Sacrificio, da Adamo all'attimo presente. La finale offerta propiziatoria del calice, affinché ascendesse «cum odore suavitatis» al cospetto della maestà divina, di cui si implorava la clemenza, ribadiva mirabilmente questa economia. Sopprimendo il continuo riferimento a Dio della prece eucaristica, non vi è piú distinzione alcuna tra sacrificio divino e umano.

Eliminando la chiave di volta bisogna costruire delle impalcature; sopprimendo le finalità reali se ne devono inventare di fittizie. Ed ecco i gesti che dovrebbero sottolineare l'unione tra sacerdote e fedeli, tra fedeli e fedeli; ecco la sovrapposizione, che immediatamente crollerà nel ridicolo, delle offerte per i poveri e per la chiesa all'offerta dell'Ostia da immolare. L'unicità primordiale di questa verrà del tutto obliterata: la partecipazione all'immolazione della Vittima diverrà una riunione di filantropi e un banchetto di beneficenza.



IV

Passiamo all'essenza del Sacrificio.

Il mistero della Croce non vi è piú espresso esplicitamente, ma in modo oscuro, velato, impercepibile dal popolo (9). Eccone le ragioni:

    1) Il senso dato nel Novus Ordo alla cosiddetta «Prex eucharistica» è: «ut tota congregatio fidelium se cum Christo coniungat in confessione magnalium Dei et in oblatione sacrificii». (n. 54, fine).
    Di quale sacrificio si tratta? Chi è l'offerente? Nessuna risposta a questi interrogativi.
    La definizione in limine della «Prex eucharistica» è questa: «Nunc centrum et culmen totius celebrationis initium habet, ipsa nempe Prex eucharistica, prex scilicet gratiarum actionis et sanctificationis» (n. 54, pr.).
    Gli effetti sono dunque sostituiti alle cause, di cui non si dice una sola parola. La menzione esplicita del fine dell'offerta, che era nel Suscipe, non è sostituita da nulla. Il mutamento di formulazione rivela il mutamento di dottrina.

    2) La causa di questa non-esplicitazione del Sacrificio è, né piú né meno, la soppressione del ruolo centrale della Presenza Reale, cosí lampante prima nella liturgia eucaristica. Ve ne è una sola menzione - unica citazione, in nota, dal Concilio di Trento - ed è quella che si riferisce alla Presenza Reale come nutrimento (n. 241, nota 63). Alla Presenza Reale e permanente di Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nelle Specie transustanziate non si allude mai. La stessa parola transustanziazione è totalmente ignorata.
    La soppressione della invocazione alla terza Persona della SS.ma Trinità (Veni sanctificator), onde scendesse sopra le oblate come già discese nel grembo della Vergine a compiervi il miracolo della Divina Presenza, si inserisce in questo sistema di tacite negazioni, di degradazioni a catena della Presenza Reale.
    L'eliminazione poi:
    - delle genuflessioni (non ne restano che tre del sacerdote e una, con eccezioni, del popolo, alla
         Consacrazione);
    - della purificazione delle dita del sacerdote nel calice;
    - della preservazione delle stesse dita da ogni contatto profano dopo la Consacrazione;
    - della purificazione dei vasi, che può essere non immediata, e non fatta sul corporale;
    - della palla a protezione del calice;
    - della doratura interna dei vasi sacri;
    - della consacrazione dell'altare mobile;
    - della pietra sacra e delle reliquie nell'altare mobile e sulla «mensa», quando la celebrazione non avvenga in
         luogo sacro (la distinzione ci porta diritti alle «cene eucaristiche» in case private);
    - delle tre tovaglie d'altare, ridotte a una sola;
    - del ringraziamento in ginocchio (sostituito da un grottesco ringraziamento di preti e fedeli seduti, in cui la
         Comunione in piedi ha il suo aberrante compimento);
    - di tutte le antiche prescrizioni nel caso di caduta dell'Ostia consacrata, ridotte a un quasi sarcastico
         «reverenter accipiatur» (n. 239);

tutto ciò non fa che ribadire in modo oltraggioso l'implicito ripudio della fede nel dogma della Presenza Reale.

3) La funzione assegnata all'altare (n. 262).
L'altare è quasi costantemente chiamato mensa (10). «Altare, seu mensa dominica, quæ centrum est totius liturgiæ eucharisticæ» n. 49, (cfr. 262). Si specifica che l'altare deve essere staccato dalle pareti perché vi si possa girare intorno e la celebrazione possa farsi verso il popolo (n. 262); si precisa che esso deve essere il centro della congregazione dei fedeli cosí che l'attenzione si volga spontaneamente ad esso (ibid.).
Ma il confronto fra i nn. 262 e 276 sembra escludere nettamente che il SS.mo Sacramento possa essere conservato su questo altare. Ciò segnerà una dicotomia irreparabile tra la presenza, nel celebrante, del Sommo ed Eterno Sacerdote e quella stessa Presenza realizzata sacramentalmente. Prima esse erano un'unica presenza  (11).
Ora si raccomanda di conservare il SS.mo in un luogo appartato, ove possa esplicarsi la devozione privata dei fedeli, quasi si trattasse di una qualsiasi reliquia, sicché entrando in chiesa non sarà piú il Tabernacolo ad attirare immediatamente gli sguardi ma una mensa spoglia e nuda. Si oppone ancora una volta pietà privata a pietà liturgica
, si drizza altare contro altare.
Nella raccomandazione insistente di distribuire nella comunione le Specie Consacrate nella stessa Messa, anzi di consacrare un pane di grandi dimensioni  (12), cosí che il sacerdote possa dividerlo con una parte almeno dei fedeli, è ribadito lo sprezzante atteggiamento verso il Tabernacolo come verso tutta la pietà eucaristica fuori della Messa: altro strappo violento alla fede nella Presenza Reale sinché durino le Specie consacrate (13).

4) Le formule consacratorie.
L'antica formula della Consacrazione era una formula propriamente sacramentale, e non narrativa, indicata soprattutto da tre cose:

    a) il testo della Scrittura, non ripreso alla lettera; l'inserto paolino «mysterium fidei» era una confessione immediata di fede del sacerdote nel mistero realizzato dalla Chiesa per mezzo del suo sacerdozio gerarchico;
    b) la punteggiatura e il carattere tipografico; vale a dire il punto fermo e daccapo, che segnava il passaggio dal modo narrativo al modo sacramentale e affermativo, e le parole sacramentali in carattere piú grande, al centro della pagina e spesso di diverso colore, nettamente staccate dal contesto storico. Il tutto dava sapientemente alla formula un valore proprio, un valore autonomo;
    c) l'anamnesi («Haec quotiescumque feceritis in mei memoriam facietis», che in greco suona: «eis ten emou anamnesin» - «volti alla mia memoria»). Essa si riferiva al Cristo operante e non alla semplice memoria di lui o dell'evento: un invito a ricordare ciò che Egli fece («hæc... in mei memoriam facietis») e come Egli lo fece, e non soltanto la sua persona o la cena.
    La formula paolina oggi sostituita all'antica («Hoc facite in meam commemorationem») - proclamata come sarà quotidianamente nelle lingue volgari - sposterà irrimediabilmente, nella mente degli ascoltatori, l'accento sulla memoria del Cristo come termine dell'azione eucaristica, mentre essa ne è il principio. L'idea finale di commemorazione prenderà ben presto il posto dell'idea di azione sacramentale (14).
    Il modo narrativo è ora sottolineato dalla formula: «narratio institutionis» (n. 55d), e ribadito dalla definizione della anamnesi, dove si dice che «Ecclesia memoriam ipsius Christi agit» (n. 55c).

In breve: la teoria proposta per l'epiclesi, la modificazione delle parole della Consacrazione e dell'anamnesi, hanno come effetto di modificare il modus significandi delle parole della Consacrazione. Le formule consacratorie sono ora pronunciate dal sacerdote come costituenti una narrazione storica e non piú enunciate come esprimenti un giudizio categorico e affermativo proferito da Colui nella cui persona egli agisce: «Hoc est Corpus meum» (e non: «Hoc est Corpus Christi») (15).

L'acclamazione, poi, assegnata al popolo subito dopo la Consacrazione: («Mortem tuam annuntiamus, Domine, etc.... donec venias») introduce, travestita di escatologismo, l'ennesima ambiguità sulla Presenza Reale. Si proclama, senza soluzione di continuità, l'attesa della venuta seconda del Cristo alla fine dei tempi proprio nel momento in cui Egli è sostanzialmente presente sull'altare: quasi che quella, e non questa, fosse la vera venuta.
Ciò è ancor piú accentuato nella formula di acclamazione facoltativa n. 2 (Appendix): «Quotiescumque manducamus panem hunc, et calicem bibimus, mortem tuam annuntiamus, Domine, donec venias»; dove le diverse realtà di immolazione e manducazione, e quelle di Presenza Reale e secondo avvento del Cristo, raggiungono il massimo di ambiguità (16).



V

Veniamo ora alla realizzazione del Sacrificio.
I quattro elementi di esso erano, nell'ordine:

    1) il Cristo.
    2) il sacerdote;
    3) la Chiesa;
    4) i fedeli.

    1) Nel Novus Ordo, la posizione attribuita ai fedeli è autonoma (ab-soluta), quindi totalmente falsa: dalla definizione iniziale: «Missa est sacra synaxis seu congregatio populi», al saluto del sacerdote al popolo, che esprimerebbe alla comunità riunita la «presenza» del Signore (n. 28): «Qua salutatione et populi responsione manifestatur ecclesiæ congregatæ mysterium».

        Dunque vera presenza di Cristo, ma solo spirituale, e mistero della Chiesa, ma come pura assemblea che manifesta e sollecita tale presenza.

    Ciò si ripete ovunque:

        - il carattere comunitario della Messa ossessivamente ribadito (nn. 74-152);
        - l'inaudita distinzione tra «Missa cum populo» e «Missa sine populo» (nn. 203-231);
        - la definizione della «oratio universalis seu fidelium» (n. 45), ove si sottolinea ancora una volta
               l'«ufficio sacerdotale» del popolo («populus sui sacerdotii munus exercens») presentato in
               modo equivoco perché ne viene taciuta la subordinazione a quello del sacerdote; tanto piú che questi si fa
               interprete, nella sua qualità di mediatore consacrato, di tutte le intenzioni del popolo
nel Te igitur e nei
               due Memento.
        Nella «Prex eucharistica III» («Vere sanctus», p. 123) è addirittura detto al Signore: «populum tibi congregare non desinis, ut a solis ortu usque ad occasum oblatio munda offeratur nomini tuo»: ove l'affinché fa pensare che l'elemento indispensabile alla celebrazione sia il popolo anziché il sacerdote; e poiché non è precisato neppure qui chi sia l'offerente (17) il popolo stesso appare investito di poteri sacerdotali autonomi.

    Di questo passo non stupirebbe l'autorizzazione al popolo, tra qualche tempo, di congiungersi al sacerdote nella pronuncia delle formule consacratorie (ciò che del resto sembra già accada, qua e là) [visto coi miei occhi, N. d. R.].

    2) La posizione del sacerdote è minimizzata, alterata, falsata.
    Prima in funzione del popolo di cui egli è caratterizzato per lo piú come mero presidente o fratello anziché come ministro consacrato che celebra in persona Christi.
    Poi in funzione della Chiesa come un «quidam de populo». Nella definizione della epiclesi (n. 55c) le invocazioni sono attribuite anonimamente alla Chiesa: il ruolo del sacerdote è dissolto.
    Nel Confiteor divenuto collettivo egli non è piú giudice, testimone e intercessore presso Dio; è logico dunque che non gli sia piú dato di impartire l'assoluzione, che è stata infatti soppressa. Egli è «integrato» ai fratres. Persino il chierichetto lo chiama cosí nel Confiteor della «Missa sine populo».
    Già prima di quest'ultima riforma era stata soppressa la significativa distinzione tra la Comunione del sacerdote - il momento in cui, per cosí dire, il Sommo ed Eterno Sacerdote e colui che agiva in sua persona si fondevano in intimissima unione (nella quale era il compimento del Sacrificio) - e quella dei fedeli.
    Non piú una parola ormai sul suo potere di sacrificatore, sul suo atto consacratorio, sulla realizzazione per suo mezzo della Presenza eucaristica. Egli appare nulla piú che un ministro protestante.
    La sparizione o l'uso facoltativo di molti paramenti (in certi casi alba e stola bastano - n. 298) vanificano ancor piú l'originale conformazione al Cristo: il sacerdote non è piú rivestito di tutte le virtú di Lui; egli è un semplice «graduato» che uno o due segni distinguono appena dalla massa (18): («un po' piú uomo degli altri» per citare la formula involontariamente umoristica
di un moderno predicatore[19]).
    Di nuovo, come nella opposizione degli altari, si separa ciò che Dio ha unito: l'unico Sacerdozio del Verbo di Dio.

    3) Infine la posizione della Chiesa di fronte al Cristo.
    In un solo caso, quello della «Missa sine populo» ci si degna di ammettere che la Messa è «Actio Christi et Ecclesiæ» (n. 4, cfr. Presb. Ord. n. 13), mentre nel caso della «Missa cum populo» non si accenna che allo scopo di «far memoria di Cristo» e santificare i presenti. «Presbyter celebrans... populum... sibi sociat in offerendo sacrificio per Christum in Spiritu Sancto Deo Patri» (n. 60), anziché associare il popolo a Cristo che offre sé stesso «per Spiritum Sanctum Deo Patri».
    S'inseriscono in questo contesto:
    - la gravissima omissione delle clausole «Per Christum Dominum nostrum», garanzia di esaudimento data alla Chiesa di
         tutti i tempi (Io. 14, 13-14,. 15, 16; 16, 23-24);
    - l'ossessivo «paschalismo»: quasi che la comunicazione della grazia non presentasse altri aspetti altrettanto importanti;
    - l'escatologismo dubbio e maniaco, in cui la comunicazione di una realtà, la grazia, che è permanente ed eterna, è ricondotta alla dimensione del tempo: popolo in marcia, chiesa peregrinante - non piú militante, si badi, contro la Potestas tenebrarum - verso un futuro che non è piú vincolato all'eterno (quindi anche all'eterno presente) ma a un vero e proprio          avvenire temporale.

    La Chiesa - Una, Santa, Cattolica, Apostolica - è umiliata come tale nella formula che, nella «Prex eucharistica IV», ha sostituito la preghiera del Canone romano «pro omnibus orthodoxis atque catholicæ et apostolicæ fidei cultoribus». Ora essi sono, né piú né meno: «omnium qui te quærunt corde sincero».
    Cosí, nel Memento dei morti, questi non sono piú trapassati «cum signo fidei et dormiunt in somno pacis» ma semplicemente «obierunt in pace Christi tui»; ad essi si aggiunge, con nuovo e patente scapito del concetto di unitarietà e visibilità, la turba di «omnium defunctorum quorum fidem tu solus cognovisti».
   In nessuna delle tre nuove preci, poi, vi è il minimo cenno, come già si è detto, allo stato di sofferenza dei trapassati, in nessuna la possibilità di un Memento particolare: il che, ancora una volta, snerva la fede nella natura propiziatoria e redentiva del Sacrificio (20).


Omissioni dissacranti avviliscono ovunque il Mistero della Chiesa.
- Esso è misconosciuto innanzi tutto come gerarchia sacra: Angeli e Santi sono ridotti all'anonimato nella seconda parte del Confiteor collettivo: sono scomparsi come testimoni e giudici, nella persona di Michele, dalla prima (21).
- Scomparse anche le varie Gerarchie Angeliche (e ciò è senza precedenti) dal nuovo Prefazio della «Prex II».
- Soppressa nel Communicantes la memoria dei Pontefici e dei Santi Martiri su cui la Chiesa di Roma è fondata, che furono
   senza dubbio i trasmettitori delle tradizioni apostoliche e le completarono in ciò che divenne, con S. Gregorio, la Messa
   romana.
- Soppressa, nel Libera nos, la menzione della B. Vergine, degli Apostoli e di tutti i Santi: la sua e loro intercessione non è
   quindi piú chiesta neppure nel momento del pericolo
.
- L'unità della Chiesa è compromessa fino all'intollerabile omissione, nell'intero Ordo, comprese le tre nuove «Preces» (e
   con la sola eccezione del Communicantes del Canone romano), dei nomi degli Apostoli Pietro e Paolo, fondatori della
   Chiesa di Roma, nonché dei nomi degli altri Apostoli, fondamento e segno della Chiesa unica e universale.
- Chiaro attentato al dogma della Comunione dei Santi: la soppressione, quando il sacerdote celebri senza inserviente, di tutte
   le salutationes e della benedizione finale; dell'Ite Missa est (22), poi, persino nella messa celebrata con l'inserviente.
- Il doppio Confiteor mostrava come il prete, in veste di ministro di Cristo e in profonda inclinazione, riconoscendosi
   indegno dell'alta missione, del «tremendum mysterium» che andava a celebrare, e addirittura (nell'Aufer a nobis) di
   entrare nel Santo dei Santi, invocava ad intercessione (nell'Oramus te, Domine) i meriti dei martiri di cui l'altare
   racchiudeva le reliquie. Entrambe le preghiere sono state soppresse. Vale qui ciò che già è stato detto per il doppio
  Confiteor e la doppia Comunione.
- Sono profanate le condizioni del Sacrificio come segno di una cosa sacra: vedi ad esempio la celebrazione fuori del luogo
   sacro nel qual caso l'altare può essere sostituito da una semplice «mensa»
senza pietra consacrata né reliquie, con una sola
   tovaglia (nn. 260, 265). Anche qui vale quanto già detto a proposito della Presenza Reale: dissociazione del «convivium» e
   sacrificio della cena, dalla stessa Presenza Reale.

La desacralizzazione è perfezionata grazie alle nuove, grottesche modalità dell'offerta;
- l'accenno al pane anziché all'azimo;
- la facoltà, data persino ai chierichetti (nonché ai laici nella comunione sub utraque specie) di toccare i vasi sacri (n. 244d);
- la inverosimile atmosfera che si creerà nella chiesa ove si alterneranno senza tregua sacerdote, diacono, suddiacono, salmista, commentatore (il sacerdote stesso par divenuto tale, continuamente incoraggiato com'è a «spiegare» ciò che sta per compiere), lettori uomini e donne) chierici o laici che accolgono i fedeli alla porta e li accompagnano ai loro posti, fanno la colletta, portano e smistano offerte;
- e, in tanto delirio scritturistico, la presenza antiveterotestamentaria, antipaolina della «mulier idonea» che, per la prima volta nella tradizione della Chiesa, sarà autorizzata a leggere le lezioni e adempiere anche ad altri «ministeria quae extra presbyterium peraguntur» (n. 70).
- Infine la mania concelebratoria, che finirà di distruggere la pietà eucaristica del sacerdote e di obnubilare la figura centrale del Cristo, unico Sacerdote e Vittima, e dissolverla nella presenza collettiva dei concelebranti (23).




VI

Ci siamo limitati ad un sommario esame del Novus Ordo, nelle sue deviazioni piú gravi dalla teologia della Messa cattolica. Le osservazioni fatte sono soltanto quelle che hanno un carattere tipico. Una valutazione completa delle insidie, dei pericoli, degli elementi spiritualmente e psicologicamente distruttivi che il documento contiene, sia nei testi come nelle rubriche e nelle istruzioni, richiederebbe ben altra mole di lavoro.

Poiché furono criticati ripetutamente e autorevolmente nella loro forma e sostanza, abbiamo sorvolato sui nuovi canoni, di cui il secondo(24) ha immediatamente scandalizzato i fedeli per la sua brevità. Di esso si è potuto scrivere, tra molte altre cose, che può essere celebrato in piena tranquillità di coscienza da un prete che non creda piú né alla transustanziazione né alla natura sacrificale della Messa, e che quindi si presterebbe benissimo anche alla celebrazione da parte di un ministro protestante.

Il nuovo Messale fu presentato a Roma come «ampio materiale pastorale», «testo piú pastorale che giuridico» su cui le Conferenze Episcopali avrebbero potuto operare secondo le circostanze e il genio dei vari popoli. Del resto, la I sezione della nuova Congregazione per il Culto Divino sarà responsabile «dell'edizione e della costante revisione dei libri liturgici».
Scrive l'ultimo bollettino ufficiale degli Istituti Liturgici di Germania, Svizzera, Austria (25):

    «i testi latini dovranno ora esser tradotti nelle lingue dei vari popoli; lo stile "romano" dovrà essere adattato all'individualità delle Chiese locali; ciò che fu concepito al di fuori del tempo deve essere trasposto nel mutevole contesto di situazioni concrete, nel flusso costante della Chiesa universale e delle sue miriadi di congregazioni».


La Costituzione Apostolica stessa dà il colpo di grazia alla lingua universale (in contrasto con la volontà espressa nel Concilio Vaticano II) affermando senza equivoci che «in tot varietate linguarum una (?) eademque cunctorum precatio... quovis ture fragrantior ascendat».
La morte del latino è data dunque per scontata; quella del gregoriano, che pure il Concilio riconobbe «liturgiæ romanæ proprium» (Sacros. Conc. n. 116), ordinando che «principem locum obtineat» (ibid.), ne consegue logicamente, con la libera scelta, tra l'altro, dei testi dell'Introito e del Graduale.

Il nuovo rito è dato quindi in partenza come pluralistico e sperimentale, legato al tempo e al luogo.
Spezzata cosí per sempre l'unità di culto, in che cosa consisterà ormai quell'unità di fede che ne conseguiva e di cui sempre si parla come della sostanza da difendere senza compromissioni?
È evidente che il Novus Ordo non vuole piú rappresentare la fede di Trento.
A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno.
Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo, in una tragica necessità di opzione.




VII

La Costituzione accenna esplicitamente a una ricchezza di pietà e di dottrina mutuata nel Novus Ordo dalle Chiese di Oriente. Il risultato appare tale da respingere inorridito il fedele di rito orientale, tanto lo spirito ne è, piú che remoto, addirittura opposto.
A che si riducono queste scelte ecumeniche?
In sostanza
- alla molteplicità delle anafore (non certo alla loro bellezza e complessità),
- alla presenza del diacono e alla comunione sub utraque specie.
Per contro, pare si sia voluto eliminare deliberatamente tutto quanto, nella liturgia romana, era piú prossimo all'orientale(26) e, rinnegando l'inconfondibile ed immemorabile carattere romano, abdicare a ciò che piú gli era proprio e spiritualmente prezioso. Lo si è sostituito con elementi che soltanto a certi riti riformati (e nemmeno a quelli piú prossimi al cattolicesimo) lo avvicinano degradandolo, mentre vieppiú ne allontaneranno l'Oriente, come l'hanno già allontanato le ultime riforme.
In compenso, esso piacerà sommamente a tutti quei gruppi, vicini alla apostasia, che devastano la Chiesa inquinandone l'organismo, intaccandone l'unità dottrinale, liturgica, morale e disciplinare in una crisi spirituale senza precedenti.



VIII

S. Pio V curò l'edizione del Missale romanum affinché (come la stessa Costituzione ricorda) fosse strumento di unità tra i cattolici. In conformità alle prescrizioni del Concilio Tridentino esso doveva escludere ogni pericolo, nel culto, di errori contro la fede, insidiata allora dalla Riforma protestante.
Cosí gravi erano i motivi del Santo Pontefice che mai come in questo caso appare giustificata, quasi profetica, la sacra formula che chiude la Bolla di promulgazione del suo Messale:

    «Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem Omnipotenti Dei ac beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum» (Quo primum, 19 luglio 1570)(27).


Si è avuto l'ardire di affermare, presentando ufficialmente il Novus Ordo alla Sala Stampa del Vaticano, che le ragioni del Tridentino non sussistono piú. Non solo esse sussistono ancora, ma ne esistono oggi, non esitiamo a dirlo, di infinitamente piú gravi. Proprio facendo fronte alle insidie che minacciavano di secolo in secolo la purezza del deposito ricevuto («depositum custodi, devitans profanas vocum novitates», I Tim. 6, 20), la Chiesa dovette erigergli intorno le difese ispirate delle sue definizioni dogmatiche e dei suoi pronunciamenti dottrinali. Essi ebbero ripercussione immediata nel culto, che divenne il monumento piú completo della sua fede.
Volere ad ogni costo riportare questo culto all'antico, rifacendo freddamente, in vitro, quel che in antico ebbe la grazia della spontaneità primigenia, secondo quell'«insano archeologismo» cosí tempestivamente e lucidamente condannato da Pio XII (28), significa - come purtroppo si è visto - smantellarlo di tutte le sue difese teologiche oltre che di tutte le bellezze accumulate nei secoli(29), e proprio in uno dei momenti piú critici, forse il piú critico che la storia della Chiesa ricordi.

Oggi, non piú all'esterno, ma all'interno stesso della cattolicità l'esistenza di divisioni e scismi è ufficialmente riconosciuta(30); l'unità della Chiesa è non piú soltanto minacciata ma già tragicamente compromessa(31) e gli errori contro la fede s'impongono, piú che insinuarsi, attraverso abusi ed aberrazioni liturgiche ugualmente riconosciute(32).
L'abbandono di una tradizione liturgica che fu per quattro secoli segno e pegno di unità di culto (per sostituirla con un'altra, che non potrà non essere segno di divisione per le licenze innumerevoli che implicitamente autorizza, e che pullula essa stessa di insinuazioni o di errori palesi contro la purezza della fede cattolica) appare, volendo definirlo nel modo piú mite, un incalcolabile errore.

Corpus Domini 1969



(1) - «Le preghiere del nostro Canone si trovano nel trattato De Sacramentis (fine del IV-V secolo) ... La nostra Messa
          risale, senza mutamento essenziale, all'epoca in cui si sviluppava per la prima volta dalla piú antica liturgia comune.
          Essa serba ancora il profumo di quella liturgia primitiva, nei giorni in cui Cesare governava il mondo e sperava di poter
          spegnere la fede cristiana; i giorni in cui i nostri padri si riunivano avanti l'aurora per cantare un inno a Cristo come a
          loro Dio [cfr. Pl. jr., Ep. 96] ... . Non vi è, in tutta la cristianità, rito altrettanto venerabile quanto la Messa romana»
          (A. Fortescue).
          «Il Canone romano risale, tale e quale è oggi, a San Gregorio Magno. Non vi è, in Oriente come in Occidente, nessuna
          preghiera eucaristica che, rimasta in uso fino ai nostri giorni, possa vantare una tale antichità! Agli occhi non solo degli
          ortodossi, ma degli anglicani e persino dei protestanti che hanno ancora in qualche misura il senso della tradizione,
          gettarlo a mare equivarrebbe, da parte della Chiesa Romana, a rinnegare ogni pretesa di rappresentare mai piú la vera
          Chiesa Cattolica » (P. Louis Bouyer).
(SU!)
(2) - In nota, per una tale definizione, si rimanda a due testi del Concilio Vaticano II. Ma a leggere quei due testi non si
        trova nulla che giustifichi tale definizione.
        Il primo testo (decreto Presbyterorum Ordinis, n. 5) suona cosí: « ...I presbiteri sono consacrati a Dio mediante il
        ministero del vescovo, in modo che... nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di Colui che ininterrottamente
        esercita la funzione sacerdotale in favore nostro nella Liturgia... E soprattutto con la celebrazione della Messa offrono
        sacramentalmente il Sacrificio di Cristo».
        Ed ecco l'altro testo cui si rimanda (Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 33): «Nella Liturgia Dio parla al suo
        popolo. Cristo annunzia ancora il suo Vangelo. Il popolo a sua volta risponde a Dio con i canti e con la preghiera. Anzi,
        le  preghiere rivolte a Dio dal sacerdote che presiede l'assemblea nella persona di Cristo vengono dette a nome di tutto il
        popolo santo e di tutti gli astanti».
        Non si spiega come da tali testi si sia potuto trarre la suddetta definizione.
        Notiamo poi l'alterazione radicale, in questa definizione della Messa, di quella del Vaticano II (Presbyterorum Ordinis,
        1254): «Est ergo Eucharistica Synaxis centrum congregationis fidelium...». Fatto sparire fraudolentemente
        il centrum, nel Novus Ordo la congregatio stessa ne ha usurpato il posto.
(SU!)
(3) - Cosí il Tridentino sancisce la Presenza Reale: «Principio docet Sancta Synodus et aperte et simpliciter
      profitetur in almo Sanctæ Eucharestiæ sacramento post panis et vini consacrationem Dominum
      nostrum Iesum Christum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter [can. 1] sub
      specie illarum rerum sensibilium contineri». (DB, 874). Nella Sessione XXII, che ci interessa qui direttamente
        (De sanctissimo Missæ Sacrificio), la dottrina sancita (DB, nn. 937a fino a 956) e chiaramente sintetizzata in nove
        canoni:

    1. La Messa è vero, visibile sacrificio - non simbolica rappresentazione - «quo cruentum illud semel in cruce peragendum repræsentaretur atque illius salutaris virtus in remissionem eorum, quæ a nobis quotidie committuntur peccatorum applicaretur» (DB, 938).
    2. Gesú Cristo Nostro Signore «sacerdotem secundum ordinem Mechisedech se in æternum [Ps. 109, 4] constitutum declarans, corpus et sanguinem suum sub specibus panis et vini Deo Patri obtulit ac sub earundem rerum symbolis Apostolis (quos tunc Novi Testamenti sacerdotes constituebat), ut sumerent, tradidit, et eisdem eorumque in sacerdotio successoribus, ut offerent, præcepit per hæc verba: "Hoc facite in meam commemorationem" [Lc. 22, 19; I Cor. 11, 24] uti semper catholica Ecclesia intellexit et docuit». (DB, ibid.).
    Il celebrante, l'offerente, il sacrificatore è il sacerdote, a ciò consacrato, non il popolo di Dio, l'assemblea. «Si quis dixerit, illis verbis: "Hoc facite" etc. Christum non instituisse Apostolos sacerdotes, aut non ordinasse, ut ipsi aliique sacerdotes offerent corpus et sanguinem suum: anathema sit» (Can. 2; DB, 949).
    3. Il Sacrificio della Messa è un vero sacrificio propiziatorio e NON una «nuda commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce». «Si quis dixerit; Missæ sacrificium tantum esse laudis et gratiarum actiones aut nudam commemorationem sacrificii in cruce peracti, non autem propitiatorium; vel soli prodesse sumenti, neque pro vivis et defunctis, pro peccatis, pœnis, satisfactionibus et aliis necessitatibus offeri debere, a.s.» (Can. 3; DB, 950).
    Si ricorda inoltre il can. 6: «Si quis dixerit Canon Missæ errores continere ideoque abrogandum esse, a.s.»; (DB, 953) e il canone otto: «Si quis dixerit Missæ, in quibus solus sacerdos sacramentaliter communicat, illicitas esse, ideoque abrogandas, a.s.» (DB, 955).
    (SU!)

