Generazione perduta? Vedono gente, fanno cose e si perdono la parte migliore

Aperto da Finnegan, 22 Settembre 2018, 09:28:15 PM

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Finnegan


Questo articolo de La Stampa (ed. cartacea) di oggi ben riflette il clima mentale di molte donne fino a 40 anni: quasi sempre perse in futilità (qualcuno le definì "cazzeggio e amiche del cazzeggio"), al più viaggi pseudoumanitari e altro futile volontariato, fino a quando scoprono di aver mancato la loro esistenza. Diventando la generazione perduta di quest'epoca:

Madre (psicologa) e figlia (liceale) cercano di vivere con determinazione finché una gravidanza inattesa le costringe ad affrontare le proprie ombre

«La città era lo specchio del cielo»: cosi comincia La parte migliore di Christian Raimo. Tanto la città che il cielo, «una marmellata grigio scuro e piena di bolle», non promettono niente di buono. E rinviano al sovrasenso spirituale che in Raimo, ogni volta, riscatta il realismo emotivo partito preso, oggi, non solo suo. Il titolo è infatti evangelico: ricorda Cristo nella casa di Lazzaro e delle sue sorelle quando, a differenza di Maria, «distolta per i molti servizi» Marta non ascolta la sua parola: «tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». Sembra di antivedere un tempo, il nostro, in cui manca sempre lo spazio, mentale e morale, per prestare attenzione a quello che davvero conta. La parte migliore è allora il rovescio di quella che l'anticristiano Georges Bataille chiamerà la parte maledetta, il «gioco dell'energia non limitato da alcun fine», e consiste nel sapersi rivolgere al fine più importante. Lo stesso problema al centro del Peso della grazia, il primo romanzo di Raimo sei anni fa, è ora quello di Leda e Laura: madre e figlia adolescente, a specchio come in Persona di Bergman.
Nelle loro vite c'è un non detto, davvero una parte maledetta: Adriano, il fratello di Laura morto a cinque anni. A lui pensa sempre il padre lontano, Giuseppe; a lui si rivolge Leda quando cerca raccoglimento; e sempre lui, forse, spinge Laura nei suoi astratti furori nelle malebolge di periferia. Leda, psicologa, assiste i malati terminali; ma al «grandangolare» del dolore non s'è mai assuefatta. È la forma, questa, in cui cerca di darsi ragione di quel buco non rimarginato: equilibrio che va in pezzi quando Laura, dopo un rapporto occasionale, le dice di aspettare un figlio.
Corne un personaggio di Nanni Moretti a lungo ha «fatto cose», Laura. Musica, volontariato
, soprattutto ha provato a scrivere. Le continuano a piacere «le rime difficili: pullman/Liv Ullmann» (l'attrice di quel film), e «l'unica arma vera che abbiamo a disposizione, pensa Laura senza pensare, è la forma poetica». I soli con cui parla sono Gozzano, Cristina Campo, qualche contemporaneo che non consola. I poeti insegnano una virtù fuori moda, appunto «l'attenzione»: quella che Walter Benjamin chiamava «preghiera naturale dell'anima». Ne scrive, anche, poesie; cosi prova a «imporre una forma al suo caos».
Ora perà lei e i genitori vagano in periferie in cui «tutto sa di declino», galleggiano in un mare di solitudini con sparute, assediate isole di solidarietà, cercano qualcuno  uno psicanalista, un padre spirimale, un amico da far sballare  con cui spiegarsi. Finché non salta fuori che l'origine del guasto, la morte di Adriano, proprio da una mancanza d'attenzione dei genitori era stata causata. Più compatto e intenso dell'ambizioso e discontinuo Peso della grazia, anche La parte migliore è aduggiato però dallo «spiegone» di una lettera di Giuseppe alla figlia. La leggiamo solo noi, forse, ma solo dopo Leda capisce che i dialoghi spettrali col figlio morto non possono più bastarle. Si chiedono beckettiani i versi di Laura: «uno la puòp avere un'altra giovinezza, / e sbagliare meglio, di più e ancora, / confondere illusione con certezza, / sovrapporre una storia a un'altra storia?».
A decidere non saranno gli umani. Corne un deus ex machina il finale è trascendente, incongruo e poetico corne la pioggia di rane alla fine di Magnolia di Paul Thomas Anderson. La sera prima dell'aborto, un evento fa vedere a Laura la città corne «una cosa nuova»; «le cose non erano soltanto cose», e quella marmellata suburbana all'improvviso prende forma. Corne diceva Benjamin, solo quando una casa va in flamme si vede la sua architettura. Non sa ancora cosa stia pensando, Laura, quando pensa che quello puô «essere un inizio invece che una fine». Cosi la vita subentra alla morte. O piuttosto, forse, questa vita che crediamo di scegliere è solo la forma che diamo, alla morte che vivendo scontiamo.
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