La città delle donne di F. Fellini

Aperto da Junio1, 12 Luglio 2020, 09:01:30 PM

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Junio1

Per gli amanti del cinema del grande  Maestro riminese, ed io lo sono, uno dei kolossal cinematografici visionari più' belli sul confronto uomo-donna che ho visto. Il tribunale delle femministe del finale con annesso incontro sul ring anticipa il linciaggio nazifemminista di oggi:

https://www.cinematographe.it/recensioni/la-citta-delle-donne-recensione/

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La città delle donne è un film sul femminile, sul maschile, un film che analizza il contemporaneo, portando al centro dell'agone le idee delle donne.

Di Eleonora Degrassi -10 Giugno 2020 18:59

Un uomo, una donna, un marito, una moglie. Un treno. Questi sono i tre ingredienti da cui parte La città delle donne, il film di Federico Fellini del 1980 che racconta di Snaporaz, un uomo maturo, incauto e indifeso, incarnato da Marcello Mastroianni, uno dei volti feticcio del cineasta, che scende dal treno dove sta viaggiando con la moglie Elena per seguire "la signora del treno" – che lo sconvolge e lo conturba. Fellini con questa pellicola  si addentra nei pericolosi meandri del pianeta-donna, un pianeta di cui conosce le curve pericolose, le forme voluttuose, le ombre del volto, un corpo che è stato oggetto e soggetto delle sue fantasie e dei suoi turbamenti. Era un film difficile per il regista, una interessante scommessa, una rappresentazione che legge la realtà, l'attualità (il femminismo).

Il protagonista, anelante al corpo della donna del treno, entra in un albergo dove si sta svolgendo un congresso di femministe che parlano usando formule fisse, slogan, le parole da cui è nata l'ondata rivoluzionaria che ha modificato il modus vivendi, cogitandi della donna in rapporto a se stessa, al maschio e alla società. Snaporaz rappresenta il maschio comune (e quindi Fellini), quello che l'ha sempre bramata, desiderata in quanto tale, perché ne ha bramato le carni, il sesso, e per questo non riesce a capire: accetta le affermazioni e annuisce; tutto questo per averle senza rendersi conto che la dinamica uomo-donna si è modificata. L'uomo, a poco a poco, capisce che per lui è troppo, comprende che è il caso di fuggire e finisce nel castello di Katzone, un santone dell'eros che vive in un reliquario sessuale, popolato da femmine, simbolo della donna-oggetto. Dal castello Snaporaz finisce in un'aula di tribunale dove le femministe condannano gli uomini e passa in un'arena dove avrebbe dovuto essere linciato. Di nuovo riesce a fuggire su una mongolfiera con le fattezze di una donna fino a che non si risveglia sul treno, davanti alla moglie.

La città delle donne è un film sul femminile, sul maschile, un film che analizza il contemporaneo, porta al centro dell'agone le idee delle donne, l'odio che molte di quelle femministe avevano nei confronti dell'Uomo per molto tempo severo carceriere – e non è un caso che Snaporaz sia loro prigioniero -, animale bramoso di possederle senza se e senza ma – ora invece la situazione si è sessualmente ribilanciata; si pensi alla donna che cerca di possedere Snaporaz e il palpeggiamento della stessa quando si presenta nel castello vestita da poliziotta. L'uomo è intimidito da quella donna potente che non è più vittima dei baci, delle carezze, delle voglie maschili ma che è agente, decisa ad avere un posto nel mondo, nella società, vogliosa tanto quanto l'uomo. Snaporaz è spaventato, sconvolto da quel cambio radicale che fa riferimento ad un bagaglio culturale errato e arretrato in cui il maschio si è crogiolato. Fin da subito il protagonista comprende la straordinarietà della donna del treno le cui mani, le cui labbra si appoggiano su di lui come farebbe un uomo qualunque.

Snaporaz e Fellini, specchio l'uno dell'altro
Alla sua uscita, nel 1980, il film di Fellini è stato criticato, soprattutto per la descrizione deformata delle femministe – le donne se la prendono con Snaporaz in quanto uomo, se la prendono per tutto ciò che hanno subito, lo aggrediscono usando parole che sembrano stanchi slogan. La città delle donne però è non solo un racconto sulla donna ma anche su come essa si rapporti all'uomo e su quanto il maschilismo sia insito nell'uomo che Fellini rappresenta.