(4) - Ora è superfluo asserire che, se venisse negato un solo dogma definito, crollerebbero ipso facto tutti i dogmi, in quanto
         crollerebbe il principio stesso della infallibilità del supremo solenne Magistero Gerarchico, papale o conciliare che sia.
(SU!)
(5) - Si dovrebbe aggiungere anche l'Ascensione ove si volesse riprendere l'Unde et memores, che d'altronde non
        accomuna ma nettamente e finemente distingue: ...«tam beatæ Passioni, nec non ab inferis Resurrectionis,
      sed et in cœlum gloriosæ Ascensionis».
(SU!)
(6) - Tale spostamento di accento è riscontrabile anche nella sorprendente eliminazione, nei tre nuovi canoni, del Memento
        dei morti e della menzione della sofferenza delle anime purganti, alle quali il Sacrificio satisfattorio era applicato.
(SU!)
(7) - Cfr. Mysterium Fidei, ove Paolo VI condanna sia gli errori del simbolismo che le nuove teorie della «transignificazione»
        e «transfinalizzazione». «...aut ratione signi... ita instare quasi symbolismus, qui nullo diffitente
      sanctissimæ Eucharistiæ certissime inest, totam exprimat et exhauriat rationem presentiæ Christi in
      hoc Sacramento... aut de transubstantiationis mysterio disserere quin de mirabili conversione totius
      substantiæ panis in corpus et totius substantiæ vini in sanguinem Christi, de qua lonquitur
      Concilium Tridentinum, mentio fiat, ita ut in sola "transignificatione" et "transfinalizatione", ut
      aiunt, consistant» (A.A.S. LVII, 1965, p. 755).
(SU!)
(Otto) - L'introduzione di nuove formule, o di espressioni che, pur ricorrendo nei testi dei Padri e dei Concili e nei documenti del
        Magistero, vengono usate in senso univoco, non subordinato alla dottrina sostanziale con cui formano una inscindibile
        unità (p. es. «spiritualis alimonia», «cibus spiritualis», «potus spiritualis», ecc.) è ampiamente denunciata e
        condannata nella Mysterium Fidei. Paolo VI premette che: «servata Fidei integritate, aptus quoque modus
      loquendi servetur oportet, ne indisciplinatis verbis utentibus nobis falsæ, quod absit, de Fide
      altissimarum rerum suboriantur opiniones»; cita Sant'Agostino: «Nobis tamen ad certam regulam loqui
      fas est, ne verborum licentia etiam de rebus, quæ significantur impiam gignant opinionem» (De Civ.
        Dei, X, 23. PL, 41, 300); continua: «Regula ergo loquendi, quem Ecclesia longo sæculorum labore non
      sine Spiritus Sancti munimine induxit et Conciliorum auctoritate firmavit, quæque non semel tessera
      et vexillum Fidei orthodoxæ facta est, sancte servetur, neque eam quisquam pro lubitu vel prætextu
      novæ scientiæ immutare præsumat... Eodem modo ferendus non est quisquis formulis, quibus
      Concilium Tridentinum Mysterium Eucharisticum ad credendum proposuit, suo marte derogare velit»
        (A. A. S. LVII, 1965, p. 758).
(SU!)
(9) - In netta contraddizione con quanto prescrive (Sacros. Conc., n. 48) il Vaticano II.
(SU!)
(10) - Una volta (n. 259) è riconosciuta la sua funzione primaria: «Altare, in quo sacrificium crucis sub signis
        sacramentalibus præsens efficitur». Non sembra molto per eliminare gli equivoci dell'altra costante
          denominazione.
(SU!)
(11) - «Separare il Tabernacolo dall'altare equivale a separare due cose che in forza della loro natura debbono restare unite»
          (Pio XII, Allocuzione al Congresso Internazionale di Liturgia, Assisi - Roma 18-23 settembre 1956). Cfr. anche
          Mediator Dei, I, 5.
(SU!)
(12) - Raramente è usata, nel Novus Ordo, la parola «hostia», tradizionale nei libri liturgici con il suo preciso significato di
          «vittima». Ciò rientra nel sistema inteso a mettere in evidenza esclusivamente gli aspetti di «cena» e di «cibo».
(SU!)
(13) - Per il consueto fenomeno di sostituzione e di scambio di una cosa per l'altra, la Presenza Reale viene equiparata alla
          presenza nella parola (n. 7, 54). Ma questa è in verità di tutt'altra natura perché non ha realtà che in usu, mentre quella
          è, in modo stabile, obbiettivamente, indipendentemente dalla comunicazione che se ne fa nel Sacramento.
          Tipicamente protestanti le formule: «Deus populum suum alloquitur... Christus per verbum suum in
        medio fidelium præsens adest» (n. 33, , cfr. Sacros. Conc., nn. 33 e 7), cosa che, strettamente parlando, non
          ha senso perché la presenza di Dio nella parola è mediata, legata a un atto dello spirito, alla condizione spirituale
          dell'individuo e limitata nel tempo.
          L'errore non è senza la piú tragica conseguenza: l'affermazione, o l'insinuazione, che la Presenza Reale sia legata
          all'usus e finisca insieme con esso.
(SU!)
(14) - L'azione sacramentale della istituzione è puntualizzata come avvenuta nel dare Gesú agli Apostoli «a mangiare» il suo
          Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino, e non nella azione della consacrazione e nella mistica separazione in
          essa compiuta del Corpo e del Sangue, essenza del Sacrificio eucaristico (cfr. l'intero capitolo I della Parte II - «Il Culto
          Eucaristico» - della Mediator Dei).
(SU!)
(15) - Le parole della Consacrazione, quali sono inserite nel contesto del Novus Ordo, possono essere valide in virtú
          dell'intenzione del ministro. Possono non esserlo perché non lo sono piú ex vi verborum o piú precisamente in virtú
          del modus significandi che avevano finora nella Messa. I sacerdoti, che, in un prossimo avvenire, non avranno
          ricevuto la formazione tradizionale e che si affideranno al Novus Ordo al fine di «fare ciò che fa la Chiesa»
          consacreranno validamente? È lecito dubitarne.
(SU!)
(16) - Non si dica, secondo il noto procedimento della critica protestante, che queste espressioni appartengono a quello stesso
          contesto scritturistico. La Chiesa ne ha sempre evitato la giustapposizione e sovrapposizione per rimuovere appunto la
          confusione delle diverse realtà che detti testi esprimono.
(SU!)
(17) - Di contro a luterani e calvinisti che affermavano come tutti i cristiani siano sacerdoti e perciò offerenti della cena v. A.
          Tanquerey: Synopsis theologiæ dogmaticæ, t. III, Desclee 1930: «Omnes et soli sacerdotes sunt, proprie
        loquendo, ministri secundarii sacrificii missæ. Christus est quidem principalis minister. Fideles
        mediate, non autem sensu stricto, per sacerdotes offerunt ». (Cfr. Cons. Trid. Sess. XXII, Can. 2).
(SU!)
(18) - Notiamo una innovazione impensabile e che sarà psicologicamente disastrosa: il Venerdí Santo in paramenti rossi
          anziché neri (n. 308b): la commemorazione cioè di un qualsiasi martire anziché il lutto della Chiesa tutta per il suo
          Fondatore. Cfr. Mediator Dei, I, 5 (v. p. 36, nota 28).
(SU!)
(19) - P. Roquet, O.P., alle Domenicane di Betania a Plesschenet.
(SU!)
(20) - In alcune traduzioni del Canone romano, il «locus refrigerii, lucis et pacis» veniva reso come un semplice stato
          («beatitudine, luce, pace»). Che dire, ora, della sparizione di ogni esplicito accenno alla Chiesa purgante?
(SU!)
(21) - In tanta febbre di decurtazione, un solo arricchimento: l'omissione, menzionata nell'accusa dei peccati al Confiteor...
(SU!)
(22) - Alla conferenza stampa in cui fu presentato l'Ordo, il P. Lecuyer, in una professione di pura fede razionalistica, parlò
          di convertire in «Dominus tecum», «Ora, frater», etc. le salutationes nella «Missa sine populo», «...perché
          non vi sia nulla che non corrisponda a verità ».
(SU!)
(23) - A questo proposito noteremo marginalmente che appare lecito, ai sacerdoti che siano costretti a celebrare da soli prima o
          dopo la concelebrazione, di comunicarsi di nuovo sub utraque specie durante questa.
(SU!)
(24) - Che si è voluto presentare come «canone di Ippolito» mentre di quel canone serba appena qualche reminiscenza
          verbale.
(SU!)
(25) - Gottesdienst, n. 9, 14 maggio 1969.
(SU!)
(26) - Si pensi, per ricordare solo la bizantina, alle preghiere penitenziali, lunghissime, istanti, ripetute; ai solenni riti di
          vestizione del celebrante e del diacono; alla preparazione, che è già un rito completo in sé stessa, delle offerte alla
    proscomidia; alla presenza costante, nelle orazioni e persino nelle offerte, della Beata Vergine, dei Santi e delle
          Gerarchie Angeliche (che, nell'Entrata col Vangelo sono addirittura evocate come invisibilmente concelebranti e con le
          quali si identifica il coro nel Cherubicon); alla iconostasi che nettamente separa santuario da tempio, clero da popolo;
          alla consacrazione celata, evidente simbolo dell'Inconoscibile a cui l'intera Liturgia allude; alla posizione del celebrante
       versus ad Deum e mai versus ad populum; alla comunione amministrata sempre e solo dal celebrante; ai continui e
          profondi segni di adorazione di cui sono fatte segno le Specie; all'atteggiamento essenzialmente contemplativo del
          popolo.
          Il fatto che tali liturgie, anche nelle forme meno solenni, durino piú di un'ora, e le costanti definizioni che vi si trovano
          («tremenda e inenarrabile liturgia», «tremendi, celesti, vivificanti misteri », ecc.) bastino a dir tutto.
          Notiamo infine, sia nella Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo che in quella di San Basilio, come il concetto di
          «cena» o di «banchetto» appaia chiaramente subordinato a quello di sacrificio, cosí come lo era nella Messa romana.
(SU!)
(27) - Nella Sessione XIII (decreto sulla SS.ma Eucarestia), il Concilio di Trento manifesta la sua intenzione «ut stirpitus
        convelleret zizania execrabilium errorum et schismatum, quæ inimicus homo... in doctrina fidei
        usu et cultu Sacrosanctæ Eucharestiæ superseminavit (Mt. 13, 25 ss.)... quam alioqui Salvator
        noster in Ecclesia sua tamquam symbolum reliquit eius unitatis et caritatis, qua Christianos omnes
        inter se coniunctos et copulatos, esse voluit» (DB, 873).
(SU!)
(28) - «Ad sacræ liturgiæ fontes mente animoque redire sapiens perfecto ac laudabilissima res est, cum
        disciplinæ huius studium, ad eius origines remigrans, haud parum conferat ad festorum dierum
        significationem et ad formularum, quæ usurpantur, sacrarumque cæremoniarum sententiam altius
        dividentiusque pervestigandam: non sapiens tamen, non laudabile est omnia ad antiquitatem quovis
        modo reducere. Itaque, ut exemplis utamur, is ex recto aberret itinere, qui priscam altari velit
        mensæ formam restituere; qui liturgicas vestes velit nigro semper carere colore; qui sacras
        imagines ac statuas e templis prohibeat; qui divini Redemptoris in Crucem acti effigies ita
        conformari iubeat, ut corpus eius acerrimos non referat, quos passus est, cruciatus... Hæc enim
        cogitandi agendique ratio nimiam illam reviscere iubet atque insanam antiquitatum cupidinem,
        quam illegitimum excitavit Pistoriense concilium, itemque multiplices illos restituere enititur
        errores, qui in causa fuere, cur conciliabulum idem cogeretur, quique inde non sine magno
        animorum detrimento consecuti sunt, quosque Ecclesia, cum evigilans semper evistat "fidei
        depositi" custos sibi a Divino Conditore concrediti, iure meritoque reprobavit» (Mediator Dei, I, 5).
(SU!)
(29) - «...Non ci illuda il criterio di ridurre l'edificio della Chiesa, diventato largo e maestoso per la gloria di Dio, come un suo
          tempio magnifico, alle sue iniziali e minime proporzioni, quasi che quelle siano solo le vere, solo le buone...» (Paolo
          VI,  Ecclesiam suam).
(SU!)
(30) - «Un fermento praticamente scismatico divide, suddivide, spezza la Chiesa» (Paolo VI, Omelia in Cena Domini, 1969).
(SU!)
(31) - «Vi sono anche tra noi quegli «schismata», quelle «scissuræ» che la prima lettera ai Corinzi di San Paolo, oggi nostra
           ammaestrante lettura, dolorosamente denuncia» (cfr. Paolo VI, ibid.).
(SU!)
(32) - È noto a tutti come il Concilio Vaticano II venga oggi rinnegato proprio da coloro che si vantarono di esserne i padri;
          coloro che - mentre il Sommo Pontefice, chiudendolo, dichiarava non aver esso mutato nulla - ne partirono decisi a
          «farne esplodere» il contenuto in sede di applicazione. Purtroppo la Santa Sede, con una fretta che ai piú parve
          inesplicabile, ha consentito e quasi incoraggiato, attraverso il Consilium ad exequendam Constitutionem de
       Sacra Liturgia, una sempre crescente infedeltà al Concilio; che va dagli aspetti solo apparentemente formali (latino,
          gregoriano, soppressione di riti venerandi, ecc.) a quelli sostanziali consacrati dal Novus Ordo. Le terribili
          conseguenze, che abbiamo tentato di illustrare, si sono ripercosse, in modo psicologicamente forse ancora piú
          catastrofico, nei campi della disciplina e del magistero ecclesiastico, scuotendo paurosamente, insieme con il prestigio,
          la docilità dovuta alla Sede Apostolica.
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Finnegan

Sui continui non richiesti aggiornamenti della liturgia, divenuti quasi quotidiani:

Nella messa al posto del Confiteor c'è spesso qualche insulsa e generica tiritera; il Kyrie è spesso ugualmente sostituito con improvvisati e generici pistolotti; e il Credo è recitato in una forma ridotta che comincia: " credo in Dio ecc.",  non "in un solo Dio" - e poi salta tutta la parte da "Figlio unigenito" fino a "per mezzo del quale tutte le cose sono state create"? Qui è la manovra lenta e costante di "aggiustamento" del cattolicesimo per la sua finale diluizione nella religione "universale", tanto più adatta a tutti quanto più generica e meno cristiana. Peraltro nelle chiese Cristo è già stato detronizzato, il Santissimo posto in un altare laterale e l'ex altare maggiore trasformato in set teatrale, con tanto di poltrona centrale per le "originali performance" dei celebranti.
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Derry

Hai perfettamente ragione, Finnegan: il decadimento nella celebrazione della S. Messa è ormai tangibile e ha raggiunto, in alcuni casi, livelli allarmanti.

Gli scritti che hai incluso chiariscono molto bene tutti gli aspetti e le strategie di questi cambiamenti.
Un piccolo particolare mi ha colpito: quello della "doratura dei vasi sacri", perchè  mi ha richiamato alla mente un fatto molto remoto. Ricordo che una delle primissime volte che, come chierichetto, "servivo Messa", uno di noi (ragazzini giovanissimi) chiese al sacerdote se il calice, la pisside, la patena e l'interno del tabernacolo fossero veramente "rivestiti d'oro".
Nella nostra mente, ancora infantile, vedevamo l'oro come qualcosa di talmente prezioso e raro, da essere quasi una leggenda.
La risposta che il vecchio sacerdote, un Francescano, ci diede, fu: "Se non usassimo oro per ciò che verrà in contatto con il corpo e il sangue di Cristo, per quale altro scopo dovremmo usarlo?
Non sono mai riuscito a trovare una spiegazione migliore :smile_001:
"Nothing can stop the man with the right mental attitude from achieving his goal; nothing on earth can help the man with the wrong mental attitude."

Finnegan

#3
La nuova liturgia, con le derive e licenze che essa stessa positivamente autorizza nelle rubriche, non può che portare a questi esiti. In tutto il nuovo rito si percepisce un immanentismo, una collocazione del sacro nel mutevole contesto socio-temporale.

San Francesco prescriveva ai suoi frati la più rigorosa povertà, eppure teneva a far rivestire i calici sacri di oro puro. L'onore tributato a Dio non è mai inutile ma è il più importante di tutti: se il mondo esiste ancora è grazie al Sacrificio offerto nella Messa e all'esistenza espiatoria di anime consacrate.
Ma ora questi baluardi sono attaccati, con lo svilimento del rito (che in alcuni casi arriva all'invalidità) tramite abusi e continue riforme*, la soppressione di interi ordini religiosi colpevoli (cito) di essere "troppo contemplativi" e la dichiarata intenzione di togliere centralità alla Messa riducendo le parrocchie a circoli filantropici.

Monsignor Nicola Bux ha scritto al riguardo un libro eloquente già dal titolo: "Come andare a Messa e non perdere la Fede":
https://www.amazon.it/Come-andare-messa-perdere-fede/dp/8856615479
Condivido il testo ma non considero salvabile il nuovo rito, che non ha ragion d'essere considerati i tesori spirituali dell'antico.

* Pare si voglia sostituire la formula di consacrazione con un'anafora probabilmente invalida ma accetta ai protestanti.
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Finnegan

#4
Qui si evidenzia il legame tra la nuova liturgia e la cultura del '68:

[Nella nuova liturgia] la fantasia prende il potere e progressivamente la secolarizza, e la contamina con modelli tribali, patetici e infantili, specialmente per quel che riguarda il canto in chiesa, oggettivamente brutto e dissonante (per non parlare dell'architettura e l'iconografia, e non ne parliamo, ora). L'assemblearismo, con il collegialismo ideologico, è proposto e talvolta imposto contro la struttura gerarchica della Chiesa. La Messa ormai, più che semplicemente detta, è definita da tanti assemblea, sia pure con un presidente, ed eccessivo appare il coinvolgimento dei laici in sacris. Tale posizione cattolica non è estranea neppure al suddetto Sessantotto politico.

http://www.marcotosatti.com/2018/11/08/il-sessantotto-macerie-e-speranze-un-libro-di-giovanni-formicola-una-guida-nei-tempi-di-tempesta/
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Finnegan

#5
Non ho fatto in tempo a terminare il post precedente, che arriva la notizia che hanno cambiato il Padre Nostro e il Gloria; essendo per Francesco la traduzione in vigore da due millenni "sbagliata".
Chi, come un bravo utente su un altro forum, ritiene preferibile star dietro a questi continui stravolgimenti, magari facendo inutili rimostranze al parroco, si accomodi. Come molti altri, preferisco saltare sulla scialuppa piuttosto che discutere sul Titanic:

IL PADRE NOSTRO: UNA SPINTA VERSO LA TEOLOGIA DI RAHNER. MA CE N'ERA PROPRIO BISOGNO?

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Pezzo Grosso dice la sua da par suo sui cambiamenti annunciati dalla Conferenza Episcopale Italiana al Padre Nostro e al Gloria. Alla fine del suo intervento Pezzo Grosso chiede il parere dei lettori, e quello di chi scrive sulla vicenda. Obbediamo subito: pensiamo che la nuova versione non abbia gambe su cui reggersi, sia una sostanziale invenzione nel verbo "abbandonare". Il testo greco, da cui deriva la Vulgata di San Gerolamo dice: καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, che fresco di greco come sono tradurrei: non ci introdurre nel peirasmòn, che può essere correttamente tradotto come "prova". Il che ha un senso: Dio non ci tenta come farebbe il demonio, ma ci mette sicuramente alla prova, come spiega benissimo qui sotto Pezzo Grosso. Quindi, la versione Tosatti sarebbe: "non metterci alla prova". Che, se vogliamo, ha assonanze forti con "se possibile allontana da me questo calice...". Mi seguite? Scrivo sciocchezze? Ma se anche...non sono mica uno dei cervelli che pagati dall'obolo dei fedeli passano il tempo a riscrivere preghiere andate avanti benissimo senza di loro per un paio di millenni. A laurà!

Ecco pezzo Grosso:
"In un intervento del dicembre 2017, Papa Bergoglio disse ( riferisce laVerità di oggi, pag 12), riferendosi al Padre Nostro ( " e non indurci in tentazione".. ):<La traduzione è sbagliata, perché Dio non ci può indurre in tentazione>.Così oggi il Presidente Cei (Bassetti) ci dice che questa frase verrà tradotta così: "non abbandonarci alla tentazione". En passant, veniamo informati anche che nel Gloria, il passaggio "...pace in terra agli uomini di buona volontà " verrà d'ora in avanti ristrutturato in "... pace in terra agli uomini amati dal Signore ". Entrambi i cambiamenti sono un "attentato" ai meriti con cui la creatura può conquistare la vita eterna, nonché sono l'introduzione alla nuova teologia rahneriana, che spiega che non dobbiamo pensare di cercar di meritare qualcosa, tanto Gesù ci ha già salvati tutti e non ci dobbiamo preoccupare più, perché ci ama tutti...
Vabbè, leggendo quel che dice il card. Bassetti, è fin troppo facile voler rimpiangere Galantino, quello che sosteneva che Sodoma e Gomorra si erano salvate....ma un appunto son costretto comunque a farlo. L'espressione "Non indurci in tentazione",mi parrebbe molto corretta, per almeno due ragioni. Prima. Anche Gesù Cristo è stato indotto in tentazione da satana dopo in 40 giorni trascorsi nel deserto prima della vita pubblica. Gesù decise che la tentazione era necessaria  soprattutto per dare esempio di come si vince. Seconda. La vita eterna, dopo la cacciata dal Paradiso terrestre, bisogna volerla, e conquistarla qui, in vita terrena. Cosicché la tentazione è indispensabile per fare la scelta necessaria. E perciò può essere proprio "indotta" da Dio, per rafforzare la fede e permetterci di scegliere. O no? Che dice lei Tosatti e i suoi lettori?"
PG

www.marcotosatti.com/2018/11/16/pezzo-grosso-e-il-padre-nostro-una-spinta-verso-la-teologia-di-rahner-ma-ce-nera-proprio-bisogno/
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johann


Non pretendo di scoprire niente di nuovo ma:
Perché' bergoglio&c pontifica scegliendo la via di "molestare" il corpo della chiesa con un tormentone continuo di provocazioni spacciate da pseudo-riforme?
e chiaro che nel preciso momento nel quale ha deciso di rinunciare a trovare nel patrimonio di saggezza della chiesa le ragioni sulle quali formulare le giuste risposte alle sfide moderniste ha sostanzialmente abdicato da se stesso. 
Pensare!,    che nella lungimiranza dei papi che l'hanno preceduto ci sono encicliche e scritti che rispetto alle sfide moderniste sono di un'attualità quasi "profetica" (es: l'appendice denominata il sillabo dell'enciclica quanta cura di pio IX) 


Già questo fatto e indice di una chiesa che gli e' più estranea che propria, per lui e quelli come  lui la prospettiva di liquidare la "ditta" cessandola nella sua veste attuale, non lo disturba più di tanto, la riprova sta in quello che dice ma anche nei suoi METODI:   


Per operare un condizionamento coatto della chiesa cattolica, serve molto "macchiavelli" e niente ecumenismo, in un certo senso B&c i risultati li sta "rubando", piuttosto che "guadagnarseli" alla faccia del dialogo e della persuasione


Essi sono sostenitori di un pensiero "debole" perché' come ben sappiamo e' funzionale a un disegno "terzo" rispetto alla chiesa stessa, mi riferisco ovviamente all'omologazione globale al pensiero unico progressista, rispetto al quale B&c non fa mistero, di volerci trascinare all'ammasso tutta la chiesa cattolica


Il fumo di satana e ormai entrato nel tempio diceva paoloVI, per me il tema se B&c siano o meno degli apostati e' già' superato dagli eventi, ci si dovrebbe chiedere se sia sostenibile ancora a lungo questa coabitazione dentro la chiesa con il neo "bubbone protestante"
In ogni caso occhio al loro metodo!:


vengono poste sul tavolo le questioni in agenda già' con il cambiamento/riforma in essere, ....e li tutti a dibattere sul cambiamento stesso, dimentichi delle questioni di principio che stanno alla base delle questioni
B&c stessi se minimamente contestualizzati figurano quasi come un "depistaggio" per il senso critico dei cristiani, in quanto questi ultimi vengono sviati dal vero nucleo del problema che per la chiesa cattolica e il concilio vaticano II, e il suo esito "fai da te" su molte fondamentali questioni morali


In generale, (non solo per la chiesa) questo genere di "sviste" nel giudizio pubblico non sono estemporanee ma sono abilmente e scientemente indotte da una capziosa narrazione della realtà':


l'informazione e' veramente l'arma più potente che ci sia, con il pakaging della notizia e l'audience a fare da esca per il popolo bue (altro che deontologia professionale, etica dell'informazione, verità', e str.. varie)
E il modo, la forma con cui si fa notizia, più che i contenuti a creare condizionamento: questo papa come qualsiasi conduttore di talk show conosce bene il "trucchetto":
I temi vanno "sorvolati" invece che trattati a fondo


rilanciare in continuazione un dibattito buttando sul tavolo sempre nuovi argomenti, anche pretestuosi, fa si' che nessun capitolo venga mai "esaurito" nell'analisi  si glissa sui fondamentali delle cose, si procede speditamente senza la fatica di convincere o dissuadere nessuno.
Il vero tornaconto poi, sta' nel fatto che cosi facendo ci si tira dietro i "riflettori" dell'attenzione pubblica che continuamente distolta dal succedersi delle cose non si focalizza troppo a lungo sui fondamentali di principio
per saturazione o overdose di stimoli in questo modo, inavvertitamente si obbliga tutti a una lettura sbrigativa e superficiale della realtà con il conseguente qualunquismo "populista" nel successivo giudizio collettivo
Leggera variante, stessa logica:


per "censurare" temi "scomodi" all'establishment del pensiero unico:
appena un tema "sensibile" si impone alla cronaca viene immediatamente declinato dai media di massa  (soprattutto televisivi) in modo veloce e schifosamente fazioso, senza nessun contraddittorio, in modo tale che giunga agli spettatori come una specie di spot,  per poi essere quanto prima eclissato dalla successione incalzante delle "news" o del gossip modaiolo,
(vedi certi temi come: cristianofobia, marcia per la vita, padri separati, misandria ecc) 
Sbaglierò ma molto "consenso facile" raccolto a "strascico" tra gli spettatori/elettori come tra certi fedeli nasce prima ancora che nel merito delle cose da  certe "giuste" prassi informative   
Un uomo che è un uomo DEVE credere in qualcosa (dal film: il mio nome è nessuno)

Finnegan

#7
Hai ben descritto le prassi dei media (non solo la stampa, anche il cinema). Un critico cinematografico, parlando del valore del cinema come mezzo di propaganda, ha notato che:

« Il valore propagandistico di questa impressione audiovisiva simultanea è molto elevato perché standardizza il pensiero, fornendo allo spettatore un'immagine visiva preconfezionata prima ancora che egli abbia tempo di formularne un'interpretazione personale ».

Non diversamente dal resto del pubblico, il cattolico medio sembra oggi refrattario a qualunque forma di reinformazione, in quanto è per lui inconcepibile che i media possano essere faziosi. Anche perché la formazione lascia a desiderare da decenni.


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Paol

Citazione di: Finnegan il 17 Novembre 2018, 11:04:59 PM
Non diversamente dal resto del pubblico, il cattolico medio sembra oggi refrattario a qualunque forma di reinformazione, in quanto è per lui inconcepibile che i media possano essere faziosi. Anche perché la formazione lascia a desiderare da decenni.
Premetto che non mi considero cattolico, ma piuttosto eclettico, tuttavia mi sono sempre interessato di queste tematiche ; i modernisti cattolici, da buoni liberal, hanno ben manovrato sui bisticci di parole , in particolare hanno fatto credere che la messa novus ordo sia la vecchia tradotta in italiano, anche se c'è chi ha detto , in ambito tradizionalista , che sarebbe stata meglio la vecchia tradotta in italiano che la nuova in latino ; inoltre aver usato il termine Consilium etc. per la commissione che prodotto il novus ordo ha indotto a credere che sia stato il Concilio a promulgare la messa modernista ; tutta la manovra poi è conforme al ben noto  metodo dell'occupazione del centro decisionale (da parte di un manipolo aggressivo ) e di lì imporre linee a nome di categorie che non ne sanno nulla (metodo bolscevico);
un esempio di manipolazione terminologica è anche l'uso del termine "femminista" che oscilla , secondo convenienza, dal significato di promotore dei diritti femminili a sostenitore della supremazia femminile.
Paol
"God, give us grace to accept with serenity
the things that cannot be changed,
Courage to change the things
which should be changed,
and the Wisdom to distinguish
the one from the other. "
di Reinhold Niebuhr,

Finnegan

#9
Citazione di: Paol il 18 Novembre 2018, 07:32:28 PM
che sarebbe stata meglio la vecchia tradotta in italiano che la nuova in latino
Esatto :))
Citazione di: Paol il 18 Novembre 2018, 07:32:28 PM
inoltre aver usato il termine Consilium etc. per la commissione che prodotto il novus ordo ha indotto a credere che sia stato il Concilio a promulgare la messa modernista
A spiegarlo la gente non ci crede, anche perché sembra oggettivamente incredibile che sia stato inventato un nuovo rito disattendendo le disposizioni di un Concilio ecumenico di pochi anni prima.
Citazione di: Paol il 18 Novembre 2018, 07:32:28 PM
tutta la manovra poi è conforme al ben noto  metodo dell'occupazione del centro decisionale (da parte di un manipolo aggressivo ) e di lì imporre linee a nome di categorie che non ne sanno nulla (metodo bolscevico);
:good: E' andata proprio così: per tre anni furono elaborati eccellenti studi preparatori del Concilio, che all'apertura dei lavori furono però gettati alle ortiche per il colpo di mano di un manipolo di cardinali, Paolo VI non intervenne e il Concilio iniziò senza questa importantissima base di approfondimento.
Citazioneun esempio di manipolazione terminologica è anche l'uso del termine "femminista" che oscilla , secondo convenienza, dal significato di promotore dei diritti femminili a sostenitore della supremazia femminile.
Perché si cerca di assimilare un'idea all'altra: i diritti femminili deriverebbero dalla superiorità del genere femminile!
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Finnegan

#10
Sempre a proposito di chi pensa che si possano arginare certe derive continuando ad andare alla Messa Novus Ordo:

"Caro Tosatti,
[...] Mi vien riferito che un giovane e bravo sacerdote [...] si sia prima progressivamente e poi radicalmente trasformato da qualche tempo. Detta percezione nasce dal fatto che da poco non si stanca di ripetere nelle sue omelie (peraltro molto buone) che <chi non ama il Papa non può considerarsi cristiano>. Ciò che stimola di più la preoccupazione sta nel fatto che quando lo dice guarda negli occhi proprio alcuni fedeli assidui, che prendono sempre la comunione in ginocchio ed in bocca, pertanto connotati come "tradizionalisti", che si sentono conseguentemente colpevolizzati. Magari, suppongo io, perché hanno espresso (in confessionale?) qualche riserva critica sul Pontificato. Risultato è che costoro ne soffrono non poco e taluni non tornano, girovagando alla ricerca di chi nell'omelia parla solo di Dio. E ciò non accade frequentemente, come sappiamo. Ora, son cinque anni che si ascoltano (sempre più perplessi) le "veline della Cei ", ma con Bassetti cominciamo a rimpiangere persino Galantino. Il mio suggerimento agli amici che mi hanno raccontato questi avvenimenti resta lo stesso : andare a parlare a questi bravi sacerdoti, con quale esito ammetto non saprei, ma tentare non nuoce, no? Lei che ne pensa Tosatti?"
RVC

Questo era Romana Vulneratus Curia. Padre Giovanni Cavalcoli ha seguito tutta la discussione e ci ha scritto ieri sera, e naturalmente lo condividiamo volentieri:

Caro Tosatti,
se me lo consente, risponderei a quel lettore che si lamenta delle omelie di quel sacerdote in questi termini:

Caro Lettore,
   consiglio a quel fedele che, mentre partecipa alla Messa Novus Ordo, si sente colpevolizzato dal celebrante, di adeguarsi alla liturgia del Novus Ordo. Altrimenti, vada ad una Messa del Vetus Ordo. :))
   Per quanto poi riguarda possibili critiche al Papa, bisogna distinguere il Papa come maestro della dottrina della fede, dal Papa nella sua condotta morale di uomo peccatore e come Pastore e Guida della Chiesa.
  Sul primo punto dev'essere ascoltato ed obbedito.
  Invece, riguardo al secondo punto, è lecito, se ce ne sono i motivi, criticarlo e redarguirlo con prudenza e spirito filiale ed eventualmente esortarlo a ravvedersi dai suoi peccati.
P.Giovanni

http://www.marcotosatti.com/2018/11/24/padre-cavalcoli-risponde-a-romana-vulneratus-curia-e-a-un-po-di-altri-lettori-di-stilum-curiae/
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johann

#11

Aldilà del merito (importante) circa il novus ordo e vetus ordo c'e una cosa che secondo me emerge e che si impone all'attenzione 
Mi riferisco al MODO con il quale oggi le cose "avanzano" invece di "maturare"


sembra che si proceda a colpi di: non rompete...... adesso che vi piaccia o no comandiamo noi,   a livello psicologico la cosa non sembra molto diversa da quello che succede in un qualsiasi congresso di partito nel quale la sorte progredisce a colpi di maggioranza relativa con l'opposizione di turno che finge di farsene una ragione e rema contro


Ecco!  forse Il male,  anzi il crimine che B&c stanno consumando ai danni della chiesa sta proprio in questo: Parificare il mondo della chiesa alla vile politica introitando subdolamente il concetto della prassi "democratica"
Magari il "detto non detto" di p.giovanni sta proprio in questo:
Liquidare le giuste rimostranze che il novus ordo produce con la logica politichese che.........: finché ci siamo noi si fa cosi!  quando ci sarete voi farete come vorrete!
Magari si potrebbe chiedere a p.giovanni se cominciando dal padre nostro e dal credo lossignori vogliono finire col travisare il senso autentico di alcune encicliche e magari poi chissà....."rivedere" i vangeli??


Se e' cosi E' davvero allucinante, cogliere simili logiche dentro un'istituzione come la chiesa, se pensiamo che quello che la divide dal settarismo puro e semplice e la fede professata nella parola di DIO, e non dell'uomo, in altre parole rispetto all'essenza del messaggio evangelico e proprio il divieto di qualsiasi "discrezionalità interpretativa" che la rende in un certo senso autentica e "credibile"
Si deve credere in Dio non negli uomini, e questo non dovrebbe prevedere "destra, sinistra, ne tanto meno gli immancabili moderati"
Non credevo che si arrivasse al punto di dover ribadire "certe" cose a "certa" chiesa   


Se anche non ci si rendesse conto di questo sarebbe comunque doppiamente colpevole far passare una cosa simile, Perché quando un corpo come quello della chiesa si fa contagiare da simili logiche ne diventa "portatore sano" e di fatto non guarisce più


HO sempre pensato che sulle questioni di principio nella società' ma soprattutto nella chiesa si debba essere irremovibili, non fosse altro perché  aldilà del merito delle cose, qualunque cedimento anche indiretto rappresenterebbe l'ennesimo foro nella diga che separa l'integrità' morale della "proposta" cristiana dall'empieta pagana e nichilista, che artiglia già mezzo mondo, non gli serve altro perché il resto come ben sappiamo lo farà la fisica e il tempo


Se non si hanno dubbi a riguardo basterebbe pensare agli altri "ex fori" "all'attivo": aborto divorzio omosessualità e adesso l'eutanasia tutte istanze cominciate e "innescate" da "innocenti" rivendicazioni per situazioni limite e ora diventate connotato sociale anzi "presidio" di "civiltà"   
Bisogna stare molto attenti a queste dinamiche perché la contaminazione diabolica viaggia più sulla "prassi" e le sue parole d'ordine condivisione, concertazione inclusione ecc piuttosto che nel confronto diretto sul merito
Un uomo che è un uomo DEVE credere in qualcosa (dal film: il mio nome è nessuno)

Finnegan

Credo che P. Cavalcoli volesse dire che la situazione delle parrocchie Novus Ordo è irrecuperabile, a partire dal rito calato nella prassi e nel divenire della "storia" con formule che cambiano di anno in anno e di celebrante in celebrante. Il varietur al Padre Nostro né è l'inconfutabile prova. Quanto ai Vangeli, è già scomparsa nella Messa l'espressione "pace in Terra agli uomini di buona volontà" sostituita da "uomini che Dio ama", sottinteso la buona volontà (le opere) non serve per meritare la Grazia, proprio come diceva Lutero.
CitazioneBisogna stare molto attenti a queste dinamiche perché la contaminazione diabolica viaggia più sulla "prassi" e le sue parole d'ordine condivisione, concertazione inclusione ecc piuttosto che nel confronto diretto sul merito
Per questo è inutile cercare di puntellare una diga che fa acqua da tutte le parti, vediamo almeno di salvare quel ch'è rimasto di sano.
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johann

Non ne sono del tutto convinto circa cosa volesse intendere p.cavalcoli
quando ci si riduce a dover "decifrare" certe affermazioni  che altro non sono che varianti del perfetto politichese dove quando l'argomento e' scomodo ci si prodiga a stare in equilibrio sul filo del "non mi sbilancio, non mi comprometto più di tanto"
L'interrogante sollevava il problema del disagio personale per interrogare metaforicamente il clero sull'andazzo corrente
Non si risponde come se il servizio che il prete fa nella parrocchia sia uguale al servizio che ti fa il barbiere
se sei scontento,  sei libero di cambiare!!
E una chiamata in causa diretta che esige una risposta chiara e "scherata" questa interrogazione e' semplicemente un esempio di quale gigantesca "supplica filiare" (magari scomposta indiretta e scordinata) si sta alzando dalla base verso le gerarchie che chiede spiegazione di tanto lassismo teologico
Non possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........
cio che rimane del salvabile e' quella parte del clero che non ci sta  bisogna aiutarli ad emergere ad distinguersi a staccarsi dal novus ordo (in senso generale) di B%c e per farlo si deve obbligarli a prendere posizione a cominciare dal proprio prete di parrocchia.       
Un uomo che è un uomo DEVE credere in qualcosa (dal film: il mio nome è nessuno)

Finnegan

CitazioneNon possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........
Assolutamente d'accordo.
Citazionecio che rimane del salvabile e' quella parte del clero che non ci sta  bisogna aiutarli ad emergere ad distinguersi a staccarsi dal novus ordo (in senso generale) di B%c e per farlo si deve obbligarli a prendere posizione a cominciare dal proprio prete di parrocchia.     
Purtroppo il clero in questione se "osa" celebrare in latino come permette il diritto canonico mette a repentaglio la propria carriera o è soggetto ad altri tipi di ritorsione.
Per questo è essenziale che i laici si facciano sentire, innanzitutto con il loro numero che è ben difficile da ignorare, partecipando in massa alle celebrazioni tridentine.

Su Padre Cavalcoli, Cesare Baronio ti dà ragione:

come La mia obiezione alla Sua affermazione consiste quindi nell'aver Ella assunto un principio generale condivisibile, che però nel caso specifico non può essere ammesso. E questo per due ragioni. Anzitutto l'Autorità Ecclesiastica dovrebbe avere come suo scopo principale la salus animarum, per conseguire la quale essa deve dotare i fedeli della pienezza degli strumenti per conseguire la Grazia e così santificarsi. L'aver abolito un rito venerando che esprime perfettamente la fede cattolica, per sostituirlo con un rito che, se non eretico, quantomeno è gravemente omissorio, è un'operazione già di per sé censurabile e riprovevole. In secondo luogo – anche ammesso che l'Autorità possa sostituire un bene minore ad un bene maggiore – è diritto inalienabile del fedele, anzi suo preciso dovere morale, preferire il bene maggiore al bene minore, e a fortiori preferire il bene al male. Ciò vale ancora di più per i sacerdoti, che hanno accettato un rito compromissorio che rende meno onore a Dio e che santifica di meno le anime, quando c'era un rito perfetto e non vi era alcuna ragione per abrogarlo.

Se questo era valido quando il Novus Ordo fu promulgato, è ancora più valido oggi, che di quell'innovazione si sono visti gli amari frutti. Porre quindi sullo stesso piano il Vetus Ordo ed il Novus può esser tollerabile se l'intenzione è di sostituire progressivamente il Vetus al Novus, agendo con prudenza di governo; ma è inaccettabile se l'operazione mira allo scopo contrario, accontentando i critici del rito riformato ma allo stesso tempo chiedendo loro di accettarlo come legittimo. Come se si chiedesse ai movimenti pro-vita di riconoscere come altrettanto legittimo il diritto all'aborto, in cambio della loro libertà d'azione. E qui parliamo di vite umane, tanto quanto con la Messa si tratta di anime che la Chiesa ha il dovere di salvare.

Le rubriche dell'antico rito prescrivono che le azioni sacre siano compiute dai Sacri Ministri, mentre nel nuovo i laici e addirittura le donne entrano ed escono dal presbiterio.

la Messa riformata è stata inventata a tavolino da una Commissione di teologi e liturgisti, tra cui un gruppo di pastori luterani e calvisti, sulla falsariga del rito tridentino. Solo una persona inesperta e completamente a digiuno dei rudimenti di teologia e di liturgia può sostenere che la differenza tra i due riti consista solo nelle forme cerimoniali e nelle rubriche.

Poi venne promulgata la Messa di Paolo VI: sparite le preghiere ai piedi dell'altare, ilConfiteor era recitato dal sacerdote e dai fedeli insieme, con una bella sforbiciata a San Michele Arcangelo, al Beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo. Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli. Proprio come fecero, guarda un po', i primi Luterani e i riformatori di Cranmer. I riti d'introduzione tolsero l'antichissimo uso della triplice invocazione del Kyrie, ridotti a due per mera comodità di risposta coi fedeli. E l'Offertorio scomparve del tutto, per far posto ad una preghiera giudaica di sapore panteistico. Venne tolta anche l'invocazione Veni, Sanctificator, con la quale il celebrante invocava la discesa dello Spirito Santo su questo sacrificio, preparato per il Tuo santo nome. Rimase provvisoriamente l'Orate, fratres, che oggi prevede varie risposte, alcune più omissorie delle altre. Il Canone Romano fu mantenuto, ma privato di tutti i segni antichissimi con i quali il celebrante designava le Sacre Specie, si inchinava, genufletteva, alzava gli occhi al cielo ecc. L'elenco dei Santi venne reso facoltativo: et pour cause, essendo la loro intercessione negata dai Protestanti e dai Novatori. Le parole della Consacrazione furono mutate, spostando il Mysterium fidei dalle parole sul Calice a dopo l'Elevazione, come se la transustanziazione di compisse solo dopo l'ostensione ai fedeli; tant'è vero che anche la genuflessione del sacerdote prima dell'Elevazione fu abolita. Studiosi più versati di me nelle discipline liturgiche e teologiche hanno avuto modo di dimostrare l'adulterazione impressionante del nuovo rito, che mantiene solo parte dell'aspetto esteriore della Messa, proprio come fecero Lutero ed altri eresiarchi. I quali, dovendo imporre la loro liturgia eretica ai fedeli ancora cattolici, raccomandavano di suonar i campanelli all'Elevazione, o di comunicarli in ginocchio, per non scandalizzarli. Peccato che a quelle celebrazioni non si consacrasse più il Corpo e il Sangue di Cristo e che i ministri fossero dei laici.

Rimane da comprendere come a un Papa sia concesso di peccare contro tutte le virtù, ad eccezione della fede: mi par di ricordare che il Concilio Vaticano – il primo, ovviamente – avesse definito che l'infallibilità dei Romani Pontefici è garantita dallo Spirito Santo solo quando essi parlano ex cathedra, nel solo ambito di questioni inerenti la fede e i costumi, e con l'intenzione esplicita di impartire un insegnamento vincolante per i fedeli. Poiché se un Papa potesse essere infallibile in materia di fede anche quando è interpellato da un giornalista o fa una delle sue esternazioni a braccio, si aprirebbero questioni molto delicate.

Di eresie ne abbiamo sentite parecchie, dette non solo da Bergoglio ma anche dai suoi Predecessori: per grazia di Dio, questi errori dottrinali erano espressi come dottori privati, e non imposti a credersi da tutti i fedeli in forza della loro Autorità Apostolica né tantomeno sotto l'assistenza dello Spirito Santo. Tuttavia, reverendo padre, sentir affermare una cosa del genere da un Domenicano mi lascia a dir poco sgomento. Se l'avessi fatto io col mio professore di Dogmatica, mi avrebbe rispedito al Seminario Minore.

http://www.marcotosatti.com/2018/11/25/cesare-baronio-eminentissimus-risponde-punto-per-punto-a-padre-giovanni-cavalcoli/
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Paol

Citazione di: Finnegan il 24 Novembre 2018, 08:00:36 AM
Sempre a proposito di chi pensa che si possano arginare certe derive continuando ad andare alla Messa Novus Ordo:

Questo era Romana Vulneratus Curia. Padre Giovanni Cavalcoli ha seguito tutta la discussione e ci ha scritto ieri sera, e naturalmente lo condividiamo volentieri:

http://www.marcotosatti.com/2018/11/24/padre-cavalcoli-risponde-a-romana-vulneratus-curia-e-a-un-po-di-altri-lettori-di-stilum-curiae/

Padre Cavalcoli ? Se è il domenicano è stato mio professore quando fui, purtroppo brevemente, studente di teologia...
Paol
"God, give us grace to accept with serenity
the things that cannot be changed,
Courage to change the things
which should be changed,
and the Wisdom to distinguish
the one from the other. "
di Reinhold Niebuhr,

Paol

Citazione di: Finnegan il 25 Novembre 2018, 05:32:02 PM
CitazioneNon possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........

con una bella sforbiciata a San Michele Arcangelo,

Se ben ricordo la preghiera a San Michele arcangelo fu inserita nell'800 a seguito della visione ( meglio : voci udite) nella quale un papa sentì che Satana aveva ottenuto 100 anni di (parziale) libertà d'azione , tempo ora scaduto, quindi non è del tutto incoerente averla rimossa, anche se dubito che il movimento liturgista e modernista l'abbia fatto per questo ;
Comunque, sarebbe interessante valutare l'evoluzione del cattolicesimo e del cristianesimo in rapporto alla maschilità (forse questo termine l'ho inventato io in questo momento...) certo che una vena antimaschile mi pare che nel Cattolicesimo ci sia, almeno da qualche secolo , direi dai tempi del concilio di Trento, se non prima ; è possibile che il concilio di Trento, per reagire al protestantesimo abbia determinato un arroccarsi su posizioni alla lunga autodistruttive ;
Comunque, se c'è interesse propondo la creazione di un tread sul maschile e le religioni, in genere;
Paol
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which should be changed,
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Finnegan

#17
Citazione di: Paol il 25 Novembre 2018, 06:24:17 PM
Padre Cavalcoli ? Se è il domenicano è stato mio professore quando fui, purtroppo brevemente, studente di teologia...
Non ti è andata così male, con i professori che circolano oggi.
Citazione di: Paol il 25 Novembre 2018, 06:36:58 PM
Citazione di: Finnegan il 25 Novembre 2018, 05:32:02 PM
CitazioneNon possiamo restare tutti (fedeli laici e clero) a fare gli spettatori, aspettando che altri..........

con una bella sforbiciata a San Michele Arcangelo,

Se ben ricordo la preghiera a San Michele arcangelo fu inserita nell'800 a seguito della visione ( meglio : voci udite) nella quale un papa sentì che Satana aveva ottenuto 100 anni di (parziale) libertà d'azione , tempo ora scaduto, quindi non è del tutto incoerente averla rimossa, anche se dubito che il movimento liturgista e modernista l'abbia fatto per questo ;
Comunque, sarebbe interessante valutare l'evoluzione del cattolicesimo e del cristianesimo in rapporto alla maschilità (forse questo termine l'ho inventato io in questo momento...) certo che una vena antimaschile mi pare che nel Cattolicesimo ci sia, almeno da qualche secolo , direi dai tempi del concilio di Trento, se non prima ; è possibile che il concilio di Trento, per reagire al protestantesimo abbia determinato un arroccarsi su posizioni alla lunga autodistruttive ;
Comunque, se c'è interesse propondo la creazione di un tread sul maschile e le religioni, in genere;
Apri pure il thread (consiglio la sezione "Per tornare a essere uomini"). Sono dell'idea che la rimozione della preghiera a S. Michele abbia dato mano più libera alle forze infere.
Il femminismo è un'arma dell'ingegneria sociale per l'affondamento di società complesse, modellata nella sua forma attuale attorno all'ideologia del '68. Si propone la distruzione dei rapporti tra i sessi e della famiglia, cellula essenziale della società. Nulla a che vedere col cristianesimo, grazie al quale l'Occidente è rimasto in piedi duemila anni.
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Finnegan

Abbé Claude Barthe: la riforma liturgica specchio del progetto conciliare

Pubblichiamo uno studio-raffronto dell'Abbé Claude Barthe fra la Liturgia tradizionale e quella post conciliare.
Nel post di MiL di ieri ( QUI ) fanno riflettere le parole che il Cardinale Antonio Cañizares Llovera scrisse nel 2003, quando ancora era Prefetto della Congregazione per il Culto Divino: "...qual è mai il fascino segreto che la Messa latina antica porta con sé – per quale ragione, o, piuttosto, per quali ragioni assistiamo ad una sorprendente rinascita della Messa tradizionale proprio ai giorni nostri, dal momento che la maggior parte di coloro che la celebrano o vi partecipano è nata dopo il 1970? Ed in che modo si tratta di un fenomeno positivo per la Chiesa e per la nuova evangelizzazione?"
AC 

La riforma liturgica. Specchio del progetto conciliare

Come una riproduzione dell'adagio lex orandi, lex credendi, si potrebbe dire che, dal Vaticano II in poi, ad un "insegnamento pastorale" corrisponde una "liturgia pastorale". Argomento molto vasto, per il quale, in questa sede, ho deciso di limitarmi ad alcuni aspetti della Messa del Vaticano II, ma si potrebbe estendere alla nuova liturgia nel suo insieme da tutti i punti di vista. 

Una ecclesiologia ecumenica come tentativo di compromesso con la modernità 
L'introduzione dell'esortazione apostolica Amoris Laetitia, per evitare che la dottrina presentata sia invalidata come non conforme alla dottrina precedente, riutilizzava, senza usare espressamente il termine, la categoria nuova di "insegnamento pastorale", ossia l'insegnamento volontariamente non dogmatico, inaugurato dal secondo concilio vaticano. Questo concilio ecumenico atipico aveva creato dei vuoti ecclesiologici, così come il capitolo VIII di Amoris laetitia, circa mezzo secolo dopo, ha creato dei vuoti morali.
In entrambi i casi si può dire che gli organi di insegnamento hanno perso terreno, a causa di una pressione liberale che si è esercitata con forza sempre crescente e hanno tentato una transazione con la modernità.
Molto concretamente, al Vaticano II la Chiesa è stata presentata come se non fosse più l'unica società soprannaturale, l'unica Sposa di Gesù Cristo, ma come se esistessero altre entità ecclesiali che avevano una certa esistenza soprannaturale, imperfetta ma reale.
Tale slittamento si rileva, in particolare, nei tre testi più controversi del Concilio: il decreto Unitatis redintegratio, sull'ecumenismo, la dichiarazione Nostra Aetate, sui rapporti della Chiesa con le religioni non cristiane, e la dichiarazione Dignitatis humanae, sulla libertà religiosa.
Ricordiamo soltanto il compromesso dottrinale nel quale si è cimentato Unitatis redintegratio.
L'ecumenismo cattolico – senza essere del resto chiaramente definito – vorrebbe mantenersi a pari distanza dall'uniatismo tradizionale (le comunità separate sono invitate a ritornare a far parte della Chiesa cattolica) e dall'ecumenismo protestante (che auspica una Chiesa di Cristo confederale che inglobi le diverse confessioni cristiane).
Il Vaticano II ha tentato così di aprire un'improbabile terza via, elaborando la nozione nuova di "comunione imperfetta" (Unitatis redintegratio, n. 3), che esisterebbe tra i cristiani non cattolici e la Chiesa (e anche, secondo Ut unum sint, tra le Chiese e le comunità separate e la Chiesa cattolica, n. 11 § 2).
Come per Amoris laetitia, questo compromesso di fondo si coniuga con un compromesso formale: il carattere pastorale di questo insegnamento: «La crisi della Chiesa, oggi, prima di essere dottrinale, morale, spirituale, liturgica, di autorità – è anche tutto questo – è innanzitutto una crisi formale. (...) Il Vaticano II è la trasformazione di un evento che sarebbe dovuto essere dogmatico e che, al contrario, si è trasformato in pastorale facendo sì che la lingua da dogmatica diventasse pastorale»[1].
Compromesso, perché la modernità è essenzialmente il rifiuto di ogni dogma.
È stato introdotto dal discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia di Giovanni XXIII, che può essere riassunto con la formula: né condanna, né dogmatizzazione, ed è stato confermato dal discorso al Sacro Collegio del 23 dicembre 1962 e dalle affermazioni ufficiali successive[2].
In quest'ottica, il n. 25 § 1 di Lumen gentium ha elaborato una nuova categoria di insegnamenti supremi del Papa o dei vescovi in comunione con il Papa, che i teologi fino a quel momento riservavano a certi decreti delle Congregazioni romane: tali insegnamenti sono forniti senza l'intenzione di proporli in maniera definitiva, e a loro è dovuto non un assenso di fede, ma solo un religiosum voluntatis et intellectus obsequium[3].
Questo nuovo modo di esporre la dottrina senza coinvolgere, almeno indirettamente, la fede della Chiesa – ovvero senza riferirsi al Qui vos audit, me audit (Lc 10,17) – implica un nuovo modo di auto–comprensione degli organi d'insegnamento.
Questo governo del popolo cristiano, privato del riferimento all'obbligo di credere e che propone una specie di unità di opinione, presenta una certa analogia con il tipo di governo delle democrazie moderne circa l'elaborazione di un consenso, la cui forma, hanno spiegato Augustin Cochin e più recentemente François Furet, risiede nel funzionamento delle società di pensiero. 

Un messaggio liturgico in regressione
Nella nuova messa ogni partecipante, se ha la possibilità di fare un confronto con le vecchie forme liturgiche o con le liturgie orientale, ha la percezione immediata di una debole manifestazione della trascendenza.
A favore di una "inserzione nella vita", per una migliore partecipazione attiva di tutti i battezzati, la messa è interpretata come una riunione conviviale, di cui fa propri il tono e i riti di civiltà: la parola di accoglienza pronunciata dal sacerdote che presiede; l'intervento di uomini e donne con un abbigliamento informale per leggere le letture o per dare la comunione; le parole finali del celebrante per augurare gentilmente una buona domenica ai parrocchiani al momento del congedo.
Tutto questo è notevolmente rafforzato dal passaggio da una lingua sacra a una lingua di uso profano, e perfino puramente profana, senza la distanza che crea una versione antica come per gli anglicani.
Inoltre, tutto è detto ad alta voce, specie la preghiera eucaristica.
Il silenzio del canone, attestato nel IX secolo, fungeva da iconostasi morale nella liturgia latina.
La dizione ad alta voce sottolinea, d'altronde, la forma comune del discorso, che dà un'impressione di "chiacchiera continua", bandendo il silenzio di raccoglimento.
Infine la generalizzazione della celebrazione intenzionalmente di fronte al popolo, teoricamente non obbligatoria ma concretamente quasi consustanziale alla riforma, come mostrano le reazioni ai recenti tentativi del cardinale Sarah per "invertire il senso", contribuisce ampiamente a una diminuzione del sentimento della trascendenza.
La liturgia riformata produce tra coloro che la praticano un'impressione di appiattimento della trascendenza, allontanandoli proporzionalmente da ciò che credono di toccare con le proprie mani, contrariamente alle liturgie tradizionali, latine o greche che, sottolineando nei gesti e nelle parole l'immensa elevazione del mistero che svelano deformandolo, fanno paradossalmente toccare il soprannaturale attraverso una sorta di gioco continuo di allontanamento/avvicinamento[4].
D'altra parte bisogna considerare che la nuova liturgia è stata composta in un contesto ecumenico, ma riguardante solo il protestantesimo, poiché il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia aveva deliberatamente escluso di invitare osservatori ortodossi.
Ciò ha comportato una grande attenzione nei confronti della sensibilità protestante.
Per fare un esempio, nella redazione di nuove raccolte del santorale, i redattori hanno badato, come si può constatare, «a sopprimere per quanto possibile ogni allusione all'intercessione dei santi»[5].
Tale contesto ha l'effetto di sottolineare una minore riverenza nella nuova liturgia rispetto alla presenza reale (riduzione delle genuflessioni; segni di purificazione; di protezione delle sante specie; banalizzazione tipografica delle parole consacratone; comunione possibilmente data dai laici; estensione della comunione sulla mano).
Si noterà anche che, nella nuova messa, l'officiante è più presidente che gerarca, assimilato a Cristo Sacerdote (il Confiteor dell'inizio della messa è comune a tutti; la soppressione di molte preghiere di purificazione dell'anima del ministro celebrante; l'abolizione della distinzione tra la comunione del sacerdote e quella dei fedeli; l'entourage composto non più da chierici o bambini assimilati a chierici come nella vecchia liturgia, ma puri laici, compreso donne lettrici e distributrici della comunione e ragazze ministranti; e in generale il debole ritualismo delle cerimonie nuove come parte importante lasciata ai liberi interventi del celebrante che svolge un ruolo considerevole al suo "gioco" personale di attore).
Ma il più notevole indebolimento riguarda la comprensione della messa come sacrificio sacramentale per i vivi e per i defunti.
Non solo, dalla fine degli anni sessanta, la nozione di "sacrificio per i peccati" e di "soddisfazione vicaria" ha subito critiche frontali[6] o laterali[7], inoltre, per molti teologi del XX secolo, anche non progressisti, la messa, invece di essere sacrificio vero e sacramentale che rinnova quello del Calvario, costituirebbe piuttosto un sacrificio di oblazione per la Chiesa, carpendo il sacrificio di oblazione–immolazione del Golgota, senza ripetizione sacrificale propriamente detta secondo un modo sacramentale[8].
Si può dire che è questa posizione mediana tra progressismo anti–sacrificale e ortodossia sacramentale che ha elaborato il nuovo Ordo missae: l'imbarazzo di affermare che la messa è proprio un sacrificio che reitera in modo multiplo l'unico sacrificio di Cristo porta a dire che essa rende solo presente quest'unico sacrificio, come se la presenza reale eucaristica fosse raddoppiata da una specie di "presenza reale" dell'atto del Golgota[9].
Nonostante il legame della liturgia nuova con queste inflessioni teologiche, il nuovo messale presenta molti punti deboli.
Sposta così, nel momento più solenne, l'attenzione che la liturgia della messa aveva finora prestato principalmente al sacrificio del Venerdì Santo (il sangue offerto per noi), verso il mistero pasquale nel suo insieme.
Certamente, il messale tridentino, dopo la consacrazione, una preghiera di anamnesi, di memoria della Passione, della Risurrezione e anche dell'Ascensione, Unde et memores, ma nella nuova messa, è l'espressione mysterium fidei stessa, che era inserita nell'ambito della consacrazione del Preziosissimo Sangue, come un'esplicitazione del sacrificio eucaristico, mistero della fede del nuovo ed eterno testamento (il mistero della fede celebrato hic et nunc, è il Sangue sparso in remissione dei peccati), che è riportato subito dopo, come introduzione alle acclamazioni.
Il mistero della fede rinnovato sacramentalmente non è più solo il mistero del Sangue sparso per i nostri peccati, ma è al tempo stesso quella della morte e della Risurrezione e della parusia: «È grande il mistero della fede: annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua Risurrezione, nell'attesa della tua venuta».
Un crocifisso non è obbligatoriamente posto al centro dell'altare per dominare la celebrazione del sacrificio, ma può essere in prossimità. Un solo segno della croce sugli oblati non consacrati è stato mantenuto, al posto di una trentina di segni fatti dal sacerdote sugli oblati o con loro nel vecchio Ordo.
La breve Prex eucharistica II, versione adattata della Tradizione apostolica di Ippolito, come ricostruita, riflette infatti un'espressione teologica arcaizzante, che esprime il sacrificio del pane e del vino consacrati solo implicitamente "Che prendendo parte al Corpo e al Sangue di Cristo siamo riuniti dallo Spirito Santo in un solo corpo".
Quanto al canone romano, particolarmente esplicito nell'espressione del sacrificio, con le ripetizioni dei termini "sacrificio" al singolare o al plurale, "offerte", "offriamo", "oblazione", è l'unica preghiera eucaristica possibile.
Molte preghiere da parte del sacerdote per chiedere perdono dei peccati, dette apologie, sono state eliminate, col pretesto che erano state aggiunte durante l'alto Medioevo, per esempio il Placeat tibi sancta Trinitas, molto significativo del sacrificio compiuto, pronunciato nella vecchia liturgia prima della benedizione: «Sia a te gradito, o Santa Trinità, l'omaggio della mia servitù, e fa' che questo sacrifizio, da me indegno offerto sotto gli sguardi della tua maestà, a te sia accetto». Ma il maggiore indebolimento risulta dalla soppressione dell'offertorio tradizionale, sostituito da una "preparazione dei doni".
Le liturgie latine e orientali – queste ultime, in modo molto insistente – hanno sempre considerato gli oblati portati nel santuario e scoperti sull'altare consacrati e offerti in sacrificio in anticipo.
La presenza dell'offertorio sacrificale, o del suo equivalente, la protesi, nella maggior parte delle liturgie basterebbe a provare che è un elemento notevole della lex orandi. In modo molto naturale, dal VII al XI secolo, nella liturgia romana – come nelle altre liturgie latine e orientali – sono state stabilite queste preghiere di offerta sacrificale degli oblati da consacrare.
Una delle grandi richieste del Movimento liturgico degli anni cinquanta, presentata in particolare da p. Joseph–André Jungmann, è stata di ritornare a un rito di apporto degli oblati nell'Antichità cristiana come lo si immaginava – e che si modernizzava con processioni di apporto dei "frutti della terra e del lavoro" –, eliminando il cosiddetto "doppione" del canone che costituiva l'offertorio romano («si sopprimano quegli elementi che, col passare dei secoli, furono duplicati o aggiunti senza grande utilità», Sacrosanctum Concilium, n. 50).
P. Louis Bouyer era uno dei diffusori della vulgata dell'epoca secondo la quale la liturgia cristiana era prevalentemente sorta dalla liturgia della Sinagoga come la si immaginava allora, ad esempio come una liturgia che sarebbe stata identicamente praticata da tutte le comunità ebraiche, dall'epoca di Gesù Cristo fino all'Alto Medioevo.
Secondo lui era indubbio che l'Ultima Cena era nata come un pasto ebreo di festa, preceduta da una berakha pronunciata sulla prima coppa di vino: "Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, Re dei secoli, che fai produrre questo pane nella vigna"[10].
Tentava di far cominciare l'eucaristia del XX secolo, allo stesso modo in cui si pensava che fosse cominciata l'Ultima Cena, dando quindi alla messa un sapore di giudaismo.
È così che i saggi esperti del Consilium eliminarono l'offertorio romano, divenuto parte essenziale dell'esplicitazione del sacrificium missae. 

La "preparazione dei doni" che l'ha sostituita è così resa nel messale in lingua volgare: quando il sacerdote eleva la patena: Benedictus es, Domine, Deus universi, quia de tua largitate accepimus panem, quem tibi offerimus, fructum terrae et operis manuum hominum: ex quo nobis fietpanis vitae – "Benedetto sei tu. Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna" (mentre nel messale tridentino: "Accettate, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, quest'immacolata ostia che io indegno tuo servo offro a voi, o Dio mio vivo e vero, per gl'innumerevoli miei peccati, le mie offese e le mie trascuratezze, e per tutti gli astanti, ma anche per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, acciocché per me e per essi sia giovevole alla salvezza nella vita eterna").
Quando eleva il calice: Benedictus es, Domine, Deus universi, quia de tua laigitate accepimus vinum, quod tibi offerimus, fructum vitis et operis manuum hominum, ex quo nobis fiet potus spiritalis. – "Benedetto sei Tu, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della vite e del nostro lavoro; lo presentiamo a Te perché diventi per noi bevanda di salvezza" (Invece di: "Vi offriamo, o Signore, il calice della salvezza, implorando la vostra clemenza, affinché al cospetto della vostra divina maestà la nostra offerta salga in odor di soavità per la salvezza nostra e di tutto il mondo"). 

Un universo rituale polverizzato
Passare da un messale all'altro produce, dal punto di vista delle regole da osservare, un'impressione sorprendente.
Al posto dei gesti e degli atteggiamenti del corpo ritualizzati, strettamente determinati da un uso immemoriale, le nuove rubriche non sono che indicazioni o proposte vaghe. Come per le traduzioni, una certa libertà è considerata come legittima e auspicabile per meglio "avvicinarsi alla vita".
Le scelte sono innumerevoli.
Così, dopo che il sacerdote ha baciato l'altare e l'ha incensato, se lo ritiene giusto, a mani tese, saluta il popolo con tre formule a scelta.
Poi il sacerdote o il ministro capace può liberamente fare un'introduzione alla messa del giorno.
In seguito, il sacerdote invita i fedeli alla penitenza secondo quattro possibilità, tra cui l'aspersione.
Senza parlare delle scelte proposte nell'uso o non uso degli ornamenti, del loro colore, si può continuare così: Kyrie eleison eccetto se è stato utilizzato nelle preghiere penitenziali; due letture, di cui la prima può essere omessa; la professione di fede si fa con il simbolo niceno–costantinopolitano o con quello degli Apostoli; la preghiera universale è liberamente composta; le prefazioni sono quarantasei per il temporale, dieci per il santorale, tredici per il comune dei santi, sedici per i defunti, messe rituali, messe votive.
La preghiera eucaristica romana era, ed è indubbiamente sempre stata, unica.
Le preghiere eucaristiche a scelta sono ormai ufficialmente quattordici.
Ma alcune conferenze episcopali hanno chiesto l'approvazione di preghiere eucaristiche specifiche.
Così quella del Brasile ha ottenuto l'approvazione di una anafora, detta preghiera eucaristica di Manaus, che ha la particolarità di essere dialogata.
La consacrazione è seguita da tre acclamazioni a scelta.
L'introduzione al Pater ha due varianti, o è libera.
La pace e la carità reciproche si manifestano secondo i costumi locali (e soprattutto in base ai gesti di civiltà in vigore: oggi, alla stretta di mano fa concorrenza il bacio sulle guance).
È come un'esplosione di varianti: la benedizione del popolo può essere data in modo solenne con dieci introduzioni tre o quadripartite ognuna caratterizzata da tre Amen, o ancora con ventisei introduzioni sotto forma di "preghiere sul popolo", ma estese.
La fluidità richiama naturalmente la libertà e l'invenzione, spesso sotto l'apparenza di bene. Il passaggio dal latino alle lingue vernacolari da' l'impressione di polverizzazione di un culto romano che era particolarmente unificato e unificante.
La valutazione del numero di traduzioni in lingue e dialetti (senza parlare della messa in esperanto) nelle quali si celebra oggi la liturgia detta latina è da 350 a 400.
Alcuni ritocchi operati dalle versioni nazionali sono talvolta considerevoli.
A titolo di esempio: il pro multis (sangue versato "per molti") della consacrazione, reso con per tutti in italiano; il consubstantialem Patri, il Figlio è consustanziale al Padre, del Credo, reso in francese con il Figlio è "de même nature que le Père".
Tali adattamenti potrebbero essere considerati una inculturazione: in Cina si celebrano gli antichi riti in onore degli antenati defunti; in Zambia si elimina la combinazione di acqua e vino; nello Zaire è praticato un rito con danze processionali, l'invocazione degli antenati, dialoghi consuetudinari tra sacerdote e popolo.
Per non parlare degli innumerevoli "abusi" (per esempio: messa al circo, messa per bambini, messa nella sala da pranzo, messa "che se la prende comoda" ecc.), tranne che per dire che la nuova liturgia è intrinsecamente aperta alla creatività, in particolare, alla creatività della parola.
A Parigi, attualmente, il parroco di Saint–Merry riscrive tutte le preghiere della liturgia, compresa quella dell'eucaristia, alla luce dell'attualità[11]. 

Una liturgia mondanizzata
Ognuno degli elementi descritti può apparire di per sé di secondaria importanza.
Ma la loro somma è rilevante: abbandono di un rituale obbligatorio, opzioni multiple, celebrazione nella maggior parte dei casi di fronte al popolo, uso generale delle lingue comuni, grande libertà nelle ammonizioni e nei commenti, parole praticamente sempre ad alta voce a discapito del segreto rimale e sacro, minore riverenza rispetto all'eucaristia, espressione più debole del sacerdote gerarchico e soprattutto della realtà del sacrificio sacramentale, adozione di un certo numero di gesti e usi della vita ordinaria.
«Non bisogna stupirsi troppo se – scrive Louis Bouyer nelle sue Memorie – con le sue inverosimili debolezze, l'aborto che producemmo doveva suscitare lo scherno e l'indignazione».
Il problema posto da questa liturgia è lo stesso di quello sollevato dai testi dottrinali ambigui come quelli riguardanti i principi dell'ecumenismo già evocati, o come il capitolo VIII dell'esortazione Amoris laetitia.
In entrambi gli ambiti si osserva di fondo una certa composizione con la modernità liberale.
Il messaggio trasmesso può, al massimo, essere considerato meno chiaro rispetto a un insegnamento o a un messaggio liturgico precedenti.
E in entrambi gli ambiti tale regressione è consentita da uno stesso procedimento formale: nell'ambito dottrinale l'uso di un "insegnamento pastorale" invece di un magistero dogmatico o in ogni caso di un insegnamento fondato sul dogma; nell'ambito del culto, l'elaborazione di ciò che potremmo considerare "liturgia pastorale" che comporta degli obblighi molto flessibili, che aprono infinite possibilità di scelta, lasciando largo spazio alla libera volontà degli attori.
Si tratta insomma, per fare riferimento al "pensiero debole" di Gianni Vattimo, di una liturgia debole, eco di un magistero debole, corrispondenti entrambi alle attese della modernità che rifiuta sia gli obblighi assoluti del Credo che quelli di un rito imperativo ancorato al Credo.