Lo si sa bene: la guerra ha modificato le dinamiche di coppia, ha dato forza alla donna, fino a poco prima relegata ad angelo del focolare, che si è presa il posto che avrebbe dovuto avere. Sullo schermo appare un uomo maturo, cresciuto durante il fascismo, rappresentato da Mastroianni che emblematizza Fellini, che mostra un'identità ben precisa: infantile, mammone, egoista; Snaporaz ha lasciato sua moglie sul treno e quando la ritrova tenta di trattenerla sopportando poco la sua nuova libertà, le sue decisioni ma poi si crogiola nelle sue decisioni – parafrasando le dice: "non ci siamo separati?".

L'Uomo è spaventato da questa donna forte, sicura, desiderante tanto quanto lui – è sempre stato abituato alla caccia, quando viene cacciato lui cambia, non capisce -, libera tanto quanto lui. La villa-bunker di Katzone, doppio priapesco, ridicolo e mostruoso del protagonista che è a sua volta doppio di Fellini – un amante estremo delle donne -, rappresenta l'incapacità del maschio di capire che le cose si sono modificate, vivendo ancora sulle macerie del passato, di cliché su cui la società si è fondata. L'archivio-labirinto dove Katzone conserva gli audio e le immagini delle sue conquiste, un malinconico e ingenuo monumento dell'uomo che è stato, luogo che ha le forme del cimitero, un mausoleo della Donna che ha incontrato.

La città delle donne è visionario e onirico come è onirico e al tempo stesso carnale il pensiero che Fellini fa intorno alle donne; è un lungo sogno a tratti addirittura un incubo in cui viene evocato lo spaesamento di una generazione costretta a misurarsi col fallimento (della nazione, del proprio genere, di un immaginario/schema culturale che si è costruito da anni e anni). Si fa album di idee, sentimenti, emozioni, ma è anche a tratti grottesco come anche farsa lunare, ma ciò che si evince è che Fellini racconti le difficoltà della relazione, quella profonda, totale, tra uomo e donne.

Una fiaba composta da molti toni
Fellini scrive una fiaba che gioca con il tono, a volte sogno, altre scherzo e ancora ricordo. Riscopre, porta a galla, rilegge e si prende gioco delle cose, malinconicamente del latin lover che è stato (desideroso di accoccolarsi sul seno di una donna fin da piccolo, anelante al corpo di un'infermiera che lo stava curando e così via), si autocita (le donne giunoniche, lo struggimento del suo cinema) e compone un'altra delle sue fantasmagorie che a tratti può lasciare perplessi per quei salti pindarici che ci portano da un luogo all'altro, da un posto all'altro, da un piano all'altro.

Il protagonista appare come una sorta di Alice nel Paese delle Meraviglie, popolato dalla sessualità che in qualche modo ripercorre gli episodi della piccola eroina di Carroll: l'arrivo nel mondo, cadendo nella tana del Bianconiglio, la conoscenza delle creature che abitano quel luogo, il desiderio di fuga, il tribunale che mette sotto accusa il protagonista. Ciò che appare evidente è che Snaporaz (e quindi Fellini) sia impotente nei confronti della nuova donna.  Fellini pone al centro la Donna, mitica, superiore, inviolabile, e l'uomo ne è vittima, pur non rendendosene conto – perché gli è stato insegnato che la donna è preda -: pensiamo alle enormi terga femminili che sembrano un'esagerata rappresentazione di ciò che Lei è stata per molto tempo, un oggetto del desiderio nelle mani del maschio.


Junio1

#2
Il film prende in giro la figura di un facilone latin lover attempato non è certo generalizzabile a tutti gli uomini se no non lo postavo, è comunque una travolgente esperienza sensoriale cinematografica come poche nel cinema, un grande giro nel gigantesco luna park onirico pop del Maestro che consiglio senza impegno a tutti gli amanti della Settima Arte.

Finnegan

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Junio1

BRAVO! Infatti ha anticipato in Mastroianni anche l'uomo asservito di istinto alla donna di oggi.

Persino in scene di contorno come questa il Maestro ha anticipano nel '76 la gioventu'  impasticcata di extasy di uscita in macchina dalle discoteche e dai rave apparsa negli anni '90 che a casa non ci arrivava.