Abbé Claude Barthe


NOTE
[1] Cfr. Enrico Maria Radaelli, in Il domani – terribile o radioso? – del dogma, Milano 2013, pp. 21, 24.
[2] Risposte della Commissione dottrinale, del 6 marzo 1964 e 16 novembre 1964; discorso di Paolo VI, del 7 dicembre 1965 e 12 gennaio 1966.
[3] Si ricorda che, invece, il magistero infallibile richiede di ritenere o di accogliere fermamente le verità che propone (professione di fede, 9 gennaio 1989).
[4] Vedi Martin Mosebach, La liturgie et son ennemi, Mora Decima, 2005.
[5] Pierre Jounel, Les oraisons du propre des saints dans le nouveau missel, in La Maison–Dieu, 1° trimestre 1971 (105), p. 182.
[6] Hans Küng, Le Concile épreuve de l'Église, Seuil, 1963; Louis–Marie Chauvet, Le "sacrifice" en christianisme. Une notion ambiguë, in Le sacrifice dans les religions, a cura di Marcel Neusch, Beauchesne, 1994, pp. 139–155.
[7] Si può interpretare il tema dell'"inversione sacrificale" con il cristianesimo secondo René Ginard in Des choses cachées depuis la fondation du monde (Grasset, 1978), come derivante da un certo imbarazzo di fronte alla teologia sacrificale e che cerca di esonerare il cristianesimo da questa nozione che lo capovolgerebbe.
[8] Odon Casel, Faites ceci en mémoire de moi, Cerf, 1962; Jacques Maritain, Quelques réflexions sur le sacrifice de la messe, in Nova et Vetera, gennaio 1968, pp. 1–36; Bernard Sesboüé, che rifiuta, in Croire. Invitation à la foi catholique pour les femmes et les hommes du XXIe siècle (Droguet et Ardant, 1999) le parole "ripetizione" e "rinnovamento": fa dire solo che il sacrificio di Cristo si trova "rappresentato" o "attualizzato".
[9] lnstitutio generalis del nuovo messale romano, 2° capitolo (De generalis structurae missae), n. 7 – n. 27 nell'edizione tipica del 2002.
[10] Louis Bouyer, Eucharistie. Théologie de la prière eucharistique, Cerf, 2009, pp. 82–83.
[11] Daniel Duigou, Lettre ouverte d'un curé au Pape François, Presses de la Renaissance, 2018, pp. 19–20.

http://blog.messainlatino.it/2019/05/abbe-claude-barthe-la-riforma-liturgica.html
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Riverrun, past Eve and Adam's, from swerve of shore to bend of bay, brings us by a commodius vicus of recirculation back to Howth Castle and Environs

Finnegan

VETUS ORDO, NOVUS ORDO: CONFERENZA DI PETER KWASNIESKI

Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, un amico del nostro sito, Vincenzo Fedele, ha voluto con generosità tradurre e mandarci per la pubblicazione il testo di una conferenza che Peter A. Kwasniewski, uno scrittore e compositore cattolico americano, ha tenuto tre anni fa negli USA sul tema dei due riti presenti adesso nella Chiesa. È un testo lungo e complesso, ma certamente sarà di grande interesse per molti dei lettori del blog. Grazie ancora al traduttore, e buona lettura.

§§§
"Due 'forme' di rito romano: fatto liturgico o Fiat canonico?"- Testo completo della Norwalk Lecture del Dr. Kwasniewski

Nel giugno 2017 ho tenuto una conferenza a St. Mary's a Norwalk, Connecticut, sull'incoerenza intellettuale e storica della nozione di "due forme (uguali)" del Rito Romano. Dato il rapido progresso che è stato fatto nelle discussioni liturgiche negli ultimi tre anni, con molte più persone che ora assistono alla tradizionale messa in latino e vedono di persona la verità delle parole di Mosebach: "Nessuno che abbia occhi e orecchie sarà persuaso a ignorare quello che gli dicono i suoi sensi: queste due forme sono così diverse che la loro unità teorica appare del tutto irreale "- Ho deciso di mettere a disposizione la trascrizione della conferenza e ho scelto questa data, il 14 settembre, per i motivi simbolici che si potrebbero dedurre . Il testo seguente è stato riscritto per essere incluso come capitolo in un libro di prossima uscita con il titolo provvisorio:"Pass on Real Gold, Not Counterfeit": The Immemorial Roman Mass e Fifty Years of Rupture, che spero apparirà da Arouca Press nel 2020.

Due "forme" del rito romano: fatto liturgico o fiat canonico?

Peter A. Kwasniewski

Ogni cattolico nel mondo – che lo sappia o no – è debitore a Papa Benedetto XVI per aver "liberato" la tradizionale messa latina con il motu proprio Summorum Pontificum. Possiamo lamentarci di varie cose che Papa Benedetto non ha fatto che riteniamo avrebbe dovuto fare, ma non dobbiamo mai mancare di essere grati per i passi coraggiosi che ha compiuto, in questioni in cui quasi l'intera gerarchia della Chiesa si è opposta a lui. Era profondamente contro la sua natura imporre qualcosa che non sarebbe stato gradito almeno da un gran numero, e in questo atto rimase quasi solo. Il motu proprio ha fatto fiorire innumerevoli fiori, innumerevoli frutti da raccogliere. In questa conferenza, non vengo né per lodare né per seppellire papa Benedetto, ma piuttosto per esaminare un presupposto operativo del motu proprio:

che il Missale Romanum del 1969 (il "Novus Ordo") di Paolo VI è, o appartiene, allo stesso rito del Missale Romanum codificato l'ultima volta nel 1962, o, più chiaramente, che il Novus Ordo può essere chiamato "il rito romano" della Messa.

Questo, sostengo, non può resistere a un esame critico.

Sebbene mi riferirò principalmente al messale romano e alla Messa, la mia argomentazione si applicherebbe, mutatis mutandis, ai riti degli altri sacramenti, alle benedizioni e ai rituali, e all'Ufficio divino e al suo sostituto, la Liturgia delle Ore.

In via preliminare, dovremmo definire i termini "rito" e "uso", poiché giocano un ruolo preminente in qualsiasi interpretazione del Summorum Pontificum. [1]

A parte i rarefatti circoli liturgici, pochissimi cattolici parlano mai di "usi". Tendiamo a dire "rito" di una miriade di fenomeni diversi:

(1) una famiglia di liturgie correlate, come quando diciamo "il rito romano include l'uso Sarum";

(2) un membro specifico di quella famiglia, come quando diciamo "il Messale di Pio V contiene il rito romano della Messa" o "il rito domenicano sta tornando oggi";

(3) qualsiasi servizio liturgico particolare, come quando parliamo di "rito del battesimo" o "rito della confermazione".

Questi modi di parlare sono applicazioni analoghe della parola ritus,che originariamente significava semplicemente "cerimonia", soprattutto di tipo religioso. [2]

La distinzione tra "rito" e "uso" non è mai stata stabilita ufficialmente dalla legge della Chiesa, ma siamo su un terreno sicuro se prendiamo "rito" come il più ampio dei due termini, riferendosi a una costellazione di liturgia, dottrina, spiritualità , storia, cultura, lingua e diritto propri di una certa chiesa.

Un "uso", d'altra parte, è una variazione o una tradizione locale all'interno di un certo rito. Ad esempio, nel rito bizantino c'è la tradizione greca e la tradizione slava, che differiscono notevolmente nelle loro caratteristiche, ma entrambe sono chiaramente bizantine, come vediamo nella loro adesione alle Divine Liturgie di San Giovanni Crisostomo e San Basilio il Grande e la liturgia dei doni presantificati. Nella sfera occidentale o latina del cristianesimo, la storia ha conosciuto una varietà di usi che possono essere considerati varianti del rito romano (in senso lato), come l'uso di Sarum, l'uso di Lione, l'uso di Braga e gli usi di ordini religiosi come i cistercensi, i certosini e i domenicani. [3] Si potrebbe paragonare un rito a una specie di fiore e un uso a un varietale, o forse una variazione di colore dovuta al suolo.

Per identificare un certo uso come appartenente al rito romano è sufficiente verificare che in esso siano presenti le caratteristiche essenziali del rito romano. Ciò includerebbe la struttura dell'Ufficio Divino e la struttura dell'Ordo Missae (non solo il Canone, ma anche l'Introito , il Kyrie, il Gloria, la Colletta, l'Epistola, il Graduale, l'Alleluia, ecc.). Con varianti minori – di solito dell'ordine, piuttosto che del testo – la maggior parte del materiale sarà la stessa dall'uso all'uso. [4] Chi esamina ogni singolo Messale o antifonario di ogni uso del rito romano troverà l'Introito "Ad te levavi" la prima domenica di Avvento, "Populus Sion" sul secondo, e così via, e tutti con melodie di canto molto simili. Inoltre, ammesso che vi fossero molti accenti regionali o tocchi di colore locale, è ovvio che la dottrina, la spiritualità, la storia, la cultura, la lingua e la legge distintive della chiesa romana permeano tutti questi usi liturgici in tutta l'Europa occidentale.

Quando i tradizionalisti parlano oggi di "rito romano", comunemente intendono l'uso della curia romana che costituì la base del Messale di Papa San Pio V. Nel resto di questo capitolo, "rito romano" si riferirà quindi al uso della corte papale che fu esteso a tutto il mondo cattolico dalla Bolla "Quo Primum"del 1570, attuando gli auspici del Concilio di Trento, e che, per questo motivo, viene spesso chiamata liturgia "tridentina", l'adozione della quale era obbligatoria in qualsiasi contesto in cui non potesse essere dimostrato un uso liturgico distintivo di almeno 200 anni.

Il problema

Ora, siamo tutti consapevoli che Papa Benedetto ha affermato, o stabilito, o proposto, nel Summorum Pontificum e nella sua lettera di accompagnamento ai vescovi, "con grande fiducia", che ci sono "due forme" di rito romano e che la forma più nuova è in continuità con la forma più vecchia. Parla anche di un "duplice uso dello stesso rito" e "due usi dell'unico rito romano". Ha detto, inoltre, che "non c'è contraddizione tra le due edizioni del Messale Romano. Nella storia della liturgia c'è crescita e progresso, ma nessuna rottura ".

A cosa corrisponde effettivamente questa pretesa di unità e continuità? Può essere sostenuta?

Vorrei iniziare affermando l'ovvio. Mai prima d'ora nella storia della Chiesa romana ci sono state due "forme" o "usi" dello "stesso" rito liturgico locale, simultaneamente e con uguale status canonico. Che Papa Benedetto abbia potuto dire dire che l'uso più vecchio non era mai stato abrogato "dimostra"che la liturgia di Paolo VI è qualcosa di nuovo, piuttosto che una semplice revisione dei suoi precursori- come i progressisti ci volevano far credere che fosse, ma di una nuova versione di quello che è venuto prima; anzi, Paolo VI sembrava pensare che il nuovo "Missale Romanum" dovesse sostituire il vecchio "Missale Romanum", così come ogni precedente edizione dal 1570 era stata sostituita da ogni successiva "promulgata editio typica" (come, ai nostri tempi, quella del 1920 fu sostituita da quella del 1962 [6]).

Quando Benedetto XVI ha riconosciuto che l'ex Messale non era mai stato abrogato e che il suo uso può essere continuato "ad libitum", ha intensificato la identificazione di Paolo VI con un autocrate: mai prima un papa aveva osato cambiare il rito romano a tal punto che poteva essere trattata da un papa successivo come se, a tutti gli effetti, fosse una nuova liturgia, non una revisione o una nuova edizione della stessa. Il dottor Joseph Shaw fornisce un argomento, basato sul linguaggio del motu proprio, per una decisiva messa al tappeto:

La Messa tradizionale è chiamata "antica [precedente, più vecchia] tradizione liturgica ": "traditio liturgica antecedens" (dall'articolo 5). Questa tradizione non è "espressa" dal Novus Ordo; se lo fosse, le persone attaccate ad esso sarebbero attaccate al Novus Ordo, che non è il senso del concetto. Al contrario, sembra che questa sia una tradizione liturgica "diversa": ce ne sono due, infatti, una più antica e una più nuova. Il fatto che ci sia qualche differenza importante tra la tradizione più antica e il Novus Ordo è sottinteso in modo ancora più evidente dall'affermazione del "Summorum Pontificum"che il Messale del 1962 non è mai stato abrogato (numquam abrogatam,Articolo 1). Normalmente ogni edizione del Messale Romano è sostituita dalla successiva; che questo fosse accaduto al Messale del 1962 era un argomento molto comune fatto dai canonisti prima del 2007, e questo era il motivo per cui si supponeva che le celebrazioni dello stesso richiedessero un indulto o un permesso speciale. "Summorum Pontificum" dice che questo "non è" accaduto. La spiegazione non è esplicitata nel documento, ma è abbastanza chiara: il Messale del 1970 non è semplicemente una nuova edizione del Missale Romano come tutte le precedenti (e, appunto, successive). È successo qualcosa di diverso: si trattava di un nuovo Messale, nel senso di un nuovo inizio, una nuova tradizione, e quindi non ha sostituito ed escluso ("abrogato") il precedente Messale. [7]

Si fa una smorfia al palpabile ossimoro di una "nuova tradizione", una nozione filosoficamente incoerente. [8]

Così, mentre Benedetto afferma che non ci sono contraddizioni e rotture, allo stesso tempo e in modo sorprendente, ammette la coesistenza di "due" forme canonicamente uguali dello stesso rito liturgico: una situazione senza precedenti e, per molti versi, incomprensibile. Come abbiamo visto, ci sono sempre stati molti "usi" diversi nella Chiesa latina, ma che l'uso di Roma dovrebbe essere così raddoppiato non si è mai visto prima. Può essere paragonato a un caso di disturbo dissociativo dell'identità o schizofrenia.

In realtà, come mons. Klaus Gamber ha sostenuto tanti anni fa in un libro lodato dal cardinale Ratzinger,[9] il rito moderno "non può" essere considerato come il rito romano o un suo uso, a prescindere da come lo voglia chiamare Paolo VI, Benedetto XVI o chiunque altro. Per svelare il significato di questa affermazione sarà necessaria una critica del modo inadeguato di teologizzare sulla liturgia che ha dominato l'Occidente per diversi secoli e ci ha impedito di riconoscere i nostri errori, pentirci delle nostre follie e ripristinare le nostre tradizioni autentiche.

Riduzionismo neoscolastico

La principale obiezione che può essere sollevata a qualsiasi pretesa di rottura tra il rito classico e il rito moderno sarà più o meno questa: "Tutte le differenze che stai indicando sono accidentali; dopotutto, se la consacrazione avviene, è il sacrificio di Cristo, e il resto è una vetrina ". Spesso riassunta nella banale affermazione "La Messa è la Messa, dopotutto", questa obiezione si fonda su una riduzione neoscolastica della liturgia eucaristica al momento della consacrazione. Questo riduzionismo astorico e razionalistico merita di essere rifiutato perché respinge il ruolo costitutivo della tradizione storicamente articolata nell'auto-rivelazione di Dio all'umanità. [10]Vizia ogni nozione di famiglie identificabili di riti derivati da chiese apostoliche, con testi, canti, gesti e cerimonie venerabili, tramandati all'interno di tradizioni teologiche, spiritualità e usanze irriducibilmente distinte che interpretano, arricchiscono e contestualizzano l'offerta sacrificale mentre istruisce e nutre i fedeli che vi prendono parte. "Tutto questo" – i riti, il loro contenuto specifico, la comprensione e il modo di vivere che li accompagna – meritano rispetto e conservazione religiosi, nel rispetto dei nostri predecessori e nella carità per noi stessi e per i nostri discendenti.

Nelle parole di Joseph Ratzinger:

Il "rito", quella forma di celebrazione e di preghiera che è maturata nella fede e nella vita della Chiesa, è una forma condensata di Tradizione vivente in cui la sfera che usa quel rito esprime tutta la sua fede e la sua preghiera, e quindi allo stesso tempo la comunione tra le generazioni diventa qualcosa che possiamo sperimentare, comunione con le persone che pregano prima e dopo di noi. Così il rito è qualcosa di benefico che viene dato alla Chiesa, una forma vivente di "paradosis" , la trasmissione della Tradizione.[11]

Il riduzionismo neoscolastico che definisce l'essenza della Messa come "avente una valida consacrazione" è una delle principali premesse del progressismo liturgico. In quasi tutte le conversazioni sul fatto e in che misura il rito della Messa possa o debba cambiare, il sostenitore della tradizione viene sfidato con: "Ma non puoi provare che il Novus Ordo [o qualsiasi liturgia sperimentale fabbricata] sia una cattiva cosa. Ha le parole di consacrazione". Se si adotta questa visione riduttiva della Messa, nulla rimarrà della liturgia "in quanto tale".

L '"essenza" sarà identificata con una particolare formula e atto di Dio, e la sostanza in cui risiede l'essenza, insieme ai molteplici accidenti mediante i quali l'essenza esprime il suo pieno significato e potere, andrà perduta. Sarebbe come definire l'uomo come il suo intelletto, piuttosto che come un composto corpo-anima di un dato sesso e di una data razza, esistente nello spazio e nel tempo. Simile alla persona umana, la liturgia è una composizione ilomorfa, non una consacrazione disincarnata. [12] Ancora una volta Ratzinger individua il problema con la sua consueta perspicacia, avvertendoci

"contro la strada sbagliata verso la quale potremmo essere guidati da una teologia sacramentale neoscolastica che è scollegata dalla forma vivente della liturgia. Su questa base, le persone potrebbero ridurre la "sostanza" al materiale e alla forma del sacramento e dire: il pane e il vino sono la materia del sacramento; le parole dell'istituzione sono la sua forma. Solo queste due cose sono realmente necessarie; tutto il resto è modificabile.... Finché ci sono i doni materiali e si pronunciano le parole dell'istituzione, tutto il resto è liberamente disponibile. Molti sacerdoti oggi, purtroppo, agiscono secondo questo motto; e le teorie di molti liturgisti vanno purtroppo nella stessa direzione. Vogliono superare i limiti del rito, come qualcosa di fisso e inamovibile, e costruire i prodotti della loro fantasia, che sono presumibilmente "pastorali", attorno a questo residuo, questo nucleo che è stato risparmiato e che quindi è relegato nel regno della magia o perde qualsiasi significato. Il Movimento Liturgico aveva infatti tentato di superare questo riduzionismo, prodotto di un'astratta teologia sacramentale, e di insegnarci a comprendere la Liturgia come rete vivente di Tradizione che aveva preso forma concreta, che non può essere lacerata in piccoli pezzi ma deve essere visto e vissuto come un tutto vivente. Chi, come me, è stato commosso da questa percezione al tempo del Movimento Liturgico alla vigilia del Concilio Vaticano II non può che stare, profondamente addolorato, davanti alle rovine delle stesse cose di cui si preoccupava".[13]

Poiché quasi tutti coloro che sono venuti al Concilio Vaticano II o che hanno lavorato per il Concilio erano stati educati su questo riduzionismo neoscolastico superficiale, si sono sentiti liberi di fare a pezzi e riconfigurare il rito romano purché siano mantenute le parole di consacrazione (più o meno ) intatte. A questo proposito vi erano tecnici di laboratorio impegnati da sempre ad ottenere il risultato di una Messa valida, ma non si sentivano eticamente legati a nessun particolare contenuto o processo. L'arroganza dei riformatori, infatti, non poteva fermarsi alla soglia del sancta sanctorum, ma arrivò addirittura a manomettere la formula della consacrazione del vino rimuovendo la frase "mysterium fidei" dall'interno, anche se queste parole furono sempre pronunciate in quel momento, fin da quando abbiamo registrazioni scritte della Messa, il che spiega perché San Tommaso d'Aquino nel XIII secolo poteva plausibilmente rivendicare per essa il pedigree apostolico. [14]

Ridurre la Messa a una valida consacrazione è come ridurre l'atto nuziale a una felice concezione di un figlio. Spero sinceramente che nessuno sia così sciocco da "definire" l'atto nuziale come la concezione di un bambino. L'atto nuziale è naturalmente "ordinato al" concepimento di un figlio, certo, ma ha una sua realtà, un suo significato, che comprende più del concepimento; è un'espressione dell'amore sponsale, che ha lo scopo di culminare in una nuova vita. Poiché, per istituzione di Dio, si suppone che la vita proceda dall'amore, "entrambe" le dimensioni – quella unitiva e quella procreativa – sono incluse nella definizione dell'atto. Se l'unico significato o valore dell'unione dell'uomo e della donna fosse uno zigote praticabile, la Chiesa non avrebbe motivo di opporsi alla fecondazione "in vitro". Allo stesso modo, la Messa è un microcosmo privilegiato di preghiera unitaria con una finalità eucaristica. La presenza della vittima sacrificale che deve essere il nostro cibo divino è concepita, per così dire, dalla liturgia nella sua totalità. Anche se la consacrazione avviene in un certo momento,[15] è stata preparata e sarà seguita da una manifestazione di amore che ci si addice per ricevere il Signore e gioire alla sua presenza. Quando ciò "non" accade, ci troviamo di fronte allo spettro di quella che potrebbe essere chiamata transustanziazione "in vitro" .

I tecnici di laboratorio, sembra suggerire Ratzinger, non solleverebbero obiezioni.

In sintesi, il problema con l'approccio riduzionista neoscolastico è che falsifica la realtà di un rito liturgico come incarnazione concreta della tradizione apostolica esistente nel corso della storia – una storia carica di significato e valore, che stabilisce una "lex credendi"cumulativa per le generazioni successive. Ai fedeli è permesso entrare in questa eredità a condizione che restino umili destinatari; il momento in cui osano presentarsi di fronte a un rito liturgico come suo maestro e possessore è il momento in cui rinunciano al diritto dei suoi frutti.

Ogni rito ha le sue caratteristiche profonde che lo rendono irriducibilmente se stesso. Nessuno si sognerebbe di definire la Divina Liturgia bizantina di San Giovanni Crisostomo "essenzialmente" una valida consacrazione, alla quale sono state attaccate una moltitudine di floride preghiere e inni per dare qualcosa da fare al popolo e ai diaconi. Allo stesso modo, nessuno con un minimo di senso potrebbe definire il rito romano della Messa a parte il Canone romano, che è la sua caratteristica distintiva, o insistere sull'inserimento di un'epiclesi esplicita quando non ne ha mai avuto uno e non ha bisogno di averne uno. Questi riti sono ciò che sono, e grazie a Dio per questo.

Cosa rende il rito romano stesso?

Senza dubbio, dobbiamo ricominciare da capo con domande migliori.

Non dovremmo chiederci: cos'è che fa accadere la transustanziazione, ma: cos'è che fa sì che una liturgia sia una liturgia "cristiana"? E ancora più importante, cosa fa sì che "questo" rito liturgico sia "esso stesso" -romano, ambrosiano, mozarabico, bizantino, siro-malabarese, ecc. – e nessun altro? Quando "queste" sono le domande che perseguiamo, troviamo ricche risposte che ci mostrano l'idoneità, la bella complessità e sufficienza, di ogni rito di derivazione apostolica, e quindi, espongono la natura anti-liturgica, anti-rituale e, in definitiva, anti-cattolica. della riforma liturgica postconciliare.

Ovviamente ci sono elementi sempre meno centrali in un dato rito; il nostro elenco potrebbe essere più lungo o più breve a seconda di quanto sia generica o dettagliata una considerazione che facciamo. Alcune cose possono appartenere all'identità centrale di un certo rito e tuttavia non essere limitate a quel rito, essendo presenti anche in molti altri riti o anche in tutti i riti cristiani tradizionali.[16] Che cosa dunque appartiene alla "personalità", l'identità o nucleo interiore, del rito romano?

Propongo almeno nove elementi cruciali: (1) il Canone Romano; (2) l'uso del latino; (3) canto gregoriano; (4) il lezionario; (5) il calendario; (6) l'Offertorio; (7) la posizione "ad orientem"; (8) parallelismo dell'azione liturgica; (9) la comunione separata del sacerdote. I primi sei sono, nel contenuto, specifici del rito romano, sebbene tutti i riti tradizionali, orientali e occidentali, abbiano le loro versioni analoghe; mentre gli ultimi tre di questi elementi, che descrivono non tanto il contenuto quanto il modo di adorare – l'orientamento verso est, il parallelismo di azione e la comunione separata del sacerdote – si trovano in "tutti"i riti liturgici tradizionali. Questi tre meritano di essere inclusi qui perché anch'essi distinguono nettamente il rito romano dal suo impostore moderno.

Mi dilungherò un po 'su ciascuno di questi elementi.

Primo e più importante, il Canone Romano, unica anafora di tutti gli usi del rito romano per 1.500 anni, che risale nei suoi elementi ai primi secoli  La connessione tra questa anafora e questo rito è così monolitica che possiamo tranquillamente formulare la regola: dove c'è il rito romano, ci sarà necessariamente il Canone romano; e – al di fuori del caso speciale della diocesi di Milano [17] – dove c'è il Canone romano, c'è il rito romano. Nessun canone romano, nessun rito romano.

In secondo luogo, l'uso della lingua latina, che iniziò nel IV secolo, quando papa Damaso prese l'importante decisione di trasferire la liturgia di Roma dal greco al latino. Invece di riferirsi a questo passaggio come alla "vernacolarizzazione" della liturgia (come fanno tendenziosamente i liturgisti moderni [18]), sarebbe molto più accurato chiamarlo "occidentalizzazione" o anche "romanizzazione" della liturgia, quando ha cessato di essere legato al mondo greco antico ed è stato saldamente impiantato nel mondo romano poiché si era sviluppato in contraddizione con l'Oriente. [19]Da questo momento in poi, le liturgie occidentali rimarranno in latino per oltre 1.500 anni, come si conviene a una cultura e una civiltà che hanno sempre mantenuto un'unità fondamentale nella sua meravigliosa varietà. (Così parliamo in modo significativo delle lingue "romanze" e dell'America "latina".) L'uso di un'unica lingua di culto in tutta la sfera del cattolicesimo romano rifletteva la sua unità e la influenzava continuamente: esprimeva una vera comunanza e dava la propria impronta alle persone ovunque vivevano e qualunque volgare parlassero. [20]

Terzo, la "veste" liturgica del canto gregoriano, che non è una semplice aggiunta o ornamento, ma la liturgia cantata, la liturgia nei toni, nei ritmi e nelle cadenze. Il canto sta alla liturgia come ossa delle sue ossa, carne della sua carne. I canti propri e ordinari scandiscono la forma del rito, ne riempiono il contenuto, ne sostengono la spiritualità e ne garantiscono la sostanziale continuità da un'epoca all'altra della Chiesa. Senza la presenza non negoziabile del canto gregoriano nella liturgia cantata, e senza un corpo identificabile e stabile di testi cantati per Introiti, Graduali, Alleluie, Trattati, Offertori e Comunioni, possiamo tranquillamente concludere che non stiamo più seguendo il Romano rito. [21]

Quarto, il ciclo di letture, vale a dire le lezioni e i vangeli della Messa. [22] Questo è un argomento su cui molto è stato scritto negli ultimi anni; qui è sufficiente notare che il lezionario romano, venerabile nella sua antichità e universalità quasi quanto il Canone romano, fu soppiantato dalla novità di un lezionario pluriennale costruito da "esperti" per il Messale di Paolo VI. Il vecchio e il nuovo lezionario hanno pochissima sovrapposizione, come ha dimostrato Matthew Hazell .

Quinto, il calendario, con i suoi particolari gruppi di santi romani e il suo ritmo di domeniche, giorni santi, giorni di brace e di rogazione, veglie, ottave e stagioni, tra cui Epifanitide, Settuagesimatide, Passione, Ascensione, gli otto giorni di Pentecoste e La domenica dopo la Pentecoste. È vero che il calendario ha avuto uno sviluppo lungo, ma non c'è dubbio che si sia sviluppato organicamente in certi modi tipicamente romani, che erano sempre stati conservati fino a quando varie riforme del XX secolo hanno mutilato il calendario quasi riconoscimento del passato, a cominciare dall'abolizione della maggior parte delle ottave e delle veglie di Pio XII nel 1955 e si conclude con l'imposizione di un nuovo calendario nel 1969.[23]

Sesto, il grande Offertorio della Messa, che ebbe origine nel Medioevo (la sua preghiera più antica, Suscipe, Sancta Trinitas, essendo apparsa nel Sacramentario di Echternach dell'895 d.C.). Con "Offertorio" qui intendo ovviamente un vero e proprio Offertorio caratterizzato dalla prolepsi  [24] in cui l'immolazione sacramentale della vittima è anticipata in un linguaggio oblativo che mette da parte i doni solo per uso sacro e stabilisce fermamente l'intenzione del sacerdote di offrire un sacrificio espiatorio per l'onore e la gloria della Santissima Trinità. Prese "in blocco" , le preghiere dell'Offertorio Romano sono uniche. [25]L'autentico offertorio romano è profondamente in accordo con il genio del rito ed è stato universalmente accolto e mantenuto inflessibilmente. Alla luce del principio dello sviluppo organico, può essere paragonato a un ramo innestato con successo in un albero in modo che perda ogni estraneità e diventi una parte importante dell'organismo fiorente. La sua rimozione nel 1969 non fu come un taglio di capelli ma come l'amputazione di un braccio o di una gamba; la sua sostituzione – una presentazione quasi ebraica di doni, in cui vengono richiamate alla mente le loro origini divine, naturali e umane, e il popolo risponde con una generica acclamazione – è come nulla si è mai visto nella storia liturgica cristiana.

Settimo, la posizione "ad orientem". Non abbiamo modo di sapere quanto presto questa posizione sia diventata normativa, ma sappiamo che nel momento in cui la Chiesa è emersa dalla persecuzione a favore dello Stato romano, era diventata una pratica universale in Oriente e in Occidente, cosa che non sarebbe mai potuta accadere se non fosse di origine apostolica, come affermavano i Padri della Chiesa. [26] Appartiene alla configurazione originaria di tutti i grandi riti storici del cristianesimo. Senza di essa, una liturgia non è più in effettiva continuità con la tradizione apostolica, per quanto possa godere di una validità tecnica del tipo riduttivo accennato in precedenza.

Ottavo, parallelismo dell'azione liturgica. Proprio come l'orientamento verso est si trova in tutte le liturgie della cristianità orientale e occidentale, lo è anche la presenza di azioni simultanee su più livelli da parte di diversi ranghi di clero e laici. Poiché la liturgia è un atto di Dio nell'uomo e dell'uomo verso Dio, piuttosto che un'attività umana diretta al popolo, le sue preghiere e i suoi rituali spesso non sono destinati ad essere visti o ascoltati dalla congregazione, ma sono offerti direttamente a Dio. La liturgia tradizionale non è lineare, discorsiva e modulare, ma circolare, intuitiva e organica. C'è una progressione dall'inizio alla fine, ma è il progresso di un popolo differenziato verso una città celeste, cioè l'immagine di una società gerarchica che si muove verso il suo esemplare. Il rito moderno è sequenziale, come un'agenda per un incontro di lavoro (in altre parole, di solito si suppone che accada solo una cosa in un dato momento e l'attenzione di tutti dovrebbe essere fissata su di essa); il rito classico costruisce strati su strati di azioni, fatte per gli occhi e le orecchie di Dio.[27] Quello è un cerchio chiuso, razionale e prolisso, in cui qualcuno è sempre responsabile; l'altro è eccentrico, estatico, super-razionale, in cui molti sono impegnati nel loro lavoro e nessuno si oppone al gruppo.

Nono, la comunione del sacerdote prima e in modo cerimonialmente differenziato da quella del popolo. La sua comunione è "richiesta" per il completamento del sacrificio; la gente è desiderabile ma facoltativa. Ancora una volta vediamo lo stesso tipo di distinzione tra comunione clericale e comunione laicale in tutti i riti tradizionali. Esprime la verità dogmatica che il sacerdote agisce in persona "Christi capitis" in virtù di un carattere sacramentale del sacerdozio che lo distingue gerarchicamente al di sopra dei semplici battezzati. [28]

Va da sé che una liturgia è molto più di una raccolta di testi in un libro, la cui ortodossia dottrinale si potrebbe valutare in un vuoto filosofico. Una liturgia comprende le melodie del canto i cui i testi sono stati cantati, secolo dopo secolo; include paramenti, cerimonie, gesti, posture, azioni. Ad esempio, la celebrazione della liturgia "ad orientem" fa parte della sua natura, parte dell'insieme di simboli che costituiscono il rito; non è un incidente superficiale, indifferente. Una liturgia "versus populum" sarebbe una liturgia diversa anche se i testi fossero gli stessi.

Il rito moderno non è il rito romano

Ora, non può sfuggire a nessuno che, in relazione a tutti gli elementi precedenti, il rito moderno di Paolo VI è un sorprendente allontanamento dal rito romano. È "possibile" che venga celebrato in un modo che segue alcuni dei precedenti del rito, ma è altrettanto possibile che venga celebrato in un modo che è in contrasto con "tutti" loro. Un grandissimo numero di celebrazioni, certamente la stragrande maggioranza, sono in contrasto con la tradizione romana, perché

– il Canone Romano non viene utilizzato;

– La messa non è offerta in latino;
– i testi liturgici non vengono recitati o cantati; ad esempio, le Proprie e l'Ordinario sono assenti, mutilate o consegnate in modo non coerente con le loro origini;
– si impiega il lezionario pluriennale, che novità di novità;
– viene seguito un calendario fortemente ridotto;
– manca l'offertorio tradizionale;
– La messa non è detta "ad orientem";
– la liturgia è sequenziale, segno sicuro dell'influenza del razionalismo illuminista;
– le comunioni del sacerdote e dei fedeli sono fuse.

I fautori del "mutuo arricchimento" o della "Riforma della riforma" potrebbero obiettare che sto raffigurando lo scenario peggiore. Sicuramente, se il Novus Ordo fosse celebrato "ad orientem" con il Canone Romano e cantato Ordinario e Propri, non avremmo un rito che sia riconoscibilmente romano? La mia risposta è che avrebbe "alcune" delle apparenze del rito romano, ma non l'essenza interiore, per due ragioni. In primo luogo, favorirebbe ancora il sequenziale rispetto al parallelo, mancherebbe ancora un vero e proprio Offertorio, e seguirebbe ancora sia un nuovo calendario che un lezionario romanzato. In secondo luogo, e soprattutto, raggiungerebbe queste apparenze di continuità solo per mezzo della "scelta" del celebrante. Cioè, la sua continuità sarebbe "voluta" come possibile realizzazione piuttosto che ricevuta come necessaria regola di preghiera. In questo modo l'azione liturgica resta il prodotto volontaristico dei suoi fruitori, anche se i suoi "esterni" sono stati mutuati dalla tradizione romana con gusto impeccabile. Si potrebbe anche trattare questo argomento in un modo leggermente diverso: poiché il messale moderno consente non solo il Canone romano ma anche forme di vita aliene come le "Preghiere eucaristiche per la riconciliazione", dobbiamo giudicare il messale moderno dalle deviazioni che ufficialmente consente, non per l'illusione della continuità che può sostenere nelle mani generose degli oratoriani. Questa è semplicemente un'applicazione del proverbio secondo cui una catena è forte solo quanto il suo anello più debole.[29]

Un altro modo di vedere la stessa verità è esaminare il materiale eucologico dei messali, in particolare il contenuto delle orazioni (raccolte, segreti e postcomunioni). Secondo uno studioso, solo il 17% delle orazioni del vecchio "Missale Romanum" è sopravvissuto immutato nel messale di Paolo VI. Riflettiamo un momento. Se il mio corpo avesse perso il 20% delle sue parti, potrei essere ancora vivo, purché quelle parti fossero arti esterni; ma se il mio corpo perdesse l'83% delle sue parti, non esisterei più. Una liturgia che ha perso l'83% del suo materiale eucologico non è più lo stesso rito del suo predecessore; è un'entità diversa. Oppure si potrebbe argomentare dall'analogia del DNA. Niente in un rito liturgico è semplicemente "esterno", non più di quanto il viso, la voce o il colore della pelle di una persona siano semplicemente esterni. Queste cose sgorgano dal nostro DNA, che trasporta le istruzioni dettagliate con cui sono prodotte. [30] Se facessimo un profilo forense del DNA delle "due forme" del rito romano, troveremmo che sono gemelli fraterni? Un tribunale potrebbe stabilire la parentela?

Inoltre, non farebbe differenza anche se ogni preghiera incorporata di recente nel Novus Ordo fosse stata presa alla lettera da qualche antico sacramentario. (Naturalmente, non è così: quasi nulla è stato lasciato inedito, il linguaggio "negativo" o "difficile" è stato sistematicamente rimosso o smorzato e molti elementi particolari sono stati fabbricati da zero. Ma assumiamo la premessa per amore dell'argomentazione). Ci sarebbe "ancora" rottura e discontinuità con la Chiesa in preghiera, con la Chiesa reale incarnata così come esisteva ed esiste, con la sua "lex orandi",con le attuali disposizioni dello Spirito Santo. Ci sarebbero ancora le devastazioni di un antiquarismo artificioso e arbitrario; ci sarebbe ancora il rigetto della liturgia maturata nella vita di fede della Chiesa. Anche in questo scenario migliore, potremmo condannare una riforma come inappropriata, non cattolica, non tradizionale, non romana. Quello che è successo nel mattatoio del Concilio è stato, in realtà, quasi lo scenario peggiore, non il migliore.

A questo punto, potremmo anche "tirare un Michael Davies" e fare appello al fatto ben documentato che coloro che erano più strettamente coinvolti nella riforma liturgica non hanno fatto alcun tentativo di nascondere la loro gioia (Bugnini, Marini, Braga, Gelineau, et al. .) o il loro dispiacere (Bouyer, Martimort, Antonelli) per il ritiro e la sostituzione del rito romano classico, mentre coloro che hanno amato profondamente questo rito (Lefebvre, Gamber, Dobszay, et al.) hanno deplorato l'evidente rottura e discontinuità dei nuovi libri liturgici. Martin Mosebach commenta:

Nessuno che abbia occhi e orecchie sarà persuaso a ignorare ciò che i suoi sensi gli dicono: queste due forme sono così diverse che la loro unità teorica appare del tutto irreale. È mia esperienza che i pro e i contro della "riforma di massa" nella Chiesa in realtà non possono essere discussi in modo spassionato. Le parti opposte su questa questione si sono a lungo affrontate con risolutezza altrettanto inconciliabile e fissa: non si può discutere. Chi si rifiutava di accettare che quello che era stato "tutto" adesso non fosse più "niente" formava un minuscolo cerchio: nelle parole del teologo Karl Rahner si trattava di "tragicomici fallimenti umani periferici". Furono presi in giro e allo stesso tempo considerati altamente pericolosi.[31]

Mettere a letto il mito

Questo per quanto riguarda il mito delle "due forme di un rito romano". [32] Quando i cattolici romani assistono al Novus Ordo, ricevono una messa, ma non la messa di rito romano. Stanno ottenendo quello che Klaus Gamber chiamava "il rito moderno", la cui genesi e portata sono ben descritte dal liturgista John F. Baldovin:

L'attuazione della riforma, sotto la tutela di Bugnini e coinvolgendo decine di esperti nel campo della storia, della teologia e della pratica pastorale, ha portato alla completa vernacolarizzazione della liturgia, al riorientamento del ministro presiedente nei confronti dell'assemblea, un ampia e radicale riforma dell'ordine della Messa, e una profonda revisione dell'anno liturgico, per non parlare di una revisione completa di ogni liturgia sacramentale e della preghiera liturgica quotidiana.[33]

Vale la pena notare che Baldovin non è affatto un oppositore della riforma, quindi non intende, in modo polemico, esagerare i cambiamenti postconciliari. Le sue ricerche supportano l'affermazione letta in conferenza stampa il 4 gennaio 1967 dal già citato Annibale Bugnini:

Una riforma del culto cattolico non può essere realizzata in un giorno o in un mese, né in un anno. Non si tratta semplicemente di ritoccare, per così dire, un'opera d'arte inestimabile; in alcune zone, interi riti devono essere ristrutturati "ex novo". Certamente questo comporta il ripristino, ma alla fine lo chiamerei quasi un rifacimento e in certi punti un nuovo creare. Perché un lavoro così radicale? Perché la visione della liturgia che il Concilio ci ha dato è completamente diversa da quella che avevamo prima. . . . Non stiamo lavorando a un pezzo da museo, ma miriamo a una liturgia viva per le persone vive dei nostri tempi.[34]

La mentalità al lavoro è opportunamente infilzata da Louis Bouyer: "Se c'è una fantasia che assorbe noi moderni, è quella del puro futuro. Ci piacerebbe credere che il futuro, un futuro libero e creativo, è tutto, e per entrarci siamo preparati allegramente a sacrificare tutto il nostro passato ". [35] O, come il vescovo Robertus Mutsaerts di Hertogenbosch ha detto più succintamente: "Vogliamo essere rilevanti, apparentemente, a scapito della nostra identità".[36]

Indipendentemente dal fatto che sia "simpatico" o "antipatico"questo moderno rito, dovremmo almeno accettare di non chiamarlo il rito romano. Definire qualcosa che è, che non è un abuso di linguaggio, che deriva da un abuso di potere e lo perpetua ulteriormente. [37] Chiamare qualcosa ciò che non è, rafforza solo la mentalità relativistica della nostra epoca, che ritiene che ciò che può essere "pronunciato" corrisponda a qualcosa di reale. Uno è nutrire l'illusione che il potere di pronunciare le parole "2 + 2 = 5" renda vera l'affermazione! [38] Come afferma il filosofo Charles De Koninck:

Si possono dire e scrivere cose che non si possono pensare. Si può dire: "È possibile essere e non essere nello stesso tempo e nello stesso rispetto"; "La parte è maggiore del tutto", sebbene non si possano pensare cose del genere. Tuttavia, sono frasi grammaticalmente corrette. Potere trascendente del linguaggio: si può dire sia il pensabile che l'impensabile ... Posso dire: "Io non esisto". E con questo, posso trovare "io esisto" sul puro non essere. Lo dico io! Chi mi fermerà? [39]

Vediamo quanto sia reale ed esteso il danno causato dalla mentalità del riduzionismo neoscolastico. È l'unica atmosfera in cui potrebbe essere nata l'impresa oltraggiosa di creare un rito moderno negli anni '60. La stessa mentalità si è, nel tempo, propagata anche ad altri ambiti della vita cattolica. Ad esempio, il fatto che la gente oggi si chieda se adulteri e sodomiti possano ricevere la Santa Comunione, come se la risposta non fosse già ovvia dalla tradizione cattolica, mostra che la Santissima Eucaristia è stata ridotta nella mente di molti a un mero segno di appartenenza, derrata alimentare. per la "tavola dell'abbondanza", non un mistero soprannaturale che richiede il pieno impegno della propria mente, cuore, anima e forza per Gesù Cristo realmente presente, contro il quale si pecca mortalmente ricevendolo indegnamente. [40] Tale riduzionismo morale e disciplinare non sorprende, tuttavia, sullo sfondo dell'ondata di riduzionismo liturgico precedente, il cui "figlio manifesto" è la rimozione dal nuovo lezionario dell'avvertimento di san Paolo contro le comunioni indegne in 1 Corinzi 11 : 27–29, che, al contrario, era e viene letto almeno tre volte all'anno nel tradizionale rito romano. [41] La nostra epoca ha fornito una dimostrazione quasi scientifica dell'assioma "lex orandi , lex credendi, lex vivendi.

È più che mai necessario che i cattolici lavorino per due grandi beni che stanno o cadono insieme: il recupero di una sana teologia eucaristica e il ristabilimento dell'attuale rito romano della Messa. [42] Buona teologia e liturgia autentica lavorano insieme per svelare agli occhi della fede la presenza di Nostro Signore Gesù Cristo in "tutta" la liturgia e, soprattutto, nel miracolo dell'ostia e del calice, in modo che i cattolici possano sperimentare ancora una volta la terribile bellezza e la gioia stimolante di comunione eucaristica, e si adopererà per ordinare le nostre vite e le nostre società secondo le Sue esigenze.

Positivismo contro tradizione

Il divario fondamentale oggi è tra una comprensione positivistica e una comprensione tradizionale di ciò che è la liturgia e di ciò che la costituisce "come" liturgia. Se adotti il positivismo, puoi ingoiare il Novus Ordo o qualsiasi cosa ti venga lanciata, purché sia fatta dalla cosiddetta "autorità legittima". Se aderisci alla tradizione, come dovrebbero fare i cattolici per definizione, non sarai mai in grado di accettare il Novus Ordo come un uso legittimo del rito romano, anche se dovrai soffrirne per adempiere al tuo obbligo di Messa.

Una volta ho visto un cartellone pubblicitario lungo un'autostrada. Aveva i nomi di un gruppo di denominazioni cristiane stampati dappertutto in lettere più piccole, e poi nel mezzo, a grandi lettere: "Qual è il vero Gesù?" (Evidentemente, il numero verde aveva lo scopo di metterti in contatto con il vero Gesù, o almeno con coloro che presumevano di parlare per Lui.) Poi ho iniziato a pensare a un cartellone simile che avrebbe avuto su un mucchio di riti liturgici, antichi, nuovi e immaginari, con "Qual è la vera liturgia?" stampato su di esso. Non abbiamo un numero verde da chiamare, quindi come facciamo a sapere qual è la vera liturgia? Come potremmo saperlo, a parte la tradizione? Anche il papato è qualcosa contenuto e tramandato dalla Tradizione. Se una liturgia non è riconducibile passo dopo passo in secoli di graduale sviluppo, possiamo riconoscerla come una rottura, un costrutto, un'impostura, non una vera liturgia nel pieno senso della parola.

Sebbene sia ancora sussurrata piuttosto che proclamata ad alta voce, questa valutazione negativa sta diventando sempre più diffusa tra i cattolici premurosi – che stanno agendo in base a essa. Ad esempio, il numero di luoghi che sono tornati silenziosamente alla Settimana Santa precedente al 1955 è un aumento sorprendente che si poteva a malapena immaginare dieci o quindici anni fa. Il Summorum Pontificum ha avviato una riforma i cui principi logici ricondurranno a prima dei tempi di Pacelli e Bugnini.

Dobbiamo, infatti, tornare indietro. A differenza della modernità, il cristianesimo non si basa sulla presunta verità evidente che dobbiamo sempre "andare avanti". La fede cristiana è una tensione permanente tra, da un lato, la memoria – hoc facite in meam commemorationem, indugiando sulla vita di Nostro Signore ed entrando nei misteri transtemporali della sua vita reale, incarnata, storica, preservando ad ogni passo il nostro legame con ciò che è stato tramandato – e, d'altra parte, guardando avanti non a un futuro fatto dall'uomo ma alla seconda venuta di Cristo dall'Oriente. La nozione moderna di progresso è estranea al cristianesimo, persino antitetico ad esso. Come credenti, ci sforziamo sempre di essere "uguali" al nostro passato, di esserne umili e riconoscenti eredi; non siamo "migliori" del nostro passato, non dobbiamo mai pensare di essere migliori, altrimenti saremo colpevoli del peccato di orgoglio. Allo stesso tempo, ci sforziamo di prepararci per la venuta del Signore e l'istituzione di nuovi cieli e di una nuova terra, che è la "Sua" prerogativa, non il "nostro"prodotto. Questa continua preparazione o ricettività mediante la quale permettiamo che il suolo della nostra anima sia coltivato e seminato con la donazione della fede cristiana è ciò che ci fa portare frutto – trenta, sessanta, cento volte – in più che riceviamo e poi trasmettiamo ciò che abbiamo ricevuto, arricchito di qualunque offerta il Signore ci ha permesso di aggiungervi. Uno sviluppo fruttuoso è certamente possibile, ma solo a condizione di fedeltà, riverenza e timore reverenziale verso la nostra eredità.

I riformatori liturgici rigettarono molte preghiere (es. L'Offertorio) come inutili aggiunte; li consideravano inutili o addirittura errati e quindi dannosi. Questo atteggiamento e le azioni a cui ha condotto sono riprovevoli; anzi, bisogna definirli una bestemmia contro lo Spirito Santo. Sono certamente un insulto a Nostro Signore, un insulto che ha punito nella sua amorevole giustizia facendo visitare il Novus Ordo da uno spirito di narcisismo, aridità e noia, un'incredibile mancanza di fecondità e una spaventosa carenza di vocazioni sacerdotali e di vite religiose, in proporzione al numero e alle esigenze dei cattolici. Agli amanti e agli odiatori della tradizione liturgica si possono applicare appropriatamente le parole del salmista: "Con il santo sarai santo; e con l'uomo innocente sarai innocente. E con gli eletti sarai eletto: e con il perverso sarai pervertito. Poiché tu salverai il popolo umile; ma abbatterai gli occhi dei superbi "(Sal 17: 26–28). Il fatto che le vocazioni e le famiglie numerose abbondano ovunque fiorisca la liturgia tradizionale dovrebbe "essere" motivo sufficiente per un riesame radicale dell'intero approccio degli ultimi sessant'anni, con la sua vana ricerca di attualità contemporanea. L'abuso di potere, come l'abuso del linguaggio che lo avvolge e lo igienizza, non può durare a lungo; è come un uomo seduto su un albero, che sega il ramo su cui è seduto. Se il Signore vuole che la Chiesa persista in questo mondo, deve venire un tempo in cui la tradizione è rivendicata e il progetto di modernizzazione è esposto come lo stratagemma satanico che è sempre stato.

Vengo, ora, a diverse conclusioni.

Non è l'autorità di ogni Papa che fa la liturgia della Chiesa "essere" la liturgia della Chiesa stessa. L'autorità papale può stabilire l'edizione di un libro liturgico per motivi di unanimità d'uso, ma è la "tradizione" che fa una liturgia essere se stessa. Sappiamo che questo è vero perché i cristiani celebravano le loro liturgie da oltre 1.500 anni prima che un papa legiferasse un messale. Il fatto che San Pio V abbia legiferato un messale rivisto nel 1570 non significa che i papi abbiano sempre implicitamente l'autorità di istituire o revocare la liturgia a loro capriccio o che, dopo il 1570, abbiano esplicitamente l'autorità di farlo. San Pio V stava codificando un "esistente" rito apostolico, con piccole modifiche che riteneva pastoralmente necessarie. Non si trattava di una rifusione totale del rito da zero; nessuno si sarebbe mai sognato una cosa del genere. Era letteralmente impensabile, e tale rimane. Come scrive Michael Fiedrowicz:

Anche la massima autorità della Chiesa non può cambiare a suo piacimento l'antica e venerabile liturgia della Chiesa. Ciò significa abuso di potere (abusus potestatis). L'autorità della bolla di promulgazione "Quo Primum" è soprattutto fondata sul fatto che qui un papa regolava la liturgia nell'esercizio della pienezza del suo potere papale e in completo consenso con il voto di un concilio ecumenico, e inoltre, l'ha fondato secondo la tradizione ininterrotta della Chiesa romana, nonché – per quanto riguarda le parti fondamentali del Messale – secondo la Chiesa universale. Soprattutto, il fatto che il "Missale Romanum" del 1570 doveva essere la più perfetta espressione liturgica dell'insegnamento cattolico sull'Eucaristia, come il Concilio di Trento l'aveva sempre definito contro gli errori protestanti, è un argomento significativo che lo stesso Messale, così come la definizione dogmatica di Trento, dovrebbe rimanere sostanzialmente invariato per sempre.[43]

Quello che fece Paolo VI fu "ultra vires papae", oltre la legittima autorità del papa. [44] Ha creato una pseudoliturgia o paraliturgia che assomiglia al rito romano; in nessun senso ha "rivisto il rito romano".  Ha " sostituito" il rito romano con un nuovo rito che mantiene la validità sacramentale ma manca di onorevole parentela. Deve essere considerato un servizio di preghiera con una consacrazione, che confeziona il Corpo di Cristo in modo straordinario e non come il punto culminante di un autentico rito liturgico storico di derivazione apostolica. In questo senso, sarebbe stato molto più corretto chiamare il Messale di Paolo VI la "forma straordinaria" e il Messale di Giovanni XXIII la "forma ordinaria", poiché quest'ultima è ancora largamente in continuità con le precedenti edizioni del messale, mentre il primo non rientra in questa tradizione messale. La Messa tradizionale è un vero rito liturgico, con tutte le qualità o proprietà necessarie per meritare quel titolo distinto;

Come tutta la Chiesa, anche il papa "riceve" la liturgia in eredità; e anche se si suppone che conservi e difenda la dottrina nella fede e nella morale, così, e proprio per la stessa ragione, dovrebbe conservare e difendere i riti liturgici. Quindi, la differenza tra Pio V e Paolo VI si riduce a questo: Pio V "riconosceva" un rito come quello della Chiesa, mentre Paolo VI cercava di "costituire" un rito come quello della Chiesa. Spetta alla Chiesa "regolare" i riti, ma non "creare" riti, come riconosce Joseph Ratzinger:

Dopo il Concilio Vaticano II, è nata l'impressione che il Papa potesse davvero fare qualsiasi cosa in materia liturgica, soprattutto se agisse su mandato di un Concilio ecumenico. Alla fine, l'idea di una liturgia "data", il fatto che non si può farne ciò che si vuole, è svanita dalla coscienza pubblica dell'Occidente ... L'autorità del papa è legata alla Tradizione della fede, e questo vale anche per la liturgia. Non è un "prodotto" delle autorità.... L'autorità del papa non è illimitata; è al servizio della Sacra Tradizione. [45]

Ermeneutica pentecostale

Questo mi porta ad una ampia tesi finale. Il Concilio Vaticano II è stato annunciato come una "nuova Pentecoste". [46] Ma una nuova o una seconda Pentecoste è impossibile. La Pentecoste è il mistero dell'identità e della vitalità della Chiesa lungo tutte le epoche fino al ritorno di Cristo nella gloria; La Pentecoste non è un evento umano come uno spettacolo pirotecnico del 4 luglio, ripetibile a piacimento, ma un dinamismo permanente, espresso nella perenne freschezza della liturgia su cui "lo Spirito Santo... cova con petto caldo e con "ali luminose", [47] ricordato calorosamente in tutte quelle domeniche dopo Pentecoste che riempiono di verde brillante l'autentico calendario romano. L'abate Ansgar Vonier non riesce a trovare parole abbastanza forti per portare a casa questa verità:

L'avvento dello Spirito è completo alla prima Pentecoste come lo sarà la venuta del Figlio di Dio nella gloria del Padre alla fine del mondo.... È a causa di questa misura piena di presenza Pentecostale che si dice veramente che il Regno di Dio sia con noi su questa terra, perché lo Spirito dimora con noi nella pienezza della Sua divinità, non con un'economia transitoria e provvisoria ... Nessuno è mai venuto con una tale completezza come lo Spirito; nessuno è mai arrivato con una tale determinazione a restare per sempre come ha fatto il Paraclito. Perché è nella natura stessa della Sua venuta che Egli debba dimorare.... Venne finalmente, totalmente, permanentemente, stabilendo il Regno di Dio di cui non ci sarà fine.... La finalità dell'avvento dello Spirito è una delle verità cardine che fanno del Cattolicesimo quello che è.[48]

Ci può essere una nuova Pentecoste solo se quella vecchia ha fallito; e allo stesso modo, può esserci una nuova liturgia solo se quella vecchia è fallita. [49] Se può esserci una nuova Pentecoste, può esserci una nuova forma di cattolicesimo, con nuove dottrine, nuova moralità, una nuova liturgia, per una nuova umanità in una nuova creazione – tutte cose che possono essere apertamente in conflitto con la loro vecchie controparti.

Martin Mosebach diagnostica in modo eloquente il problema:

Lo "spirito del Concilio" ha cominciato a essere giocato contro il testo letterale delle decisioni conciliari. Disastrosamente, l'attuazione dei decreti conciliari fu coinvolta nella rivoluzione culturale del 1968, scoppiata in tutto il mondo. Quella era certamente l'opera di uno spirito, anche se solo di uno molto impuro. Il sovvertimento politico di ogni tipo di autorità, la volgarità estetica, la demolizione filosofica della tradizione non solo devastò università e scuole e avvelenò l'atmosfera pubblica, ma allo stesso tempo si impossessò di ampi circoli all'interno della Chiesa. La sfiducia nella tradizione, l'eliminazione della tradizione, ha cominciato a diffondersi dappertutto, all'interno di un'entità la cui essenza consiste totalmente nella tradizione, tanto che si deve dire che la Chiesa non è nulla senza tradizione. Così la battaglia post conciliare che ha operato rotture in molti campi contro la tradizione non è altro che un tentativo di suicidio della Chiesa – un processo letteralmente assurdo e nichilista.

Tutti possiamo ricordare come vescovi e professori di teologia, pastori e funzionari di organizzazioni cattoliche proclamarono con tono fiducioso e vittorioso che con il Concilio Vaticano II era giunta sulla Chiesa una nuova Pentecoste, che nessuno di quei famosi Concili della storia che avevano plasmato lo sviluppo della Fede aveva mai affermato. Una "nuova Pentecoste" non significa niente di meno che una nuova illuminazione, forse una che supererebbe quella ricevuta duemila anni fa; perché non passare immediatamente al "Terzo Testamento"  da "Educazione del genere umano" di Gotthold Ephraim Lessing? Agli occhi di queste persone, il Vaticano II ha significato una rottura con la Tradizione così come esisteva fino ad allora, e questa rottura è stata salutare. Chi lo avesse ascoltato avrebbe potuto credere che la religione cattolica avesse trovato realmente se stessa solo dopo il Vaticano II. Si suppone che tutte le generazioni precedenti, a cui noi che siamo qui dobbiamo la nostra fede, siano rimaste in un cortile esterno dell'immaturità. [50]

Quello che abbiamo visto negli ultimi sei decenni è un goffo risveglio dell'eresia gioachimita medievale con cui la Chiesa sarebbe entrata nella terza e ultima era, una nuova era dello Spirito, che lascia dietro di sé l'Antica Alleanza del Padre, rappresentata dalle tavole del decalogo e dei sacrifici animali, e la Nuova Alleanza del Figlio, rappresentata dalla congiunzione costantiniana di Chiesa e Stato e dal Santo Sacrificio della Messa. La nuova era ecumenicamente e interreligiosamente "va oltre" i comandamenti, la cristianità e la tradizione di adorazione divina. Con la riforma liturgica di Paolo VI andiamo oltre la tradizione liturgica ereditata; con gli incontri di Assisi di Giovanni Paolo II, andiamo oltre la differenza assoluta tra la vera religione e le false religioni; con l' Amoris Laetitia di Francesco, ci muoviamo oltre i rigidi confini del Decalogo e dei Vangeli.

Così tante e così grandi novità equivalgono a una nuova religione, e una nuova religione è una falsa religione. I tratti peculiari della "nuova Pentecoste" o "nuova primavera" sono manifestazioni di un'eresia neo-gioachimita incompatibile con il cattolicesimo confessionale. Il crollo della Chiesa nei nostri tempi è stato il segno divino di disapprovazione per l'abbandono deliberato e l'allontanamento passivo dalla Scrittura, dalla Tradizione e (sì) dal Magistero, in questi decenni in cui l'amnesia ha sostituito l'anamnesi e il sacrilegio ha soppiantato la sacralità. Per quanto ovvio sia stato il collasso – e minaccia di diventare sempre più sconvolgente ogni anno che passa – molti sono gli occhi ciechi e le orecchie sorde che non registrano nient'altro che un interesse istituzionale, un ristretto "sensus fidei" mediante il quale possono discernere tra ortodossia ed eterodossia, il retto culto e le sue deviazioni. [51] Come ha notato uno scrittore online:

È la generale inaffidabilità di gran parte dei media e delle tipografie cattoliche ufficiali che ha reso i blog così popolari. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda l'ovvia dissonanza cognitiva che ogni serio cattolico sente tra la placidità e l'allegria dei media ufficiali e la realtà vista sul campo, dall'abuso sui bambini all'abuso dei sacramenti, dall'abuso della liturgia all'abuso di fiducia, dalla promozione dei dissidenti all'occultamento delle statistiche del collasso generale della demografia e della pratica cattolica nella maggior parte del mondo dall'inizio di questa stagione invernale. [52]

La Chiesa oggi soffre di malattie cardiache: è letargica a causa del tessuto adiposo e delle arterie ostruite. Ha bisogno di un trapianto di cuore, ma invece di ottenere un cuore "diverso", ha bisogno di sbarazzarsi del cuore meccanico artificiale installato dai suoi medici mal informati e riprendersi il cuore di carne che la sua tradizione ha coltivato dentro di lei. Quando ciò accadrà, saremo testimoni non di una "nuova" Pentecoste, ma di un rinnovamento dell'antica e sempre giovane adorazione cristiana di Dio in spirito e verità, proprio come Nostro Signore ha profetizzato e ci ha già provveduto nella Sua immancabile Provvidenza. Dom Paul Delatte, abate di Solesmes dal 1890 al 1921, ha scritto della sacra liturgia tradizionale della Chiesa:

In essa lo Spirito Santo ha raggiunto la concentrazione, l'eternalizzazione e la diffusione in tutto il Corpo di Cristo dell'immutabile pienezza dell'atto di redenzione, di tutte le ricchezze spirituali della Chiesa nel passato, nel presente e nell'eternità. [53]

Non c'è da stupirsi che Dom Guéranger abbia detto, in una riga che amo citare: "Lo Spirito Santo ha posto la liturgia al centro del suo lavoro nelle anime degli uomini". È "qui" che si trova la nostra Pentecoste; è qui che la Chiesa rinasce perennemente nella sua giovinezza, trovandosi pronta a consegnare l'unico linguaggio comune con cui lodare, benedire, glorificare e adorare il suo Re celeste, finché Egli non ritorni glorioso dall'oriente. "Salirò all'altare di Dio, a Dio, che dà letizia alla mia giovinezza".

APPUNTI

Le note saranno ulteriormente sviluppate nella versione pubblicata in forma di libro.

[1]Per questo paragrafo, sono in debito con P. Cassian Folsom, OSB, "Due leges orandi, una lex credendi. Una riflessione sulla lettera 'motu proprio'Summorum Pontificum", un documento del 13 giugno 2015, così come Gregory DiPippo," The Legal Achievement of Summorum Pontificum", New Liturgical Movement , 5 luglio 2017.

[2] Svetonio equiparava ritus e caeremonia. Forcellini dà come definizione di ritus: "mos et approbata consuetudo, et praecipue in sacrificiis administrandis". Vedere William W. Bassett, The Determination of Rite: An Historical and Juridical Study (Analecta Gregoriana, 1967), 22–23.

[3] Prima della riforma tridentina, le varianti erano quasi sempre indicate come usi. Ad esempio, il frontespizio del Messale di Sarum recita: "Missale ad usum insignis et celeberrimae ecclesiae Sarum". Dopo Trento, il termine "uso" divenne raro e al suo posto fu usato "rito".

[4] Di conseguenza, qualsiasi Messa o Uffici propri scritti per uno può essere trasposto in uno qualsiasi degli altri senza alcuna difficoltà. Ad esempio, San Tommaso d'Aquino era un domenicano e scrisse l'Ufficio e la Messa del Corpus Domini secondo l'uso medievale francese seguito dal suo ordine: nove responsori a Mattutino, invece di otto, un versetto tra Mattutino e Lodi, ecc. essere fatto per adeguare questi testi all '"uso della Curia Romana", che divenne la base del Messale e Breviario di San Pio V. Tuttavia, quando la stessa Messa fu aggiunta al rito ambrosiano, dovettero essere fatti; l'aggiunta di una prima lettura, l'antifona dopo il Vangelo, l'oratio super sindonem  e il transitorium, nessuna delle quali esiste nel Rito Romano, così come la rimozione della Sequenza, che non è mai esistita nel rito ambrosiano. Viceversa, se si volesse prendere la Messa ambrosiana in onore di Sant'Ambrogio e trasporla nel rito storico romano, bisognerebbe mutilarla molto male, aggiungendo all' ingressa un versetto del Salmo e un Gloria, togliendo la prima lettura, l'antifona dopo il Vangelo, l'oratio super sindonem e il transitorium, ecc.

[5] Gli usi di Braga, Lione e Sarum continuano ad essere usati occasionalmente per la Messa o per l'Ufficio Divino o per entrambi; è ricomparso l'uso Praemonstratense; il certosino esiste in una condizione semi-riformata. La grande eccezione sarebbe l'uso domenicano, che sta vivendo una sorta di rinascita tra le giovani generazioni di frati.

[6] Un'edizione maggiore di un libro liturgico, promulgata negli Acta Apostolicae Sedis , è chiamata editio typica . Il 1920 e il 1962 furono tali. Le edizioni del Missale Romanum del 1924, 1939, 1953, ecc. Sono edizioni post typicam del 1920. Allo stesso modo, le modifiche del 1964 e del 1967 sono considerate variazioni rispetto al 1962.

[7] "Il Novus Ordo è un'autentica espressione della Tradizione?", Presidente LMS , 14 dicembre 2013.

[8] Inutile dire che il dottor Shaw non intende affermare questa nozione a proprio nome. Un canonista tedesco, Markus Graulich, ha sostenuto con una certa plausibilità che esiste una distinzione tra l'abrogazione o la deroga di un libro liturgico e la rimozione del permesso del clero di utilizzare quel libro. Egli sostiene che il vecchio messale, come tale, non fu mai abrogato, ma che il permesso dei sacerdoti di utilizzarlo fu limitato da Paolo VI, che gli sostituì il permesso di usare il nuovo messale. Pertanto, è verosimile che il celebrante richiedesse un indulto affinché potesse legittimamente utilizzare un libro liturgico che, di per sé, non era stato formalmente abrogato. Può sembrare una scissione di capelli, e forse lo è, ma se fosse vero, spiegherebbe meglio ciò che Papa Benedetto intendeva fare in Summorum, cioè, avendo ammesso che il vecchio messale non era mai stato abrogato, di procedere a concedere un permesso o facoltà universale a tutto il clero in regola di avvalersi di questo messale (e di altri riti liturgici tradizionali). Vedi "Vom Indult zum allgemeinen Gesetz: Der Gebrauch des Messbuchs von 1962 vom Zweiten Vatikanischen Konzil bis Summorum Pontificum in kirchenrechtlicher Perspektive", in Zehn Jahr Summorum Pontificum: Versöhnung mit der Vergangenheit — Weg in die Zukunft . idem (Regensburg: Verlag Friedrich Pustet, 2017), 13-54.

[9] Klaus Gamber, The Reform of the Roman Liturgy: Its Problems and Background, trad. Klaus D. Grimm (San Juan Capistrano, CA: Una Voce Press e Harrison, NY: The Foundation for Catholic Reform, 1993).

[10] Come ho notato nel capitolo 1, la "tradizione" nel suo senso più ampio comprende anche la Sacra Scrittura, che registra gli atti storici e i detti di Israele, ed è tramandata all'interno della Chiesa (prendendo Israele come parte della Chiesa, come Agostino e lo fanno i Padri). Tutta la rivelazione di Dio all'umanità arriva sotto forma di paradosis o traditio, qualcosa che si tramanda dall'alto al popolo e da una generazione all'altra.

[11] Reid, Sviluppo organico della liturgia, Prefazione, 11.

[12] Naturalmente, l'Ufficio divino se la passò anche peggio sotto l'influenza del riduzionismo liturgico, poiché l'Ufficio non ha nulla di equivalente alla preparazione o al conferimento di un sacramento sotto una forma e una materia definite. Poiché è puramente un insieme di testi da cantare o recitare, la possibile estensione della sua deformazione e corruzione è pressoché infinita. L'unica cosa che potrebbe trattenere la mano violenta è il rispetto per la tradizione, ad esempio, che i salmi tal dei tali sono sempre stati pregati in determinate ore in determinati giorni. Sappiamo che tale rispetto non era una caratteristica notevole dei rivoluzionari liturgici. La Liturgia delle Ore promulgata da Paolo VI ha, nel migliore dei casi, una vaga somiglianza, nel peggiore nessuna somiglianza con l'Ufficio divino come era stato pregato per la maggior parte della storia della Chiesa.

[13] Reid, Prefazione, 11. Ratzinger a un certo punto dice che "modernisti e tradizionalisti sono d'accordo" su questo riduzionismo. Non sono del tutto sicuro di cosa voglia dire. Indubbiamente prima del Concilio tutti insegnavano sacramenti in maniera neoscolastica riduttiva, ma una volta che divenne chiaro che i progressisti avevano intrapreso un processo di smantellamento e ricostruzione che non avrebbe onorato nessuna delle forme esistenti, nacque un autentico movimento tradizionalista che ha preso con assoluta serietà le dimensioni organiche, olistiche, estetiche e storiche della liturgia. Mi viene subito in mente la figura di Dietrich von Hildebrand, così come, in una generazione successiva, il dotto abate Franck Quoëx.

[14] Vedi il mio articolo " The Displacement of the Mysterium Fidei and the Fabricated Memorial Acclamation". Come se la perdita del mysterium fidei nelle parole della consacrazione non fosse abbastanza grave, le traduzioni in molte lingue rendevano falsamente pro multis "per tutti", causando confusione tra i cattolici sufficientemente istruiti da riconoscere che ciò rasentava la manomissione della forma stessa del sacramento.

[15] Come tomista, accetto certamente che ci sia un momento di consacrazione, come ho difeso nel mio articolo "Sulla consacrazione 'puntuale': una lettera per la festa di San Tommaso d'Aquino", Nuovo movimento liturgico, 7 marzo , 2016 e altrove. Ma se si guarda alla Summa theologiae III, q. 83, si vedrà che San Tommaso è ben lungi dall'essere un riduzionista liturgico. Vede la complessità del rito romano, il significato e il valore di ciascuna delle sue parti e il rispetto con cui dovrebbe essere trattato da coloro che lo adorano. La precisione scolastica non deve evolversi in riduzionismo neoscolastico.

[16] Questo è l'approccio che ho adottato nel capitolo 2, quando ho messo a confronto il Novus Ordo con una liturgia tradizionale.

[17] Il rito ambrosiano comprende anche il Canone Romano. C'è ancora una mancanza di consenso accademico sulla questione se questo Canone sia sempre stato usato in esso o se sia stato "importato" ad un certo punto per sostituire una precedente anafora specificamente ambrosiana. Le nostre fonti per il Rito Ambrosiano sono molto meno numerose e successive di quelle per il Rito Romano.

[18] Questo modo di parlare è ingannevole, perché il latino utilizzato era un tipo speciale di latino cristiano sviluppato allo scopo, con un registro elevato e ieratico; non era affatto il linguaggio comune o "volgare" della gente.

[19] Come osserva Patrick Owens: "Il registro elevato del latino cristiano alla fine sostituì il greco nei riti sacri dell'Occidente, in parte perché era più appetibile per l'elite romana colta che per il latino greco o volgare. L'evangelizzazione dell'aristocrazia culturale romana fu l'impulso principale alla base dello sviluppo del linguaggio liturgico di Roma "(Introduzione a Spataro, Elogio della Messa tridentina e del latino, Lingua della Chiesa).

[20] È vero che in rari casi la liturgia latina esisteva in forme non latine, ad esempio, la Messa glagolitica, la Messa slava e la Messa irochese. Ma queste erano le rare eccezioni che confermavano la regola. Il latino era sempre l'usanza dominante, quasi esclusiva, e gelosamente custodita e apprezzata come tale.

[21] Anche la Messa bassa testimonia questa normatività dei canti della Messa alta richiedendo la recitazione dei testi dei canti, sebbene questo sia un pò come un disegno bidimensionale contro una scultura tridimensionale.

[22]Per una discussione e una critica approfondite del nuovo lezionario, vedere Kwasniewski, "When the Yearly Biblical Readings of Immemorial Tradition Were Cast Away", Rorate Caeli il 24 maggio 2019.

[23] La situazione è resa ancora peggiore dai continui "adattamenti" consentiti alle Conferenze episcopali. Per prendere due esempi familiari negli Stati Uniti, è puro nominalismo liturgico "trasferire" l'Ascensione e l'Epifania alle domeniche più vicine. Per rivelazione divina sappiamo che l'Ascensione di Nostro Signore avviene quaranta giorni dopo la risurrezione, e quindi di giovedì. L'Epifania viene celebrata dodici giorni dopo Natale. Una cosa è celebrare le feste nei giorni giusti e poi aggiungere le cosiddette "solennità esterne" in una domenica vicina; un'altra è abolire i giorni appropriati e spostarli semplicemente alla domenica più vicina. Questo è l'equivalente liturgico del "matrimonio gay": è fare violenza alla natura delle cose.

[24] La prolepsi è una figura retorica che significa rappresentare qualcosa come esistente prima che lo faccia effettivamente; così l'Offertorio parla della "vittima immacolata" mentre si tiene in alto il pane non consacrato. Tali modi di parlare sono universali nelle tradizioni liturgiche: l'antifona cantata che è sempre stata chiamata Offertorium; le preghiere segrete; il Canone prima della consacrazione. Anche i riti bizantini lo fanno. L'unica cosa strana, infatti, è che il Novus Ordo evita la prolepsi.

[25] Nessun altro uso ha le prime tre preghiere, o se compaiono, è il risultato di un processo di romanizzazione. Gli altri elementi compaiono tutti nella maggior parte degli usi, ma mescolati in vari ordini. Il  uscipe, sancta Trinitas è di gran lunga il più utilizzato. Sebbene la formulazione vari, la sostanza è sempre la stessa.

[26] Ad esempio, San Basilio il Grande, nel suo trattato Sullo Spirito Santo del 375 d.C., sostiene che dovremmo prendere sul serio la divinità dello Spirito Santo per lo stesso motivo per cui prendiamo sul serio la celebrazione della liturgia verso est – vale a dire, che ci è stato tramandato dagli Apostoli, e quindi non è oggetto di controversia. In altre parole, Basil prende ad orientem una base non controversa su cui difendere la controversa divinità della Terza Persona della Santissima Trinità!

[27] Non nego, ovviamente, che parti della liturgia siano per il popolo, ma non c'è parte che sia "semplicemente" per il popolo, come fa la "Liturgia della Parola" nel nuovo rito. Il modo in cui l'antica liturgia serve i bisogni delle persone è ordinandoli incessantemente al divino.

[28] Si vedano i miei commenti sull'importanza del "Confiteor" prima della comunione del popolo come segno di una cesura definita nel rito: "Perché il confiteor prima della comunione dovrebbe essere mantenuto (o reintrodotto)", Nuovo Movimento Liturgico , 27 maggio 2019 .

[29] Non è da un oratoriano Novus Ordo con un canone latino romano, ecc., Che dobbiamo valutare il messale di Paolo VI, ma dalla celebrazione più discontinua ancora consentita dalle rubriche, ad esempio quella che si dice versus populum, in volgare, senza Propers, senza Confiteor, la seconda preghiera eucaristica, la comunione nella mano, ecc. Una tale Messa non è meno perfettamente il Novus Ordo della più gloriosa Messa degli odori e delle campane. In altre parole, cos'è la maggior parte delle caratteristiche del Novus Ordo non è questa o quella configurazione, ma la sua configurabilità ad libitum. Solo per questo motivo non ha alcuna pretesa di appartenere alla famiglia di rito romano. Invece, è il rito papale moderno, che consente il canone romano e così via come opzioni.

[30] Il fenotipo deriva dal genotipo che interagisce con le condizioni ambientali. L'intera dimensione fisica è, inoltre, la controparte metafisica dell'anima razionale individuale, che si esprime attraverso di loro.

[31] Heresy of Formlessness, nuova edizione (Brooklyn: Angelico Press, 2018), 163.

[32] DiPippo ("The Legal Achievement of Summorum Pontificum") difende l'inventiva di Benedetto XVI sottolineando che stava tentando una soluzione canonica stabile a un problema unicamente intrattabile. Se avesse stabilito che c'erano due riti romani, la liberalizzazione del Vetus Ordo avrebbe concesso istantaneamente facoltà birituali a 400.000 sacerdoti; ma chiamarli usi avrebbe falsificato il significato storico del termine. Inventò quindi il nuovo concetto di "forma", come se riconoscesse una situazione assolutamente anomala in cui due riti o usi hanno così molto in comune genericamente, eppure sono così radicalmente differenti nei dettagli.

[33] "La riforma della liturgia del ventesimo secolo: risultati e prospettive", Institute of Liturgical Studies Occasional Papers 126 (2017): 1–13; a 4–5.

[34] Documenti sulla Liturgia 1963-1979 , n. 37.

[35] Citato in Lemna, Apocalypse, 52.

[36] "Per la cronaca – Vescovo olandese: 'Nel sinodo, sciocchezze che metterebbero in imbarazzo Lutero e Calvino: e il Papa sta guardando'", Rorate Caeli , 23 ottobre 2019.

[37] Vedi Pieper, Abuse of Language, Abuse of Power.

[38] A p. L'affermazione di Spadaro che in teologia, 2 + 2 può fare 5, vedi George Weigel, "Theology Isn't Math; But It Is Theology ", First Things online, 25 gennaio 2017.

[39] Sul primato del bene comune, Aquinas Review, vol. 4 (1997), 86-87.

[40] "Degna accoglienza" non significa che siamo già perfetti, ma, come ha spiegato Giovanni Paolo II in Ecclesia de Eucharistia, che abbiamo rinunciato al peccato mortale e abbiamo l'intenzione di vivere secondo tutti i comandamenti di Dio.

[41] Vedi il mio articolo "L'omissione che infesta la Chiesa – 1 Corinzi 11: 27–29", New Liturgical Movement , 11 aprile 2016.

[42]Ho preso di mira il riduzionismo neoscolastico, ma che dire di San Tommaso d'Aquino? Non ha forse in parte la responsabilità di questa riduzione della Messa o dell'Eucaristia alla transustanziazione, di cui parla così a lungo, difendendo dettagliatamente l'affermazione che "le parole di consacrazione" sono l'unica causa del miracolo? Tommaso aveva una mente metafisica che era qualificata in modo univoco per affrontare alcune delle difficoltà più spinose della teologia sacramentale, ma non nega la più ampia cornice biblica e patristica dell'intera discussione. Anzi, dimostra di esserne consapevole (come in III, q. 83, sul rito della Messa), anche se è molto più desideroso di scavare nelle perplessità filosofiche. In ogni caso, è importante non considerare San Tommaso come l'essenza e la fine della teologia. È il dottore comune, la nostra guida alla disciplina della teologia; ma sarebbe lui stesso il primo a comandarci di sedere ai piedi degli autori della Sacra Scrittura e dei grandi Padri della Chiesa ai quali guardava come punti di riferimento costanti. Non ripete ciò che hanno fatto, ma sviluppa in un sistema i principi e le conclusioni di cui testimoniano. Abbiamo ancora e sempre bisogno dei dati originali nel modo originale della sua proclamazione. La scolastica ci aiuterà nella nostra ricerca della verità, focalizzando le nostre menti e purificandole; non sostituirà un apprendistato permanente alla liturgia, alla Bibbia e ai Padri.

[43]The Traditional Mass: History, Form, & Theology of the Classical Roman Rite (Brooklyn: Angelico Press, 2020), 36.

[44]Qui penso che sia utile fare una distinzione tra il potere come forza coercitiva e il potere come autorità morale. Qualunque papa ha il potere grezzo di promulgare un rito della Messa con una valida consacrazione, anche se nulla ha a che fare con il rito romano; ma peccherebbe gravemente nel farlo (cfr Sire), poiché non ha l'autorità morale per agire al di fuori della tradizione che deve custodire e difendere.

[45] Joseph Ratzinger, Spirit of the Liturgy, Commemorative Edition (San Francisco: Ignatius Press, 2018), 180.

[46] Per i riferimenti alle dichiarazioni di Giovanni XXIII e altri, vedere Thomas Hughson, SJ, "Interpreting Vatican II: 'A New Pentecost'", Theological Studies 69 (2008): 3–37.

[47] Gerard Manley Hopkins, "God's Grandeur".

[48] Anscar Vonier, The Collected Works of Abot Vonier (London: Burns Oates, 1952), vol.2, pp. 9, 10, 13. Vedi anche il Cardinal Journet sui privilegi apostolici in Teologia della Chiesa .

[49] In effetti, una "nuova liturgia" è una contraddizione in termini; la Chiesa non ha il mandato di istituire una cosa del genere. Anche gli Apostoli svilupparono la loro liturgia dal tempio ebraico e dai rituali della sinagoga e la Pasqua modificata da Cristo. Nessun vero rito è opera di una commissione.

[50] "In occasione del 90 ° compleanno di Benedetto XVI", Prefazione a Peter Kwasniewski, Noble Beauty, Transcendent Holiness: Why the Modern Age Needs the Mass of Ages (Kettering, OH: Angelico Press, 2017), xii-xiii .

[51] Cfr. Roberto De Mattei, L'amore per il papato e la resistenza filiale al papa nella storia della Chiesa.

[52] "Alternative Catholic Media: Into the Catacombs", Rorate Caeli , 2 maggio 2014.

[53] Commento alla Sacra Regola di San Benedetto , 133.

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Riverrun, past Eve and Adam's, from swerve of shore to bend of bay, brings us by a commodius vicus of recirculation back to Howth Castle and Environs

Ent

Domenica scorsa, finalmente, sono riuscito a concretizzare il desiderio di partecipare alla Messa tradizionale.
Prima di allora vi avevo assistito solo una volta, quattro anni fa, in circostanze eccezionali, nella chiesa che frequentavo.
Confermo quanto di buono notoriamente si dice, di questo rito: dalla sacralità che emerge in ogni dettaglio, alla forza della verità cattolica, espressa dalla liturgia.
Sono rimasto anche impressionato dai fedeli "tradizionalisti" - "ma allora esistono davvero!", mi sono detto, quando li ho visti.

Uomini di tutte le età, inginocchiati in preghiera, con tanto di rosario; donne con il velo, vestite secondo modestia cristiana; giovani famiglie, presente e futuro della Chiesa. Tutti concentrati e devotissimi, e io, io mi sono sentito un po' come un ladro. E come un ladro, finita la celebrazione, sono uscito, a testa bassa, confuso. Nella mente risonavano le parole: "Domine, non sum dignus".
Il mio latino si è rivelato palesemente inadeguato, così ogni giorno sto imparando a memoria nuove orazioni: Confiteor, Gloria, Credo.
In attesa che ritorni, al più presto, domenica.

Finnegan

#21
Sono lieto che abbia partecipato a un rito, che Deo adiuvante salverà la Chiesa sulla Terra: famiglie e vocazioni vengono quasi tutte dai cattolici tradizionali.
Nessuna soggezione, siamo tutti bisognosi di perdono e la bellezza del rito permette di pregare e attingere grazie senza sforzo.
Come hai osservato la sacralità, la devozione, la modestia delle donne sembrano incredibili finché non le si vede di persona!
Per la traduzione ti suggerisco di usare un messale elettronico con testo italiano a fronte (nella mia parrocchia è già piuttosot diffuso):
https://www.divinumofficium.com/cgi-bin/missa/missa.pl
La lingua si seleziona dal menu in basso (il messale è Rubrics 1960), la data si aggiorna ricaricando la pagina.
La nostra partecipazione alla Messa in latino è essenziale per la sopravvivenza di questo rito e per il futuro della Chiesa
Benvenuto tra noi!
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Finnegan

E' uscito per i tipi di SugarCo un libro quanto mai attuale, nel momento in cui Traditionis Custodes, il Motu Proprio del Pontefice regnante, compie un attacco al Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, che aveva liberalizzato con saggezza e spirito pastorale l'uso della liturgia di sempre. "Quella messa così martoriata e perseguitata, eppure così viva", si intitola l'opera, (pp. 304 – € 22,00).

Un nuovo libro su un soggetto antico e in particolare, come scrive l'autore, «un rito tanto antico quanto nuovo», riprendendo un'espressione cara a sant'Agostino. Si tratta di un testo che ha per obiettivo di illustrare la bellezza e la ricchezza del rito tradizionale della Messa, così come è stato celebrato dalla Chiesa per secoli. Nello stesso tempo il presente testo fornirà, inevitabilmente, un contributo significativo al dibattito attuale, alquanto acceso, sull'uso del medesimo rito.

Di primo acchito, sorprende il fatto che un tema così sublime possa essere oggetto pure di una diatriba. Questo dato evoca una pagina del Vangelo, anch'essa sublime e drammatica allo stesso tempo: l'an- nuncio che Gesù fece del dono dell'Eucaristia e della Santa Messa di cui l'Eucaristia è il frutto.

Ancora oggi, dopo duemila anni, il Santo Sacrificio della Messa e la Santa Eucaristia rappresentano ciò che di più sublime esista sulla Terra e ciò che di più prezioso Nostro Signore abbia lasciato alla sua Chiesa. Nello stesso tempo, purtroppo ancora oggi, questo tesoro rappresenta un bene inintelligibile per la maggior parte degli uomini e pure dei cristiani. La storia non cambia. Non si può capire nulla del dono della Santa Messa se non si è disposti ad uscire da una prospettiva intramondana: in altri termini, la Santa Messa non può essere compresa e valorizzata se la missione della Chiesa è percepita come apporto socio-umanitario o come impegno ecologico; non è possibile vivere pienamente la Santa Eucaristia se non si è disposti ad uscire dall'indifferenza e dalla tiepidezza; soprattutto non ci si può avvicinare a questo mistero senza la Fede.

In questo saggio si offrono risposte serie e concrete, che partono da una esplicita considerazione: «Sempre meno persone si recano a Messa e, comunque, per chi pratica ancora il precetto di santificare la domenica, non è semplice comprendere che cosa essa sia veramente e pienamente. Le statistiche sono impietose e raccontano di un tracollo in accelerazione della sua frequentazione [...]. L'ateizzazione di mas- sa degli ultimi cinquant'anni trova il suo catalizzatore proprio nel ri- fiuto della Messa; mentre prima era stata la Santa Messa ad impedir- la. [...] Non è una teoria, un'ipotesi, è semplicemente la realtà dei fatti: la Messa non è più la Messa, come la fede non è più la Fede».

Mai come oggi l'umanità si è sentita smarrita e in balìa del nulla, con la sensazione che non esistano più punti di riferimento stabili e significativi. Questa terribile sensazione di smarrimento coinvolge pure i cristiani: essi per primi non sanno più dove stiano andando, perché non sanno più esattamente da dove vengano. La Chiesa appare come irrimediabilmente divelta dalla luce del proprio passato e immessa in un vicolo cieco; tra i filosofi laici à la page, c'è chi parla già di decostruzione del cristianesimo e si domanda se la Chiesa cattolica esisterà ancora alla fine del ventunesimo secolo. È impossibile bendarsi gli occhi e negare questa crisi e la sua portata; sappiamo, però, benissimo che la Chiesa durerà per sempre e questa certezza è superiore ad ogni debolezza ed obiezione.

Ma come è possibile assicurare e accrescere in noi stessi questa certezza, allorché attorno a noi tutto sembra crollare? Oggi come nel passato il nostro punto di riferimento rimane il medesimo. Il Vangelo lo indica. Quando Nostro Signore, nel culmine della sua prima grande prova, domandò agli Apostoli se pure loro avessero intenzione di allontanarsi da Lui dopo l'incomprensibile promessa del dono dell'Eucaristia, San Pietro rispose in nome degli altri Apostoli, ma anche di tutti noi. Le sue parole devono essere le nostre, costantemente riattualizzate: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68-69). Questo medesimo Salvatore che ha parole di vita eterna lo incontriamo ancora ogni giorno. Come ha fatto con ogni anima nel corso della storia, Egli continua a istruirci, a sostenerci, a fortificarci, a comunicarci la Sua stessa vita attraverso il Santo Sacrificio della Messa. È la Voce di sempre che continua ad esprimersi come sempre, attraverso la Messa di sempre.

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Riverrun, past Eve and Adam's, from swerve of shore to bend of bay, brings us by a commodius vicus of recirculation back to Howth Castle and Environs

Finnegan

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione e riflessione questa testimonianza personale che ci ha inviato –  e lo ringraziamo di cuore – un lettore fedele del nostro sito. Buona lettura e riflessione.

§§§
Questi pensieri mi sono venuti in mente leggendo le parole di mons. Viganò nel suo scritto: "Quando Ho Temuto per la mia Vita, ho Riscoperto la Messa Tradizionale". Perché la domanda che sorge spontaneamente è stata: se il monsignor Viganò ha spiegato i vantaggi per il sacerdote nel celebrare la messa Vetus Ordo, quale potrebbe essere il vantaggio per il semplice fedele a partecipare a questo rito antico? E qui vorrei quindi spiegare perché preferisco andare alla messa tridentina e non a quella post-conciliare.

Inizio con un pochino della mia storia.

Sono sempre andato a messa da piccolo (perché così facevano molti, perché così volevano i miei genitori, perché così era abitudine ma anche perché l´ambiente era a quel tempo per me gradevole, ecc.): ma non ne capivo il significato. Dai diciotto anni in sú sono saltuariamente andato a messa. E fino a poco prima della "pandemia" non ci andavo proprio (perché pensavo, e questo perché ne avevo notizia da conoscenti, che generalmente i sacerdoti stessero passando il loro tempo più a peccare che a salvare le anime; ed anche, mia esperienza personale, perché ho avuto a che fare con qualche sacerdote che addirittura, involontariamente ma implicitamente, mi aveva fatto capire che non credeva a Dio e guardandomi in giro pensavo che la cosa fosse diffusa: forse avrebbero dovuto essere un poco più attenti).

E la domanda che mi ponevo era se l´intera messa, visto che i problemi di cui sopra per me erano generalizzati, fosse valida (ma ero propenso, forse sbagliando, di più per un "no"). I primi tempi dopo la maggiore etá non ho quasi per niente pensato a Dio ... poi man mano ho iniziato a pregare a casa (o dove mi trovavo), e sono saltuariamente andato a messa.

Poi è arrivata la "pandemia" e ... hanno chiuso tutte le chiese: coincidentalmente (?) a Pasqua 2020 per poi riaprirle subito dopo (e questo coincideva con il Ramadan dei musulmani che lo hanno potuto festeggiare quasi liberamente). E contemporaneamente a questa chiusura sono arrivate tutte quelle strane misure del "lavarsi le mani", del distanziarsi l´un dall´altro, del rimanere a casa, ecc. E tanto ho riconoscuto lo zampino del Capo dei diavoli: in realtà ho visto più che delle misure per limitare il diffondersi della "pandemia", un raffinato insulto, a cui molti sacerdoti consapevolmente o no si sono uniti, giocato a livello mondiale a Dio (pensateci : disinfettarsi e strofinarsi le mani in chiesa stando di fronte all´altare ... così come Pilato ha fatto con Gesú? nei paesi anglosassoni bisognava rispettare la distanza di sei piedi che corrisponde a 1,80 metri (nei paesi europei questa distanza variava fra 1,5 e 2 metri) .... forse una persona non si deve avvicinare simbolicamente, e questo per comando del Diavolo, a meno di sei piedi dal Padre, sei piedi dal Figlio e sei piedi dallo Spirito Santo? (mettete tutti i sei appena citati uno accanto all´altro e vedete cosa esce fuori); la mascherina ... volevano creare un simbolico ostacolo fisico che consentisse all´uomo di nascondere vanamente i propri peccati di fronte a Dio così come Adamo ed Eva si erano messi la foglia di fico per nascondere la propria "nudità"? limite al numero di persone che possono riunirsi ... volevano che il Corpo mistico di Cristo non avesse la possibilitá di radunarsi nella sua interezza, anzi ... fosse il più frazionato possibile? e così via. (*)

E quindi ho pensato: "Ma se hanno chiuso le chiese con lo scopo di non far celebrare la messa, allora la messa a cui io non sono andato per anni, doveva aver pure una validitá" (così come per me è vero: "Se attaccano il mons. Viganò allora vuol dire che dá serio fastidio ai poteri corrotti di questo mondo"; ... insomma "Se la vietano, vuol dire che c´é del vero).

E così, appena è stato possibile, ho cominciato ad andare di nuovo regolarmente a messa ... la sola a cui sono sempre andato e che conoscevo, cioè la post-conciliare.

Ma fino ad un paio di anni fa, non avevo mai saputo che esistesse e si svolgesse anche una messa pre-conciliare. In //marcotosatti.com (sicuramente ne avevo sentito qualcosa prima altrove, ma non avevo mai approfondito la cosa), a forza di scriverne da parte degli articolisti (ora più di prima) mi è stato chiaro quale è la fondamentale differenza che per me è questa: in quella pre-conciliare tutta l´attenzione dei presenti, nessuno escluso, è rivolta a Dio; in quella post-conciliare l´attenzione dei presenti è indirizzata principalmente al celebrante e non a Dio.

E ora penso questo: se hanno chiuso le chiese (in tutto il mondo) nella Pasqua 2020 era soprattutto (ma non solo) perché non volevano che si celebrassero in quel momento le messe (ma principalmente quelle in rito antico), e questo allo scopo di levare ogni ostacolo perché le elites potessero celebrare con successo un rito satanico mondiale di transizione dal vecchio mondo ordinato secondo il pensiero di Dio ad un nuovo mondo dominato dal Diavolo (mia opinione, ognuno potrá pensarla diversamente).

Ora molti potranno pensare che le differenze fra i due riti possano sembrare di poco conto o non importanti. Non credo che sia così (e questo nonostante capisca veramente poco di liturgia cattolica) e vorrei chiarire a chi legge cosa mi convince ad affermare ció.

A questo fine mi immagino un Re che vive in una propria Corte. Questo Re ha nel suo dominio due città: quando gli abitanti della prima città (e della campagna circostante) sanno che sta arrivando il Re (anche perché lo hanno invitato loro stessi), smettono tutti di badare alle proprie faccende e vanno alle proprie case, mettono alle finestre delle bandiere di benvenuto e di gioia (che vengono viste anche da chi arriva da fuori della città ed al fine di creare quell´atmosfera festosa delle grandi occasioni) e si precipitano subito fuori dalla porta da dove sanno che entrerà il Re. Il Re avvicinandosi alla città sente che le campane della città stanno suonando e tutti quelli che si sono radunati alla porta stanno cantando per la gioia. Perché è un giorno che è di per sé di festa? No, proprio perché sta arrivando il Re e questo lui lo sa. E quando sará in vista della folla, li vedrà tutti in ginocchio e che stanno bruciando incensi per mettere in risalto la consapevolezza di star accogliendo la Regalità in persona e che inoltre sono tutti rivolti verso di lui; ed il borgomastro che si è posizionato al bordo della via d´accesso, alzatosi ed anche lui sempre rivolto al Re, per tutti gli dirà: "Benvenuto nella tua e nostra città, nostro Signore... come vedi siamo tutti accorsi a salutarti perché ti adoriamo e vogliamo rimanerti per sempre fedeli... anche quando andrai via da noi saremo certi che starai ancora fra di noi ... concedici dunque la tua perenne protezione"; e dopo aver detto questo si sposterá subito ulteriormente al lato e più vicino ai suoi concittadini al fine di sminuire la propria persona e così far venire alla piena vista di tutti il Re, invitandolo nel contempo con la mano ed un inchino a percorrere la via che conduce nella città e così mostrando a tutti chi è che veramente comanda, e cioè il Re. E questo succede ogni volta che va in visita in questa città.

Nella seconda città tutti gli abitanti (anche della campagna circostante) quando sanno che sta per arrivare il Re (anche perché lo hanno invitato loro stessi) smettono anche loro di badare alle proprie faccende e vanno direttamente fuori dalla porta per accogliere il Re. Nessuna bandiera viene messa alla finestra, le campane non si muovono ed il Re, avvicinandosi, vedrà una folla di persone tutte in piedi ed anche il borgomastro che gli stará dando le spalle e che senza spostarsi lo nasconderà alla vista dei suoi concittadini; anche questi gli dirá: "Benvenuto nella tua e nostra città, nostro Signore... come vedi siamo tutti accorsi a salutarti perché ti adoriamo e vogliamo rimanerti sempre fedeli... anche quando andrai via da noi saremo certi che starai ancora fra di noi ... concedici dunque la tua perenne protezione". E questo è tutto ciò che gli abitanti di questa città si sentono obbligati a dover fare. Ma le cose potrebbero non risolversi semplicemente così perché il Re potrebbe rispondere: "Se è così come dite voi, perché non fate le stesse cose che hanno fatto gli abitanti dell´altra città che ho visitato alcuni giorni fa? perché in mio onore non avete acceso l´incenso come hanno fatto loro, perché non state intonando dei canti di gioia? perché avete messo il bavaglio alle vostre campane? perché non avete appeso gli stendardi alle vostre finestre e perché state tutti in piedi trattandomi come se per voi fossi un forestiero qualunque ... e soprattutto tu, borgomastro, perché ti stai rivolgendo a me e allo stesso tempo mi stai mostrando oltraggiosamente le spalle? e perché ti trovi proprio sulla via che sai che dovrò percorrere per entrare in città, facendomi così pensare non solo che tu voglia impedirmi l´accesso in quella che è per diritto che io stesso mi sono dato la mia città e non la tua città, ma anche che tu voglia sostituirti a me? non ti sovviene che così facendo stai offendendo gravemente la mia somma persona e dignità?". Chi lo sa ...il Re potrebbe pensarla così ma poiché è immensamente mansueto non lo dice?

Ora: quale sará la città che il Re vorrebbe più spesso volentieri visitare? e quale sará la città che stará più a cuore al Re? e ai cittadini di quale città, a richiesta ma anche di propria iniziativa, concederá dei maggiori favori? Trovare la risposta non è difficile.

Facendo un parallelo, immagino ora che Dio visiti una chiesa dove si sta celebrando il rito antico: canti, incenso, genuflessioni, inchini, campanelli ed altri atti solenni solo per Lui e soprattutto tutti, anche il celebrante che gli dà il benvenuto, rivolgono continuamente la loro attenzione a Lui. Ed ora immagino che nella chiesa dove si sta celebrando il nuovo rito, che è anche più breve, non solo vi sia poco di tutto questo, ma che addirittura il celebrante che Gli ha dato il benvenuto Gli mostri continuamente le spalle e che l´attenzione dei presenti sia rivolta al celebrante e non sia rivolto a Dio. E penso: ammettendo che Dio trovi la cosa non offensiva nei Suoi riguardi, ai membri di quali delle due assemblee riunitesi in Suo nome, richiestone o di Propria iniziativa, vorrà concedere maggiori Grazie? Anche qui la giusta risposta non è difficile da indovinare.

In base a queste considerazioni è quindi è mia idea che la messa tradizionale è certamente la più gradita a Dio. Poi, sempre secondo me, molto dipende anche dalla purezza spirituale del ministro celebrante.

Per cui io, pur avendo pochissime conoscenze di riti liturgici ed avendo la possibilità di frequentare la messa tradizionale e quella post-conciliare, e data la mia condizione di incallito peccatore che fatica per propria colpa a salvarsi la Vita, preferisco andare a quella dove credo che riceverò le maggiori e più numerose Grazie, e cioè quella svolta secondo il rito tridentino.

Ad ognuno i propri pensieri.

(*) pensieri soprattutto presi da: https://coercioncode.com/2020/07/01/covid-19-satanic-ritual/ (in inglese – un poco lungo).

UnaOpinione

https://www.marcotosatti.com/2022/01/22/la-testimonianza-di-un-lettore-perche-preferisco-da-peccatore-la-messa-vo/
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Finnegan

#25
Ogni ottimo articolo contiene intuizioni fondamentali in una frase che può passare inosservata. In questo pezzo la frase è: "[Nelle chiese] è necessario demolire tutto e sostituirlo con una scatola grigia e vuota dove il Novus Ordo risuonerà con chiarezza metallica."
Il termine evoca arida freddezza, quasi a voler gelare i cuori dei fedeli, vale a dire ostacolare l'azione dello Spirito Santo.
L'abolizione di questo rito quasi bimillenario è parte della desertificazione simbolica e dello squallore pianificato che sono anche alla base dell'attuale condizione maschile.
L'osservazione dell'autore non vale solo per le chiese, ma anche per le nostre città, la nostra arte e l'intero panorama simbolico del presente.
Il nuovo rito è stato confezionato a tavolino da commissioni burocratiche ed ha precisamente la freddezza di un calcolatore. Tout se tient: oltre al potere, la tecnocrazia deve anche conquistare le anime.
Le antiche formule considerate inutili ornamenti esprimono l'aspetto comunitario delle persone oggi palesemente in sfacelo, perché sono il distillato di secoli di devozione e civiltà.
Il nuovo rito fa deliberatamente tabula rasa di tutto ciò: come scriveva Elias Canetti, i riti protestanti sembrano rivolgersi a una potenza astratta.
La riforma liturgica ha raccolto l'eredità disumanizzante e decivilizzatrice del protestantesimo, sfociata nella convinzione moderna che l'uomo sia una bestia e la sua spiritualità e civiltà una sovrastruttura velleitaria. Ergo, l'uomo va abbrutito il più possibile per il suo bene.
Buona lettura:

La rimozione dei tabernacoli e la desacrificalizzazione della Messa

Perché il tabernacolo è stato rimosso dall'altare maggiore o tenuto lontano dal centro di tante chiese negli ultimi cinquant'anni?

Ci sono molte ragioni che si possono addurre per questo decentramento di nostro Signore Gesù Cristo nel miracolo della sua costante Presenza Eucaristica in mezzo a noi, comprese le capziose ragioni accademiche che hanno spinto le devastazioni ampiamente lamentate del periodo postconciliare. Ma può darsi che sia stata all'opera anche una dinamica più sottile e, purtroppo, molte volte lo è ancora.

Come illustrato in questo mio articolo di un mese fa, "La natura sacrificale della Messa nell'Usus Antiquior ", il rito romano classico custodisce ed esprime nel modo più perfetto la realtà che la Messa è essenzialmente il Sacrificio del Calvario che si rende presente in mezzo a noi, l'immolazione del Figlio di Dio che ha operato la nostra salvezza con la sua morte d'amore sulla Croce e in essa non cessa mai di avvolgerci lungo i secoli.

L'espressione di questa dimensione sacrificale non è che nel Novus Ordo sia solo smorzata, in gran parte è proprio assente.  Nella messa in volgare celebrata solitamente versus populum, con l'assenza della seconda Preghiera Eucaristica, si riesce ad esprimere, in modo forte e inequivocabile, con quanto c'è nel testo o nella cerimonia, il Sacrificio della Croce? Nel rito romano tradizionale, l'Offertorio prefigura luminosamente questo stesso sacrificio, stabilendo chiaramente la retta intenzione del sacerdote; il Canone Romano è permeato dal linguaggio dell'oblazione e del sacrificio; le consacrazioni alle quali l'offertorio ci prepara, con le loro doppie genuflessione e le elevazioni gloriose in mezzo a un oceano di silenzio, evocano acutamente l'innalzamento del Figlio dell'uomo sul Golgota (Gv 3,14; Gv 12,32). Al contrario, si potrebbe dire che il Novus Ordo (anche se celebrato al meglio) sottolinea la presenza di Cristo in mezzo a noi, ma non il suo sacrificio.[1]

La differenza nella catechesi

Da questa diversità di fenomenologia consegue una differenza nella catechesi.

Quando si insegna ai bambini cosa succede a Messa, si dice qualcosa di simile a quanto segue, che viene fornito in confezioni diverse a seconda dei diversi livelli di età:

"Gesù morendo sulla croce ha offerto la sua vita a Dio, affinché i nostri peccati potessero essere mondati nel suo prezioso Sangue. Gesù ha voluto darci la possibilità di essere proprio lì, in modo che i nostri  peccati possano essere mondati e noi potremo essere uno con Lui. Così ci ha dato la Messa. Il sacerdote all'altare prende pane e vino, come fece Gesù nell'Ultima Cena, e, per la potenza di Dio, trasforma queste cose nel corpo e sangue di Gesù e le eleva in alto, come Gesù fu innalzato in alto sulla Croce. Dio gioisce di questo dono perfetto di suo Figlio e, nel suo amore per Lui e per noi che gli apparteniamo, ci fa accogliere in comunione il corpo e il sangue di Gesù. Questo ci rende completamente uno con Gesù per quanto possiamo esserlo in questa vita; il Padre si compiace di noi come si compiace del Figlio suo; e siamo preparati per il cielo, quando toccherà a noi offrire la nostra stessa vita a Dio, con Gesù, nel momento della nostra morte."

Certo, si può trovare un modo migliore per dirlo, :)) ma su questa linea, o qualcosa del genere, si avvierà una conversazione.

Eppure quello che mi ha davvero colpito anni fa nel lavorare con i miei figli è stata la poca catechesi, relativamente parlando, necessaria per poter percepire il significato dei gesti del sacerdote durante la Messa tradizionale, e la forza di quei gesti ci ricordano il significato che abbiamo appreso e lo rafforzano continuamente , imprimendolo nella memoria. Una volta che sai un po' cosa fece Gesù durante l'Ultima Cena e il Venerdì Santo, le azioni e le preghiere ti colpiscono praticamente in testa con una catena di misteri: mediazione, redenzione, espiazione, soddisfazione, adorazione. Basta poco per essere attrezzati per percepire la Messa tradizionale come un sacrificio tremendo che unisce la terra al cielo, il peccatore al Salvatore, l'altare alla croce.

Al contrario, ho scoperto che i bambini non vedevano facilmente le stesse connessioni alle messe del Novus Ordo a cui partecipavamo. Le connessioni non erano così evidenti. Questa Messa sembrava un rituale vagamente correlato alla vecchia Messa ma piuttosto diverso nel suo scopo: più concentrato sulla gente, fra molte chiacchiere, che si concludeva con la ricezione della Comunione. Quello che più di tutto risultava nascosto ai sensi era che questa liturgia è un sacrificio. Sembra una manipolazione di pane e vino su una tavola, un pasto a imitazione dell'Ultima Cena. Quello che ho capito, con mio dispiacere, è che dovevo affermare, senza molti supporti in termini di prove a sostegno, che il Novus Ordo era davvero il Santo Sacrificio, anche se non sembrava tale e non avesse la meravigliosa serie di testi e cerimonie che sottolineano il carattere sacrificale dell'azione.

Mi dava fastidio allora, e mi dà fastidio ancora adesso.

È come se il rito fosse stato disegnato da qualcuno che ha voluto che non fosse facile percepire, per la forza combinata di un catechismo semplice  e di una complessa liturgia, che la Messa è la riproposizione incruenta del sanguinoso sacrificio di Nostro Signore sul Calvario. Nell'ambito del Novus Ordo occorre un catechismo complesso da affiancare a una liturgia semplice, perché altrimenti la verità rimane sconosciuta.[/b]

Visto che la liturgia non la incarna e non la proclama allo stesso modo, dobbiamo dedicare più tempo a spiegare, affermare e incrociare le dita affinchè il fragile fideismo non ceda il passo alle devastazioni dell'oblio, della noia o dell'eresia.

Allora perché i tabernacoli furono spostati?

Ora una teoria sullo spostamento del tabernacolo.

Il miracolo travolgente della presenza reale di Nostro Signore nel Santissimo Sacramento conservato nel Tabernacolo pone, se ci pensate, una sfida alla Messa. Pur con le umane limitazioni si comprende che c'è una sola modalità con cui la Messa potrebbe essere, o fare, qualcosa di più grande di quel miracolo – l'unico modo in cui sarebbe eliminata qualsiasi confusione di diversi "ordini" di simbolismo : è se la liturgia avesse i mezzi per mostrare lo stesso Sacrificio che consente la presenza permanente della divina Vittima all'interno del tabernacolo. La Messa deve essere vista e sentita come superiore rispetto al Tabernacolo, affinché non ci sia confusione tra i due ordini: Sacrificio e Presenza.

Che questo sia il caso della Messa tradizionale davanti al Tabernacolo non ho dubbi; anche nelle chiese europee con enormi tabernacoli dorati ornati di eccessive decorazioni, l'antica Messa regge il confronto, attirando a sé tutti gli occhi e tutti i cuori mentre il miracolo accade, rimanendo la padrona totale dell'edificio, dell'altare e degli arredi. È chiaro che quella è la ragione di tutto il resto, e il suo sincero spirito di preghiera, con braccia invisibili distese e alzate, riunisce tutto in un'unica offerta di lode.

Al contrario, un Tabernacolo ha quello che è sufficiente per sopraffare il Novus Ordo, che è, per molti aspetti, sottile e fragile, a malapena in grado di reggere il confronto in una magnifica chiesa o su uno splendido altare maggiore[/b]. Il Sacrificio è fenomenologicamente oscurato dalla Presenza (sia quella conservata nel Tabernacolo sia quella che si renderà visibile sulla mensa).

Perciò, per una sorta di istinto di compensazione, "il Tabernacolo deve essere spostato!": va rimosso, decentrato, nascosto, perché una liturgia timida possa mostrare una propria forza comunicativa. La liturgia non deve avere impedimenti, non deve essere messa in  simbolica competizione o collocata in un contesto più ampio, altrimenti svanirà e rimarrà in secondo piano. Deve rivendicare quanto più spazio possibile per se stessa ed eliminare tutte le vestigia di un mondo massificato e pesante.

Questo ha ancora senso nell'epidemia postconciliare di devastazioni ecclesiastiche e mostruosità artistiche?

Non solo il tabernacolo deve andare via, ma deve sparire anche l'altare maggiore, e forse il crocifisso o le vetrate o il pulpito sopraelevato o la balaustra della comunione, ecc. ecc. Forse è necessario demolire tutto e sostituirlo con una scatola grigia e vuota che non abbia curve simmetriche e sia senza alcun ornamento.

Alla fine, contro quella sterile sceneggiata, le linee pulite, efficienti e succinte del Novus Ordo risuoneranno con chiarezza metallica. E le persone che hanno ancora a cuore le "devozioni" antiquate potrebbero trovare il Sacramento appartato dietro o di lato da qualche parte, come se ci si trovasse in un normale Time-out. :lol:

La necessità di ripetere quello che non è evidente

Perché, fin dalla riforma liturgica, c'è stato un così grande bisogno che i pastori della Chiesa sottolineassero la verità – mai contestata dal Concilio di Trento – che la Messa è davvero e veramente un sacrificio ?

Perché è necessario un tale flusso di documenti papali e curiali, la maggior parte dei quali vengono ignorati?

Perché le statistiche peggiorano sempre di più?


Se quanto accade nella Messa Novus Ordo avesse di più la sembianza di un sacrificio, se esprimesse la realtà sacrificale in modo sensato e comprensibile, non ci sarebbe bisogno di infinite riaffermazioni e chiarimenti.

La dottrina che la Messa è un vero e proprio sacrificio è stata insegnata de fide dal Concilio di Trento e ogni sua negazione è stata anatemizzata. La Messa di San Pio V incarna perfettamente quella dottrina tridentina. Finché la Messa rimane fedele al principio fondamentale della sacramentalità, cioè che qualcosa deve significare ciò che si fa e fare ciò che significa, si saprà fare ciò che realmente si fa con un significato manifesto e inequivocabile.

Ecco perché Ratzinger ha potuto osservare questo collegamento con Trento nelle battaglie liturgiche:

" Solo su questo sfondo dell'effettiva negazione dell'autorità di Trento si può comprendere l'amarezza della lotta contro il permesso di celebrare la Messa secondo il Messale del 1962 a seguito della riforma liturgica. La possibilità di questa celebrazione costituisce la contraddizione più forte e quindi (per loro) più intollerabile secondo l'opinione di coloro che ritengono che la fede nell'Eucaristia formulata da Trento abbia perso validità." [2]

La battaglia in salita della catechesi

Abbiamo visto i sondaggi a riprova della perdita della fede tra i cattolici nella presenza reale e sostanziale di Nostro Signore in quello che un tempo veniva chiamato da tutti "il Santissimo Sacramento dell'Altare". Quello che sarebbe estremamente interessante vedere è un sondaggio che, dopo aver identificato i cattolici alla moda e i cattolici tradizionali con alcune abili domande, procedesse a chiedere a ciascun gruppo: "Credi che la Messa sia un vero sacrificio – quello di Cristo sulla Croce?"

Non è difficile immaginare i risultati: il primo gruppo direbbe per lo più di no (infatti non pochi potrebbero rimanere sorpresi o scioccati dalla domanda stessa, che potrebbe introdurre un concetto che non hanno mai sentito), mentre quelli del secondo gruppo direbbero per lo più di sì. Le loro risposte rispecchierebbero perfettamente la loro esperienza della liturgia.

Se qualcuno dice che la differenza è che i frequentatori della Messa tradizionale sono meglio catechizzati rispetto al gruppo progressista, ciò spinge solo la domanda più in profondità.

Perché coloro che sono più catechizzati frequentano così spesso l'usus antiquior ? Perché effettuano questa scelta (quando hanno la possibilità di una scelta)? Oppure perché i fedeli che la frequentano sono più inclini a perseguire la propria formazione e a offrire un'autentica formazione catechistica ai propri figli?

Non si può indicare una catechesi più o meno adeguata senza indicare un reale collegamento empirico tra il livello della catechesi e il tipo di liturgia frequentato.

La causalità scorre in entrambe le direzioni. L'assioma classico lex orandi, lex credendi ci dice non solo che il modo in cui preghiamo modella il modo in cui crediamo, ma anche che ciò in cui crediamo modellerà il modo in cui preghiamo e anche le scelte che facciamo su dove e come preghiamo come cattolici.[3]

Sebbene la sua opera sia la glorificazione di Dio e la santificazione dell'uomo, la liturgia è sempre stata un potente catechizzatore.

Con la Messa riformata mancano le catechesi simboliche e testuali al cuore della vita cattolica.

Sebbene la ripetizione sia sempre necessaria per l'apprendimento umano, c'è una grande differenza tra la ripetizione che funziona, perché funziona mnemonicamente, e la ripetizione che indica il fallimento di qualcosa che effettivamente "rimane appiccicaticcio". Catechisti, predicatori, genitori, devono continuare a ripetere che "la Messa è un sacrificio" proprio perché il Novus Ordo ha molto poco che lo suggerisca anche lontanamente. Cercare di convincere le persone di qualcosa che non riescono a intravedere con i propri sensi è, per non dire altro, una battaglia in salita.

Ci rallegriamo, ancora e ancora, di essere gli indegni eredi di un così straordinario tesoro liturgico come il tradizionale rito romano della Messa, che esprime, conferma ed esalta in modo bello, riverente e inequivocabile i santi misteri della fede cattolica.

[1] Gli artefici della riforma liturgica erano talmente innamorati dell'ecumenismo da ammettere che stavano cercando di riformulare il rito romano in un modo accettabile per i protestanti. I protestanti conservatori erano fin troppo felici di concedere una "presenza" di Cristo nella Messa, ma parlare di sacrificio era per loro un anatema (se così si può dire). Su questo, vedi Michael Davies, La nuova messa di Papa Paolo (Angelus Press, 2009).

[2] Joseph Ratzinger, Opere complete: Teologia della liturgia (Ignazio, 2008), 544.

[3] È stato detto che una tale discrepanza sarebbe semplicemente il risultato di un'autoselezione: poiché i cattolici più colti, più devoti e più antiquati scelgono la Messa usus antiquior, le loro risposte saranno distorte a favore della dottrina tradizionale .

Ma questa non è solo una riaffermazione del punto stesso di cui stiamo discutendo?

Se coloro che credono a ciò che la Chiesa insegna e desiderano adorare secondo questo credo, cercano l' usus antiquior, spesso facendo grandi sacrifici per raggiungerlo, o se ne gioiscono quando lo scoprono inaspettatamente, questo non significa una massiccia mancanza nel culto principale della Chiesa e una possente perfezione nella forma classica? Né si può prendere sul serio l'idea che il problema sia la mancata attuazione delle "vere intenzioni" del Concilio o di Paolo VI. Per più di cinquant'anni, il 90% o più delle celebrazioni del Novus Ordo è stato fatto in uno spirito di rottura e discontinuità con il passato cattolico, ma quasi nulla è stato fatto per correggere lo status quo.

Ciò indica una tacita accettazione del nesso tra la nuova liturgia e la rottura con la tradizione ecclesiastica, che ora è diventata una politica esplicita sotto la Traditionis Custodes e l'arcivescovo Roche. In ogni caso, basta leggere quanto dissero i membri del Consilium e lo stesso Paolo VI per sapere che non avevano alcuna intenzione di operare in continuità con l'eredità tridentina.

https://www.marcotosatti.com/2022/06/05/kwasniewski-la-rimozione-dei-tabernacoli-e-la-de-sacrificalizzazione-della-messa
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La Rivoluzione Liturgica: la messa per l'Uomo-dio

Come scrisse Léon de Poncins nell'introdurre l'opera di Jean Vaquié (La révolution liturgique, Diffusion de la Pensée Française, 1971), «questo testo è fondamentale per capire con chiarezza l'opera di disgregazione avvenuta nella Chiesa attraverso la riforma liturgica». Difatti, l'introduzione del nuovo ordo non ha rappresentato soltanto un aggiornamento della forma liturgica da 50 anni a questa parte, ma ha anche significato una rivoluzione introducendo una sovversione in seno alla Chiesa di Roma. Questi sono i due capisaldi dell'opera del Vaquié: corruzione liturgica e sovversione.

Possiamo dire, pertanto, che lo studio del Vaquié ci interessa sia in quanto cattolici (liturgia) sia in quanto uomini liberi (che usano la ragione per valutare gli effetti a partire dalle loro cause).

EFFEDIEFFE ha tradotto in italiano l'opera, che fino ad oggi esisteva soltanto in lingua francese, ed oggi la porge all'attenzione dei suoi lettori, al loro studio, poiché, come ha scritto don Curzio Nitoglia nella sua introduzione al libro, la quale si accompagna a quella originale di L. de Poncins, "nonostante i suoi cinquant'anni, il libro del Vaquié resta sempre attuale e istruttivo".

In esso il tradizionalista Jean Vaquié, esponente della scuola antisovversiva francese, antimondialista, antiliberale e antimodernista, mette in luce come il Giudaismo e la Massoneria, attraverso il cripto marxismo liturgico, si siano introdotti nella Chiesa al fine di sottometterla al Nuovo Ordine mondiale e all'Anticristo, e studia le tappe della nuova «religione umanitaria» o culto dell'uomo, che la setta giudaico-massonica vuole fondare nel mondo.

Difatti, come già scriveva il Delassus, "uno sforzo gigantesco, o meglio satanico, è in atto sul mondo per staccarlo da Dio, per condurlo a ignorare Dio e, con un progresso indefinito, arrivare a far sì che ciò che è stato attribuito a Dio fin dall'inizio del mondo sia d'ora in poi appannaggio dell'uomo. È ciò che viene dichiarato apertamente dalle parole "religione umanitaria" e "deificazione dell'uomo" (Cfr. Il problema dell'ora presente, volume I, capp. XXXXV-LI, Edizioni Effedieffe 2015).

Quest'antropocentrismo è la maggiore empietà del nostro tempo (o mistero di iniquità), già teorizzata dal sacerdote laico del Nichilismo filosofico Nietzsche con la dottrina del Superuomo e che conduce direttamente all'Anticristo. Quindi il Nuovo Ordine Mondiale ha portato la Cristianità stessa a disarmare davanti all'avanzata del male e oggi rende l'umanità prona e pronta ad accettare il trans/umanesimo o fratellanza universale massonica.

La nota essenzialmente anticristica della nuova liturgia il Vaquié la mette perfettamente in luce spiegando in che modo il novus ordo abbia ribaltato i rapporti che la vera religione aveva stabilito per secoli tra l'uomo e Dio.

Difatti, secondo l'insegnamento tradizionale, la parola "culto" significa essenzialmente «l'esercizio della virtù della religione, virtù morale che porta l'uomo a rendere a Dio il tributo di adorazione che gli è dovuto» (Dizionario di Liturgia, voce "Culto", 1956, in ristampa presso ed. Effedieffe). Nel cristianesimo il culto mette ugualmente in azione le virtù teologali di fede, speranza e carità, virtù che uniscono direttamente l'uomo, elevato dalla grazia, al Padre che è nei cieli.

Si distingue così un culto "interno", ovvero devozione dello spirito; e un culto "esterno", espressione esterna e di carattere sociale della devozione interna e individuale.

Si riserva ordinariamente il nome di culto alle manifestazioni sensibili dell'adorazione, altrimenti dette funzioni liturgiche, cioè «atti di culto ufficialmente compiuti dalla comunità dei fedeli, adunati sotto la presidenza della sacra gerarchia» (voce "Culto", op. cit.).

Così compreso, il culto cristiano attinge il suo pieno significato nel sacrificio del Nuovo Testamento, cioè nel sacrificio eucaristico, il quale come ogni sacrificio è latreutico (adorazione), eucaristico (ringraziamento), propiziatorio (perdono) e impetratorio (aiuto divino).

Il culto cristiano è centrato sulla nozione dogmatica di Sacramento. I Sacramenti sono segni sensibili ed efficaci della grazia divina, istituiti da Cristo e perpetuati dal ministero della sua Chiesa. Così l'Eucaristia, sacrificio e sacramento, rende nuovamente presente il mistero redentore della Cena e del Calvario, compiuto duemila anni fa.

Questa nozione del culto cristiano è stata solennemente ricordata all'attenzione dei fedeli dall'Enciclica Mediator Dei di Pio XII sulla santa liturgia.

Infatti, la Liturgia romana di Tradizione apostolica — codificata, restaurata e resa obbligatoria nella Chiesa universale da san Pio V dopo la barbarie liturgica del Luteranesimo — era innanzitutto un culto reso a Dio, solo poi e conseguentemente aveva un carattere pedagogico, ossia cercava di insegnare ai fedeli a mettere in pratica e a vivere lo spirito e la dottrina dell'adorazione dovuta dalla creatura al Creatore.

Tutto il contrario, o quasi, avviene nella nuova Messa di Paolo VI.

"Se la liturgia tradizionale è tutta orientata verso Dio e attira come una calamita i fedeli perché è teocentrica" scrive il Vaquié a pag. 174 del suo libro, "la messa di Paolo VI è una MESSA DI TRANSIZIONE, o piuttosto una MESSA DI DEMOLIZIONE".

Demolizione di cosa? Della religione cattolica in sé stessa. Infatti "religione" viene dal verbo latino "religare", ossia unire due elementi: l'uomo a Dio, in subordine tra loro. Invece con la Nuova Messa non c'è più un soggetto creato che adora (l'uomo) ed un Soggetto increato che viene adorato (Dio). L'uomo e Dio vengono confusi a discapito di Dio, dal che risulta non sussistere più una vera religione che riunisce l'immanente al trascendente.

Questo ribaltamento, o appiattimento tra i due distinti sacerdozi (quello del sacerdote e quello dei laici) è la vera sovversione operata all'interno del nuovo istituto liturgico, concetto sul quale il Concilio Vaticano II, negli ultimi 60 anni, ha spinto più di ogni altra cosa. Il tentativo non è occulto bensì palesemente dichiarato: concedere all'assemblea dei fedeli un ministero di co-celebrazione.

Il fine da raggiungere (ormai palese con papa Francesco) è quello di creare il culto che riunirà tutte le confessioni cristiane; pertanto occorre, tra le altre cose, avvicinare l'uno all'altro i "due sacerdozi" cattolici fino a giungere a fonderli nel sacerdozio universale. Per farlo si impiega il buon vecchio metodo massonico, che consiste nell'abbassare ciò che è divino e nell'esaltare ciò che è umano. Ci viene dunque detto che il sacerdozio dei fedeli non è così interiore come si è ritenuto fino ad oggi e che il sacerdozio dei sacerdoti non è così ministeriale come sembra.

Ma ben sapendo la rivoluzione che non si può enunciare questo in dottrina, comincerà col praticarlo nella liturgia. La dottrina seguirà, secondo la formula: lex orandi, lex credendi.

La manovra è consistita sostanzialmente nel farci praticare dapprima la liturgia della "nuova religione", lasciandoci il tempo per abituarci ad essa. Per poi svelarci la lex credendi, ovvero i fondamenti teologici a cui i redattori della lex orandi si erano ispirati. E i giochi sono stati fatti.

L'insegnamento tradizionale della Chiesa era ovviamente un altro. Stando al Tridentino i "Fedeli" sono persone che, incorporate nella Chiesa mediante il Battesimo, vi restano unite per mezzo della Fede. I fedeli sono distinti dai sacerdoti, dal clero e dai religiosi. Hanno diritto di ricevere dal clero i beni spirituali e di far parte del consiglio parrocchiale per amministrare i beni temporali delle parrocchie, senza mai ingerirsi nel ministero spirituale. Per parte loro i fedeli devono ai loro pastori rispetto, obbedienza ed assistenza, cioè devono sovvenire ai loro bisogni, a quelli del culto e delle opere parrocchiali (voce "Fedeli" dal Dizionario di Liturgia, in ristampa presso Edizioni Effedieffe).

Pertanto, soggiunge molto bene il Vaquié, «non bisogna confondere il sacerdozio comune dei fedeli con il sacerdozio detto "universale" auspicato dalle scuole protestanti. Esse non ammettono, infatti, la distinzione e la gerarchia che la Chiesa insegna tra i due sacerdozi, il comune e il ministeriale. Esse riconoscono un solo ed unico sacerdozio che chiamano universale. Il sacerdozio ESTERIORE è quello del sacerdote. Differisce da quello dei fedeli non solo per il grado ma anche per la natura. È detto "ministeriale", il che significa al tempo stesso pubblico e materiale. Il fedele è sacerdote per lui solo. Il sacerdote lo è per molti. Nella liturgia della messa, la differenza tra i due sacerdozi è rimarcata in molteplici maniere».

Al contrario, già nel 1947, uno dei padri dell'aggiornamento conciliare, l'abbé CONGAR, nel Bulletin d'Ecclésiologie, in Revue des Scienc. Ph. et Théol., pp. 77-96, scriveva che «si cerca [= i novatori cercavano già a quell'epoca] di restituire al mistero della Chiesa tutta la dimensione divina ed umana. Tutta la dimensione divina affermando e mettendo in luce il suo intimo rapporto con Cristo, l'azione determinante e continua dello Spirito Santo, il primato della grazia; tutta la sua dimensione umana mettendo in luce l'attività del corpo totale dei fedeli, del loro compito cultuale e apostolico, della loro realtà pienamente ecclesiale».

Bastino questi brevi accenni per poter dire che è innegabile che con la Nuova Messa l'uomo abbia preso il posto di Dio o perlomeno tenda progressivamente a soppiantare Dio, essendo il nuovo impianto liturgico fluido e predisposto ad ulteriori cambiamenti, perché per mezzo della sua "geometria variabile" esso è stato organizzato, la cosa è indubitata, per dei cambiamenti ancora più profondi, come abbiamo visto oggi con il papa Francesco.

Come giustamente commenta il Vaquié: «Questa messa non è né stabile né sicura. Non sappiamo dove ci conduce perché non oppone più limiti alla propria mutazione».

Paolo VI aveva aperto la via al concetto di mutabilità asserendo che: «[si deve] ...fare della Messa più che mai una scuola di profondità spirituale e una tranquilla ma impegnativa palestra di SOCIOLOGIA CRISTIANA» (Udienza generale del 26 novembre 1969 dal titolo "Effusione degli animi nella Assemblea Comunitaria, ricchezza del nuovo rito della Santa Messa").

Invece, ciò che Dio vuole è un tempio in suo onore, perché Dio ha creato tutto per la sua gloria, ed Egli conserva tutto per tale fine, il solo fine degno della sua grandezza e della sua indipendenza.

Nei luoghi benedetti Dio deve riceve l'adorazione delle sue creature. Non il contrario.

Addirittura, affinché la società possa tornare ad essere cristiana, occorrerebbe che Dio fosse adorato anche nella società stessa, ovvero che in essa Dio tornasse ad essere il Padrone delle volontà libere degli uomini; e che la sua legge rimanesse il principio e il controllo di tutte le leggi umane. Se ciò non è possibile, a causa del liberalismo massonico che ha distrutto l'Europa cristiana, il cattolico è tenuto perlomeno a garantire questo stato di cose nella Chiesa. Se anche in questo luogo, oggi, ciò viene meno, allora è veramente il preludio al regno dell'Anticristo. È chiaro.

Quindi dobbiamo costantemente ribadire un importante concetto: non esiste neutralità religiosa (quello della neutralità è un vecchio trucco massonico). Alla religione del Dio vivente se ne oppone un'altra, la religione di Satana; contro la religione di Cristo, la religione dell'Anti-Cristo.

Il regno neutro dell'umanesimo, che voleva stabilirsi in un ordine intermedio tra il cielo e l'inferno, oggi va sempre più corrompendosi, e spalanca l'abisso di sopra e di sotto. Contro il Dio-Uomo non si erge l'uomo del regno neutro intermedio, ma l'uomo-Dio, l'uomo che si è messo al posto di Dio ma che è irrimediabilmente votato, se Dio non avrà pietà di lui, all'auto-distruzione come un novello Icaro.

Oggi, purtroppo, costatiamo come la nostra società sia un tempio in rovina; un tempio contaminato, dove al posto del Dio vivente, è l'uomo, o meglio, sono i potenti di questo mondo, i nuovi dèi, a reclamare onori idolatrici.

È qui che si inserisce autorevolmente lo studio del Vaquié, il quale per sua stessa natura è maggiormente antisovversivo di quanto non sia prettamente ecclesiologico. Non a caso il de Poncins, introducendo l'opera dell'amico Vaquié, inquadra il problema della rivoluzione liturgica di Paolo VI alla luce della "guerra occulta" che ha portato la sovversione all'interno della Chiesa.

Insomma, la Nuova Messa del 1969 è stata un'ulteriore tappa dell'instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale, come trampolino di lancio del Regno dell'Anticristo finale dopo il Concilio Vaticano II (1962/65) e questa rivoluzione è stata prefabbricata e preordinata con lungimiranza e precisione proprio come tutte le rivoluzioni politiche, filosofiche, economiche, sociali e belliche.

Come saggiamente riecheggia il Vaquié dal grande maestro H. Delassus:

"L'Alta Vendita voleva la rivoluzione in cappa e tiara? Oggi [con la nuova messa] l'ha avuta".

Perché questa autoritaria abrogazione dell'antico messale è una "vittoria per i grandi tecnocrati della sinarchia religiosa di cui il Papa si è circondato".

Nel terminare questa breve esposizione, ci sia permessa una precisazione.

Poiché è sempre necessario fare i conti con la realtà (così ci hanno insegnato i grandi papi, da Pio VII a Leone XIII), si può sopportare un male se non ci sono soluzioni attuali per evitarlo, ma non si può mai canonizzarlo.

Vaquié, saggiamente e dopotutto, trasmette anche a noi questo parere: questa messa "ci tocca SUBIRLA, poiché per la maggior parte del tempo, nella maggior parte delle nostre parrocchie non ne avremo un'altra".

Dunque, anche per l'integro tradizionalista Vaquié la messa di Paolo VI è valida perché non è positivamente eretica. Essa è altresì lecita, poiché è emanata da autorità legittima. Il Vaquié porterà diverse analisi di ottimi prelati francesi tradizionalisti che spiegano il motivo di ciò.

«Tutti i dottrinarî tradizionalisti che hanno analizzato la nuova messa, anche i più severi, —  commenta il Vaquié — concordano nel riconoscere che essa non è positivamente eretica. Non si può che sottoscrivere il loro giudizio».

Quindi, coloro che vi assistono per obbedienza non devono essere criticati, se almeno conservano l'antico spirito.

«Ma — detto questo — non è possibile l'ADOZIONE di tale messa dal profondo del cuore. Poiché favorisce l'eresia e genera una pietà filantropica. [Quindi] è più saggio e prudente rimanere fedeli alla messa immemorabile detta di SAN PIO V. Questa è la vera obbedienza in spirito e verità. Questa fedeltà non può essere tacciata di disobbedienza».

Il Signore poi, a cui nulla è impossibile, aiuterà quel fedele, che per obblighi di stato o di impedimento debba seguire la messa nuova, a non scivolare nell'eresia dottrinale.

L'opera di Jean Vaquié inquadra perfettamente il problema della rivoluzione liturgica alla luce della guerra operata dalle due forze principali della rivoluzione: il Giudaismo talmudico e la Massoneria declinati nel Comunismo o cripto-marxismo liturgico.

E riconduce la sua ragion d'essere nel grido degli eroici assertori di Dio quali furono i Maccabei: «Siate uomini, siate valorosi nel difendere la legge» (I Mach. II, 64).
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Derry

Un saluto a tutti,
riprendo a scrivere dopo una pausa dovuta a motivi di salute (niente a che fare col Covid, solo acciacchi più o meno gravi), sono contento di intervenire su questo argomento, che trovo fondamentale per noi Cattolici.

Da quando assisto alla celebrazione della S.Messa in latino mi rendo sempre più conto dell'importanza che ha la liturgia del rito Tridentino sui fedeli e sulla preghiera. Infatti, se confrontiamo le due realtà, Messa in latino e Messa celebrata nelle Parrocchie "moderne", vediamo che la S Messa in latino è qualcosa di assolutamente stupefacente: non solo al Sacrificio di Cristo viene data l'importanza che deve avere, ma per un tempo indefinito i fedeli sono concentrati nella preghiera e nell'adorazione, senza telefonini che squillano o cani, parcheggiati tra le panche, che ogni tanto si mettono ad abbaiare. Nella Messa solenne poi, il canto gregoriano sale come preghiera corale, che differenza con le strimpellate delle chitarre politicamente corrette!
Quello che scrivono gli autori degli articoli che compongono questo topic è condivisibile: ad esempio, il "decentramento" del Tabernacolo è già visibile in diverse chiese che conosco personalmente e il fatto che si voglia trasformare la chiesa stessa in una specie di "aula liturgica", disadorna e spoglia, da destinare magari ad usi vari, mi ricorda che, già molti anni fa, negli USA osservai proprio questa sorta di... condivisione dell'edificio. 
Se vogliamo impedire tutto questo, dobbiamo continuare a partecipare alla Messa in latino: da quel che vedo nella mia realtà, i fedeli che la seguono aumentano ogni volta.
"Nothing can stop the man with the right mental attitude from achieving his goal; nothing on earth can help the man with the wrong mental attitude."

Finnegan

#29
Bentornato Derry, sono lieto di risentirti e di sapere che stai bene e frequenti una parrocchia tridentina.
Una cosa che si nota subito assistendo alla Messa di sempre è la facilità con cui si prega, laddove nell'altra è necessario uno sforzo per raccogliersi nonostante il rito chiassoso e disadorno.
Oltre al beneficio personale, il futuro della Chiesa in Occidente è letteralmente nelle nostre mani: più questo rito si diffonde più c'è speranza che il nostro Paese rimanga (e torni) cattolico.
Come hai osservato, i fedeli che vi assistono aumentano ogni volta!
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Finnegan

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Finnegan

Rassegna stampa per "La libertà per la Messa in latino" (ma si legga pure l'articolo in calce)


Cari Amici,
l'iniziativa di sensibilizzazione a favore della liturgia tradizionale, di cui vi abbiamo parlato poche ore fa sta trovando una vasta eco nella stampa e nella blogosfera.

Qui i riscontri della stampa (che non sempre ha capito i toni e il senso dell'iniziativa).

Italiana:

Affaritaliani "Papa Francesco contro il latino: roma si tappezza di manifesti contro di lui" (di G. Vatinno, 28.3.23);

Barbadillo, "Chiesa cattolica. Mobilitazione per la "Messa in Latino a Roma" (28.3.23);

Campari & de Maistre "Messa in latino libera! Manifesti intorno al Vaticano" (del Comitato promotore, 28.3.23);

Chiesa e postconcilio, "La Messa proibita: una campagna per la tradizione a Roma" (28.3.23);

Dagospia, "Ite missa est. intorno al Vaticano sono comparsi alcuni poster in difesa della Messa in latino" (28.3.23);

Duc in altum di A. M. Valli,"I manifesti per la Messa tradizionale: far sentire la voce di chi non ha voce"1 (28.3.23)   e "Da oggi a Roma una campagna per la liturgia tradizionale" 2, (28.3.23);

Il faro on line: "Roma tappezzata con manifesti contro Papa Bergoglio e la stretta sulla Messa in latino" (28.3.23);

Il faro di Roma: ""In zona Vaticano sono comparsi alcuni manifesti a favore della Liturgia tradizionale. Un brutto segnale, la Chiesa non è un partito" (di S. C., 28.3.23);

Il fatto quotidiano, "Vaticano Manifesti contro Papa Francesco e la sua scelta di proibire la Messa in latino" (28.3.23);

il Giornale online "Basta guerra alla Messa in latino" (di N. Spuntoni, 28.3.23);

Inside the Vatican, "Lettera 78/2023, Messa antica (28.3.23);

Korazym "La Messa proibita: una campagna per la tradizione a Roma" (28.3.23);

Libero online "Roma, manifesti chiedono a Bergoglio la Messa Antica. Ma il problema è un altro" (A. Cionci, 28.3.23)

il Messaggero online "Messa in latino, spuntano i manifesti choc contro l'abolizione voluta da Papa Francesco" (di F. Giansoldati, 28.3.23) ;

La Nuova bussola quotidiana "Libertà per la Messa in latino" (S. Chiappalone, 28.3.23);

Il nuovo Arengario, "I manifesti per la libertà di celebrare in Vetus Ordo" (di M. Tosatti, 28.3.23)

Il Pensiero Cattolico, "Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso" (28.3.23);

il Sismografo "La Liturgia tradizionale a sorpresa sui muri romani! (di MiL 28.3.23);

Stilum Curiae (di M. Tosatti) "Messa antica: manifesti attorno al Vaticano" Galleria1 e 2, (28.3.23); qui in spagnolo;

il Tempo "Vaticano sputano i manifesti per la Messa in latino: chi esce allo scoperto contro Papa Francesco" (28.3.2023);

Il Timone "Si salvi la Messa tradizionale dalla sua estinzione programmata" (28.3.23)

La Catholica e la sua contimnuità "La Messa proibita, una campagna per la tradizione a Roma" (28.3.23);



Straniera

ABC News, "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown (di APnews, 28.3.23)

AGENCIA EFE, "La decisión del papa de limitar la misa en latín despierta polémica" VIDEO su YOUTUBE (del 28.3.23)

AP News, "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown (N. Winfield, 28.3.23)

Brújula Cotidiana "Carteles en el Vaticano: "Libertad para la Misa en latín" (S. Chiappalone, 29.3.2023)

Caminante Wanderer, "En defensa de la Mesa tradicional" (del CNSP, 28.3.23);

Cath .ch, "Rome: une discrète campagne d'affichage défend la messe tridentine" (29.3.23);

CNA - Catholic News Agency, 'For love of the pope': Latin Mass supporters post billboards near Vatican" (d. H. Brockhaus, 28.3.2023);

CNA - Catholic News Agency, ""Aus Liebe zum Papst": Anhänger der lateinischen Messe hängen Plakate in Vatikannähe auf" (29.3.23);

Crux, "New pro-Latin Mass posters build on a long Roman tradition" (di J. L. Allen jr, 29.3.23);

Domradio. de, "Einschränkung von Franziskus lockern? Traditionalisten werben für alte lateinische Messe" (29.3.23);

Fraternité St. Pie X FSSPX.NEWS "Rome, une campagne d'affichage pour la messe traditionnelle (29.3.23);

Gloria .tv, "Lateinische Messe: Dutzende von Plakaten in Rom blamieren Franziskus" (28.3.23);

the Independent, "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown (di APnews, 28.3.23);

InfoCatólica, "Federico Catani analiza la campaña en Roma: por amor al Papa y la libertad de la Misa tradizional" (di J. Navascués, 29.3.23);

info Vaticana: (28.3.23);

kath-net, "Rom: ein Manifest "Pro Missa Tridentina - Pro Libertate" und gegen die Verfolgung" (28.3.23);

Katholisch .de, "Traditionalisten starten Kampagne für Erhalt der Alten Messe." (28.3.23);

Kathpress, "Katholische Traditionalisten werben für alte lateinische Messe" (29.3.23);

KTVZ News Channel 21, "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown (di AP, 28.3.23)

Larazon, Carteles en el Vaticano en contra de limitar la misas en latín (di EFE, 29.3.2023) J. CARABAÑA 28.3.23);

López-Dóriga, "Papa Francisco desata polémica por decisión de limitar la misa en latín" (d

LifeSiteNews, "Billboards promoting "the liberty of the TLM" erected around the Vatican (di M. Haynes, 28.3.23);

Mdz, "Vaticano: protestas contra el papa Francisco en los alrededores de la Santa Sede" (28.3.23);

Memo, "Ultraconservadores lanzaron campaña contra el papa Francisco en las calles de Roma" (29.3.23);

MY McMurray, "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown" (di AP, 28.3.23);

National Catholic Register: "Billboard posters defending the Traditional Liturgy appear on streets of Rome" (di E. Pentin, 28.3.2023);

Riposte Catholique, "Une campagne d'affichage pour la Messe traditionnelle à Rome" (28.3.23);

Rorate Caeli, "Dozens of billboards go up around Rome in defense of TLM" (28.3.23);

le Salon Beige "Campagne publicitaire près du Vatican pour la promotion de la Messe traditionnelle (di M. Janva, 28.3.23);

San Francisco Chronicle "Postes near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown" (di AP, 28.3.2023);

Secretum meum mıhı, "Por Amor Al Papa. Por La Paz Y La Unidad De La Iglesia. Por La Libertad De La Misa Tradicional Latina" (EFE, 28.3.2023);

Swissinfo"Aparecen carteles contra la decisión del papa de limitar la misa en latín (di EFE 28.3.23);
Taiwan News, "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown" (di AP, 28.3.23);

the Telegraph "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown" (di AP, 28.3.23);

Toronto Star "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown" (di AP, 28.3.23)

la Vanguardia "Aparecen carteles contra la decisión del papa de limitar la misa en latín" (28.3.23)

The Washington Post "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown" (di AP, 28.3.2023);

Wral News, "Posters near Vatican urge pope to stop Latin Mass crackdown" (di AP,28.3.23);

Da sottolineare il bel pezzo de La nuova bussola quotidiana, che coglie appieno il senso dell'iniziativa. Ve lo proponiamo per intero.

Manifesti in zona Vaticano: "Libertà per la Messa in latino"
di Stefano Chiappalone

Da questa mattina a Roma una serie di affissioni in difesa della liturgia tradizionale attirerà l'attenzione dei passanti e soprattutto di prelati e monsignori che entrano ed escono dalle sacre mura. Il comitato promotore chiede al Santo Padre di guardare anche a quelle "periferie liturgiche" che da tempo "non si sentono più ben accette nella Chiesa".

A partire da questa mattina lo sguardo dei passanti nei pressi del Vaticano sarà attirato da una serie di manifesti che non pubblicizzano prodotti o candidati, ma vogliono invece levare la voce in difesa di qualcosa che proprio da quelle parti appare minacciato: la liturgia tradizionale, la Messa cosiddetta "in latino".

L'affissione, iniziata oggi, durerà per le prossime due settimane. Con l'auspicio che prelati e monsignori che ogni giorno entrano ed escono dalle sacre mura prestino attenzione alla frase che campeggia su tutti i manifesti: «Per amore del Papa. Per la pace e l'unità della Chiesa. Per la libertà della Messa tradizionale latina». Ciascuna delle quattro versioni riporta poi una citazione e l'immagine di uno dei pontefici che più direttamente hanno avuto a che fare con la liturgia tradizionale, quali San Pio V, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – a cominciare dalla "frase simbolo" con cui quest'ultimo restituiva piena cittadinanza a quella forma liturgica: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso». Proprio quello che, inspiegabilmente, sta avvenendo con le recenti misure vaticane che mirano a soffocare e porre fine a quel rito come se non fosse più «sacro e grande» e addirittura sia da considerarsi, appunto, «dannoso».

Non vi sono sigle poiché tutti i promotori «partecipano a titolo personale pur provenendo da diverse realtà cattoliche (come i blog Messainlatino e Campari & de Maistre, e le associazioni Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum e Ass. San Michele Arcangelo)», informa il comunicato stampa, in italiano e inglese, diffuso in concomitanza con l'affissione. Oltre a spiegare le ragioni dell'iniziativa il testo (così come lo slogan) offre un ulteriore contributo a sfatare quella narrazione diffusa, forse anche nelle sacre stanze, che tende a dipingere i fedeli tradizionalisti come una manica di ribelli, retrogradi e – manco a dirlo – nemici del Papa. I promotori agiscono invece «per amore del Papa, affinché sia paternamente aperto alla comprensione di quelle periferie liturgiche che da qualche mese non si sentono più ben accette nella Chiesa». Insomma, una richiesta filiale, da parte di "figli" della Chiesa che ultimamente vengono trattati da "figliastri", a partire dal motu proprio Traditionis Custodes del 2021, ma con particolare recrudescenza dopo che il cardinale Arthur Roche, prefetto del Culto Divino, ha emanato misure ancor più restrittive per legare le mani a quei vescovi che ancora si mostrassero troppo benevoli verso questa parte bistrattata del loro gregge.

Non contro ma pro, dunque – e d'altra parte a dichiarare guerra non sono stati certo i fedeli tradizionalisti. È persino curiosa l'ostinazione della gerarchia che suona le campane a morto per un rito antico e venerabile in nome della (pretesa) unità della lex orandi e al contempo sembra dar spazio a ben altre sperimentazioni liturgiche. Per esempio, la diocesi messicana di San Cristobal promuove l'inserimento di riti maya nella celebrazione della Messa e confida di ricevere l'approvazione romana. Adattamenti già ufficializzati per il rito congolese, :ohmy: che Papa Francesco ha pubblicamente e ripetutamente lodato, considerandolo un battistrada per il rito amazzonico. :shok: E d'altra parte in Belgio si sperimenta a un livello ulteriore, promuovendo apposite liturgie per la benedizione di coppie omosessuali e altre coppie irregolari. Il Santo Padre, stando alle recenti dichiarazioni pubbliche di mons. Johan Bonny, vescovo di Anversa, non avrebbe posto obiezioni: «Il Papa non ha detto né sì né no. "È la vostra competenza"». In breve: tutto appare lecito tranne ciò che la Chiesa ha proclamato e celebrato fino all'altro ieri.

A maggior ragione suona quantomeno bizzarro considerare un rito "scaduto" allo scoccare del Concilio Vaticano II. Ma è proprio ciò che pensa il cardinal Roche, affermando alla BBC che la liturgia tradizionale non va più bene perché «la teologia della Chiesa è cambiata». Eh già: la teologia di ieri, di oggi, di domani (che sarà superata dopodomani), risponderebbe il fedele medio delle "periferie tridentine", immedesimandosi nello sfogo cinematografico (colmo di ruspante ma innegabile sensus fidei) di Mario Brega di fronte al prete parolaio che pontificava sulla «Chiesa de ieri, de oggi, de domani...». Al contrario, proprio richiamandosi alla frase di Benedetto XVI sopra citata, il comunicato afferma che «la crescente ostilità nei confronti della liturgia tradizionale non trova giustificazione né sul piano teologico, né su quello pastorale». Un conto è lo sviluppo organico, ben altro è segnare una cesura tra una Chiesa pre e una Chiesa post. A meno di non voler rifondare la Chiesa da zero, assumendosi così prerogative che in teoria spetterebbero a Nostro Signore.

Una ulteriore spallata alla "narrazione" ecclesially correct viene dai frutti, così sintetizzati: « Le comunità che celebrano secondo il Messale del 1962 non sono ribelli alla Chiesa; al contrario, benedette da una costante crescita di fedeli e di vocazioni sacerdotali, costituiscono un esempio di salda perseveranza nella fede e nell'unità cattoliche, in un mondo sempre più insensibile al Vangelo, e in un tessuto ecclesiale sempre più cedevole a pulsioni disgregatrici». Per esempio, oltralpe (e non solo) i seminari tradizionali si riempiono laddove quelli diocesani si svuotano. Oppure guardiamo ai giovani e giovanissimi che ogni anno affollano il pellegrinaggio Parigi-Chartres, scandito proprio da funzioni in rito antico. È a questi frutti che i vescovi avranno guardato rispondendo per circa due terzi favorevolmente, o al massimo chiedendo qualche aggiustamento, in merito all'applicazione del motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, come ha ricostruito la giornalista Diane Montagna. Ma quel sondaggio fu "sapientemente" sintetizzato, per dire il meno, in funzione del Traditionis Custodes (cioè l'anti-Summorum Pontificum), che ha spazzato via tutto.

Ma nonostante l'«acerbo dolore» e la «grave ingiustizia», il comunicato esprime speranza, tanto più che «nella Chiesa dei nostri giorni, in cui l'ascolto, l'accoglienza e l'inclusione ispirano ogni azione pastorale», anche i fedeli e i sacerdoti che amano la liturgia tradizionale confidano di essere ascoltati, accolti e inclusi. «Chi va alla "Messa in latino" non è un fedele di serie B, né un deviante da rieducare o una zavorra di cui liberarsi». Avanzerà qualche grammo di sinodalità anche per loro?

http://blog.messainlatino.it/2023/03/la-liturgia-tradizionale-sorpresa-sui.html
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Paol

A quanti ne hanno la possibilità mi permetto di consigliare la messa secondo i riti del cristianesimo orientale, celebrati anche da Cattolici. Sono stati anch'essi colpiti dal liturgismo, ma forse non tutti e non così massicciamente come i riti Romano e Ambrosiano.
A Roma, per esempio, c'è il (collegio cattolico) Russicum.
Paol
"God, give us grace to accept with serenity
the things that cannot be changed,
Courage to change the things
which should be changed,
and the Wisdom to distinguish
the one from the other. "
di Reinhold Niebuhr,

Finnegan

Ho assistito a diverse Messe di rito orientale all'estero e posso testimoniare che malgrado siano profondamente diverse dalle nostre, non mi sono sentito straniero. La devozione e il senso di comunità che comunicano non si possono descrivere a parole. Tutti i riti della Chiesa esprimono la stessa fede, ma quello romano moderno ha suscitato molte perplessita e due cardinali ne hanno evidenziato non poche criticità
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Finnegan

#34
La Chiesa sarà piena di coloro che accettano compromessi. L'opera del diavolo s'insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, e vescovi contro vescovi.
Parole della Beata Vergine apparsa ad Akita, Giappone, 1973


Come previsto, una reazione c'è stata e non penso sarà l'ultima. Fonte LifeSiteNews:

Nota dell'editore: Il testo che segue rappresenta la tesi del vescovo Athanasius Schneider secondo cui "la proibizione della Messa latina tradizionale è un abuso di potere ecclesiastico, e l'inosservanza di tale proibizione non costituisce di fatto una disobbedienza".

La liturgia romana tradizionale della Messa era la liturgia dei nostri antenati cattolici. È la forma di Messa con cui sono state evangelizzate la maggior parte delle nazioni europee (ad eccezione di alcuni Paesi dell'Europa orientale e dei riti ambrosiano e mozarabico), tutte le nazioni americane e la maggior parte delle nazioni africane, asiatiche e dell'Oceania.
"Ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi" (Papa Benedetto XVI).
"Il problema del nuovo Messale sta nell'abbandono di una storia sempre continua, prima e dopo San Pio V, e nella creazione di un libro completamente nuovo (anche se compilato con materiale vecchio)" (cardinale Joseph Ratzinger).
La pubblicazione del nuovo Messale "è stata accompagnata da una sorta di proibizione di tutto ciò che l'ha preceduto, che non ha precedenti nella storia del diritto ecclesiastico e della liturgia" (cardinale Joseph Ratzinger).
"Posso dire con certezza, sulla base della mia conoscenza dei dibattiti conciliari e della mia ripetuta lettura dei discorsi dei Padri conciliari, che questo [cioè la riforma così come è ora nel nuovo Messale] non corrisponde alle intenzioni del Concilio Vaticano II" (cardinale Joseph Ratzinger).

La liturgia romana tradizionale della Messa è stata la liturgia di tutti i santi di rito latino che conosciamo almeno per tutto l'ultimo millennio; quindi la sua età è millenaria. Sebbene sia comunemente chiamata Messa "tridentina", la stessa forma di Messa era già in uso diversi secoli prima del Concilio di Trento, che chiese solo di canonizzare quella forma venerabile e dottrinalmente sicura della liturgia della Chiesa romana.
La liturgia romana tradizionale della Messa ha la più stretta affinità con i riti orientali nel testimoniare la legge liturgica universale e ininterrotta della Chiesa: "Nel Messale Romano di San Pio V, come in diverse liturgie orientali, ci sono preghiere molto belle attraverso le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e riverenza davanti ai Sacri Misteri: esse rivelano la sostanza stessa della Liturgia" (Papa Giovanni Paolo II).
Il Papa e i vescovi non hanno quindi l'autorità di proibire o limitare una forma così venerabile della Santa Messa, che è stata offerta dai santi per più di mille anni, così come il Papa o i vescovi non avrebbero l'autorità di proibire o riformare significativamente la forma venerabile del Credo apostolico o del Credo niceno-costantinopolitano, proprio a causa del loro uso venerabile, continuo e millenario.

Rispettare la proibizione abusiva di quella venerabile forma di Messa dei santi, emessa purtroppo dagli attuali ecclesiastici in un momento di crisi ecclesiale senza precedenti, costituirebbe una falsa obbedienza.
L'inosservanza dei divieti della Messa tradizionale non rende scismatici, purché si continui a riconoscere il Papa e i vescovi, a rispettarli e a pregare per loro.
Disobbedendo formalmente a una proibizione così inaudita di un patrimonio inalienabile della Chiesa romana, si obbedisce di fatto alla Chiesa cattolica di tutti i tempi e a tutti i Papi che hanno diligentemente celebrato e comandato la conservazione di quella forma venerabile e canonizzata della Messa.
L'attuale proibizione del rito tradizionale della Messa è un fenomeno temporaneo e cesserà. La Chiesa romana sta vivendo oggi una sorta di esilio liturgico, cioè la Messa latina tradizionale è stata esiliata da Roma; ma l'esilio, sicuramente, un giorno avrà fine.
Poiché la Messa latina tradizionale è in uso ininterrottamente da più di un millennio, santificata dalla ricezione universale nel tempo, dai santi e dai pontefici romani, essa appartiene al patrimonio inalienabile della Chiesa romana. Di conseguenza, in futuro i pontefici romani senza dubbio riconosceranno e ristabiliranno nuovamente l'uso di questa liturgia tradizionale della Messa.

I futuri papi ringrazieranno tutti i sacerdoti e i fedeli che, in tempi difficili, nonostante tutte le pressioni e le false accuse di disobbedienza, e in uno spirito di sincero amore per la Chiesa e per l'onore della Santa Sede, hanno mantenuto e trasmesso il grande tesoro liturgico della Messa tradizionale per le generazioni future.
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Finnegan

#35
Esaminiamo ora, per sommi capi, i principali cambiamenti in senso filo/protestante attuati nella "Messa di Paolo VI", sia nell'architettura liturgica sia nel Rito stesso.
Naturalmente ci occuperemo solo di quelli che sono più facilmente percepibili anche dai semplici fedeli, affinché tutti possano avere le idee chiare sulla discordanza che sussiste tra Rito nuovo e Rito tradizionale.

Cambiamenti architettonici nelle chiese
1) Abolizione sistematica delle balaustre, che delimitano lo spazio sacro del Presbiterio. L'area di quest'ultimo, che prima era riservata ai sacerdoti e agli altri ministri sacri, diviene ora aperta a tutti: chierici e laici. Risultato: abolizione del concetto di "luogo sacro", desacralizzazione del sacerdote, progressiva equiparazione pratica di clero e laicato.
2) Rivolgimento "verso il popolo" dell'altare per la celebrazione. Il sacerdote non si rivolge più a Dio per offrirgli il divino Sacrificio a favore dei fedeli, bensì verso il popolo nell'ambito di una semplice riunione di preghiera.
Da notare che nemmeno in antico l'altare fu mai rivolto "verso il popolo" bensì verso l'Oriente, simbolo di Cristo, come tra l'altro testimonia anche l'orientamento topografico di molte antiche Basiliche. L'altare, anzi la mensa "verso il popolo" è, invece, una creazione tutta personale di Lutero e degli altri pseudo/riformatori del XVI secolo.
3) Progettazione dell'altare, quasi sempre a forma di mensa, ossia di tavola per una cena. La Messa non è più Sacrificio espiatorio, ma diviene semplice cena fraterna. L'altare, infatti, richiama l'idea del Sacrificio offerto a Dio, la mensa invece richiama quella di un pasto comune nell'ambito di un semplice "memoriale". Per questo nei "templi" protestanti si usa – là dove esiste – sempre una mensa e mai un altare.
4) Il Tabernacolo, secondo le nuove rubriche della "Messa di Paolo VI", può essere rimosso dal centro del presbiterio. Recenti disposizioni, come, ad esempio, quelle della Conferenza Episcopale Italiana, hanno perfezionato l'opera, prevedendo un suo graduale spostamento in un'apposita cappella laterale. Per non irritare i protestanti; così la Presenza permanente di Nostro Signore Gesù Cristo nel Tabernacolo non disturberà più l'«irreversibile cammino ecumenico».
5) Al centro del presbiterio, in genere al posto del Tabernacolo, è situata ora la sede del sacerdote celebrante. L'uomo prende il posto di Dio, mentre la Messa diventa un semplice incontro fraterno tra l'assemblea e il suo "presidente" ossia l'ex sacerdote, ridotto ormai a semplice regista, "animatore liturgico" della nuova antropocentrica "Chiesa conciliare".
In quest'atmosfera da festa si inserisce, con l'approvazione entusiasta dei Vescovi, il filone yéyé delle varie orchestrine parrocchiali più o meno giovanili, destinato a riscaldare l'atmosfera con ritmi e ballabili vari (in non poche "eucaristie conciliari" si balla ormai a tutti gli effetti).

Cambiamenti dogmatico/liturgici nel rito della Messa
l) Sono abolite le preghiere iniziali ai piedi dell'altare al termine delle quali, tra l'altro, il sacerdote si riconosceva indegno di entrare nel Santo dei Santi per offrire il Sacrificio divino, e invocava l' intercessione dei Santi per essere purificato da ogni peccato.
Al loro posto, nella Nuova Messa antropocentrica il "presidente dell' assemblea" si effonde in una prolusione preliminare di benvenuto, spesso semplice preludio del suo scatenarsi in una "creatività liturgica" più o meno anarchica.
2) È abolito il doppio Confiteor (il primo era recitato dal solo celebrante, il secondo successivamente dal popolo) che distingueva il sacerdote dai fedeli, i quali gli si rivolgevano chiamandolo "pater", "padre".
Nella "nuova Messa", in cui il Confiteor è recitato una sola volta tutti insieme, il sacerdote per i fedeli non è più "pater" ma un semplice "fratello" alla pari con loro, democraticamente e protestanticamente annegato – appunto – nell'attuale "Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli...". insomma siamo "tutti fratelli...".
3) Le letture bibliche possono essere proclamate anche (oggi possiamo ben dire che sono proclamate invariabilmente) da semplici laici, uomini e donne.
Il tutto contro la proibizione risalente alla Chiesa dei primi secoli che aveva sempre riservato tale compito ai soli membri del clero a partire dal Lettorato, che era, appunto, uno degli Ordini minori attraverso i quali si diveniva chierici. Tra i protestanti, invece, non esiste clero, ma solo ministri e ministeri (per questo la "riforma di Paolo VI" ha abolito quelli che erano gli Ordini clericali minori e al loro posto ha istituito, appunto, dei... Ministeri: lettorato e accolitato) e chiunque – uomo o donna – ha accesso all'ambone...
4) Nell'Offertorio dell'antica Messa il sacerdote offriva Cristo come Vittima al Padre in propiziazione ed espiazione dei peccati con parole inequivocabili: "Accogli, o Padre Santo... questa Vittima immacolata che io, indegno tuo servo, Ti offro... per i miei innumerevoli peccati... e per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti [...]. Quest'offerta dia a me e a essi la salvezza e la vita eterna".
Quest'aperta sottolineatura dell' aspetto propiziatorio della colpa ed espiatorio della pena nella Messa è sempre stata indigesta per i Protestanti, tanto che le prime parti dell'antica Messa Romana soppresse da Martin Lutero furono proprio le preghiere offertoriali. Adesso, nell'Offertorio della "nuova Messa" di Paolo VI, il "presidente dell'assemblea" – ex sacerdote – offre solo pane e vino affinché diventino un indeterminato "cibo di vita eterna" e una quanto mai vaga "bevanda di salvezza". L'idea stessa di Sacrificio propiziatorio ed espiatorio è accuratamente cancellata.
5) Nella "Messa di Paolo VI" il Canone Romano è, sì, mantenuto, tanto per salvare la faccia, ma in forma mutilata. Gli sono state però affiancate, col chiaro scopo di soppiantarlo gradualmente, altre tre nuove "preghiere eucaristiche" (II, III, IV) più aggiornate, frutto della collaborazione di sei "esperti" protestanti, nelle quali – tanto per intenderci – il "presidente dell'assemblea" ringrazia Dio "per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale" (Preghiera II), fondendo il suo ruolo e quello dei semplici fedeli in un unico "sacerdozio comune" di luterana memoria; oppure, ancora, si rivolge a Dio lodandolo perché Egli continua "a radunare... un popolo, che (nell'edizione latina è detto ut, cioè "affinché") da un confine all'altro della terra offra... il Sacrificio perfetto" (Preghiera III), dove il popolo – e non più il solo sacerdote – sembra diventare l'elemento determinante affinché avvenga la consacrazione.
Nella seconda fase del piano di protestantizzazione, nel "Messale di Paolo VI" sono state inserite altre quattro "Preghiere eucaristiche" che si spingono ancora oltre.
Vi si afferma, infatti, che Cristo "ci raduna per la santa cena" (concetto e terminologia del tutto protestanti), mentre il "presbitero-presidente conciliare" non chiede più che il pane e il vino «diventino» il Corpo e il Sangue di Cristo (come ancora faceva nelle "Preghiere" II, III e IV), ma solo che "Cristo sia presente in mezzo a noi con il suo corpo e il suo sangue". Una semplice e vaga "presenza" di Cristo "in mezzo a noi". Niente più transustanziazione, né Sacrificio espiatorio e propiziatorio. Senza dei quali, però – dovrebbe essere superfluo ricordarlo – non esiste neppure la Messa
.
Il "sacrificio", di cui si parla successivamente nella medesima "Preghiera eucaristica", deve intendersi, dunque, necessariamente solo come "sacrificio di lode" (cosa ancora accettata da Lutero e compagni, i quali invece rifiutavano assolutamente l'idea di sacrificio espiatorio e propiziatorio).
6) Nel nuovo rito di Paolo VI in tutte le "Preghiere eucaristiche" (compresa la prima) è stato fatto scomparire il punto tipografico che precede le parole della Consacrazione. Nell'antico Messale Romano questo punto fermo obbligava il sacerdote a interrompere la semplice "memoria" degli eventi dell'Ultima Cena, per iniziare invece a "fare", ossia a rinnovare incruentamente, ma realmente, il divino Sacrificio.
Il presbitero-presidente conciliare si trova ora in presenza di due punti tipografici, che finiranno per spingerlo – psicologicamente e logicamente – a continuare solo a far memoria, e a pronunziare dunque le formule di Consacrazione con intenzione solo commemorativa (esattamente come nella cosiddetta "santa cena" protestante).
7) È abolita la genuflessione del sacerdote immediatamente dopo la Consacrazione di ciascuna delle due Specie, genuflessione con cui egli esprimeva la fede nell'avvenuta transustanziazione a motivo delle parole consacratorie appena pronunciate. Cosa assolutamente inaccettabile per i Protestanti, i quali, com'è noto, negano il Sacerdozio derivante dal Sacramento dell'Ordine con tutti gli speciali poteri spirituali che ne conseguono.
Ora, invece, nella "Nuova Messa" di Paolo VI il "presidente dell'assemblea" s'inginocchia una sola volta e non immediatamente dopo la consacrazione, bensì solo dopo aver elevato ciascuna delle due Specie per mostrarle ai fedeli presenti, ciò che risulta pienamente accettabile per i Protestanti, per i quali Cristo diviene presente (senza alcuna transustanziazione) sulla "mensa" della "santa cena" esclusivamente grazie alla fede dell'assemblea.
È evidente che, per l'ennesima volta, il "nuovo rito" dei conciliari viene largamente incontro ai cosiddetti "fratelli separati".
8] L'acclamazione dei fedeli al termine della Consacrazione, pur presa dal Nuovo Testamento, è in quel momento del tutto inopportuna e fuorviante: introduce, infatti, un ennesimo elemento di ambiguità presentando un popolo "in attesa della Tua [di Cristo] venuta" proprio mentre Egli, invece, è realmente presente sull'altare come Vittima del Sacrificio espiatorio/propiziatorio appena rinnovato.
La cosa – come del resto tutte le altre modifiche e innovazioni – si rende più evidente quando la s'inquadra nel contesto generale di tutti gli altri mutamenti.
9) Nell'antico Rito Romano al momento della Comunione i fedeli, umilmente inginocchiati, ripetevano a imitazione del centurione (Mt. VIII, 8]: "O Signore, non sono degno che Tu entri nella mia casa, ma di' solo una parola e l'anima mia sarà guarita", espressione di esplicita fede nella Presenza reale del Signore sotto le sacre Specie.
Nella "Messa di Paolo VI", invece, i fedeli si limitano a dire di non esser degni di "partecipare" alla "tua mensa", espressione del tutto indeterminata, perfettamente accettabile anche in ambiente protestante.
10) Nell'antica Messa Romana l'Eucaristia veniva ricevuta obbligatoriamente in ginocchio, sulla lingua e usando ogni precauzione per evitare la caduta di frammenti (con l'uso di un piattino).
Nella "Messa di Paolo VI", invece, secondo la solita strisciante tattica modernista, si cominciava col prevedere "ad experimentum" la semplice possibilità di ricevere la Comunione in piedi. In breve tempo, la Comunione in piedi è stata resa praticamente obbligatoria. Successivamente, è stata introdotta – ad opera delle varie Conferenze Episcopali – la Comunione sulla mano, entusiasticamente propagandata da un "clero conciliare" senza più fede e completamente indifferente di fronte agli inevitabili sacrilegi, volontari o meno, ai quali viene così sottoposto il Corpo di Cristo. Con la "Pandemia" del 2020 la Comunione in mano è diventata praticamente obbligatoria dappertutto.
11) La distribuzione della SS.ma Eucaristia non è più riservata al Sacerdote o al Diacono come stabilito fin dall'epoca apostolica; dietro autorizzazione del Vescovo, ora godono della stessa facoltà anche Suore o semplici laici.

Conclusione
Ricordiamo qui, per concludere, il grave ammonimento di quel celebre studioso di sacra Liturgia che fu Dom Prospero Guéranger. "Il primo carattere dell'eresia anti/liturgica è l'odio per la Tradizione nelle formule del culto divino. Ogni settario che vuole introdurre una nuova dottrina si trova infallibilmente in presenza della Liturgia, che è la Tradizione alla sua massima potenza, e non potrebbe aver riposo senza aver messo a tacere questa voce, senza aver strappato queste pagine che racchiudono la fede dei secoli passati".
Petrus
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Riverrun, past Eve and Adam's, from swerve of shore to bend of bay, brings us by a commodius vicus of recirculation back to Howth Castle and Environs

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