Junio1

Se non l'hai visto te lo consiglio spassionatamente qui la fantasia decolla come un boejng sfonda gli standard comuni di ogni film visionario e arriva all'estasi dei sensi oltre il quale non si puo' andare nel finale. Fellini per me è stato l'autore più' completo profondo e geniale della storia del Cinema e questo è il film più' spassoso e grottesco che abbia mai visto.

https://www.raiplay.it/video/2020/01/La-citta-delle-donne-6d4025b5-9a9f-47cf-a2eb-7e2b77146944.html

Finnegan

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johann

#7
un regista e' grande quando si conquista il rispetto anche di quanti non ne sono dei devoti ammiratori come il sottoscritto
io penso che con i propri gusti non si puo venire a patti, o scatta il feeling "fatale"  spontaneo e gratuito  oppure le proprie preferenze finiscono in pasto alla  volonta' soggettiva  che gira rigira alla fine impone quello che vuole lei     
(per convesso esattamente la malattia del clientelare fazioso e minimalista cinema italiano contemporaneo completamente gramscianizzato che anziche "liberare"  la liberta' d'espressione e promuovere talenti  si e' ridotto a una specie di self service per il soddisfacimento in forma cinematografica del narcisismo autoreferenziale della propria platea/clientela ideologizzata,  .....propaganda del pensiero unico, diktat del p.corretto, prassi sfascio-progressista  "in cerca d'autore"??      eccomi! ....cosi' da decenni risponde il servizievole cinema nostrano forse l'ambiente mediatico più prostituito e prostrato ideologicamente che ci sia in italia .)   

tornando a fellini penso che a meno che non si faccia un cinema di pura fantasia (come la fantascienza) quando si prende a soggetto la societa', il suo costume, le sue contraddizioni per quanto "manico"  ironia e canzonatura uno ci metta  il risultato non potra' mai essere del tutto obiettivo, bene o male  si finisce sempre col vedere le cose attraverso le lenti interpretative quindi soggettive del regista  in pratica anche se fellini non l'avesse mai voluto ha sempre finito col fare un cinema di tipo satirico simile con i dovuti distinguo a quello di Woody Allen  il quale pero' ne e' sempre stato ben consapevole
l'ambiguita'  non il merito  del cinema di fellini sta' proprio nel fatto che produce satira  senza voler esprimere satira  egli canzona sberleffa dileggia le contraddizioni umane e sociali del nostro tempo tenendone in sospeso ogni giudizio di valore  pensando di premiare anche nel cinema l'approccio "laicista"  alle cose  e invece non si e' mai reso conto che  specialmente per certi soggetti e certe tematiche l'approccio neutrale esprime già' di per se un giudizio di valore e una scelta di campo percui alla fine piaccia o no questo finisce per trascinarti nell'agone politico e arruolarti da una parte o dall'altra  il cinema di fellini si e' spacciato come "apolide rispetto a ogni condizionamento culturale ma questo e' stato ed e' ancora impossibile in italia 

in questo senso come spettatore stando allo spirito del film la citta delle donne come si fa a capire se il nostro facilone latin lover mastroianni rappresenta solo se stesso o invece indirettamente coinvolge tutta la popolazione maschile?  e giusto tenere in un limbo questo interrogativo che sicuramente prende l'animo di tutti gli spettatori specialmente maschili che vedono questo film?  la gente istintivamente rigetta le cose indeterminate e se in una rappresentazione non capisce chiaramente che il tutto e' finalizzato a fare della parodia e della satira  procede  aggregando tutto in semplicistiche categorie di giudizio    ecco perche    visto il film  quello che rimane come dubbio sgradevole nel pubblico maschile  diventa invece certezza misandrica per quello femminile stimolato ad ingranarsi ancora di più nelle logiche femministe 
la stessa cosa vale per gli sballati di droga,  la sola "presa d'atto" cinematografica di quello che sono  senza alcun giudizio di valore  alla fine finisce per giustificarli culturalmente  e ne fa un modello di comportamento 

il rischio e che film del genere finiscono per essere gigantesche operazioni di involuzione culturale finalizzate a promuovere  lo sdoganamento sociale di eccessi nel costume e  ben precise "fobie" politiciste  spero per fellini che sia stato del tutto inconsapevole ed estraneo a questi risvolti  (altrimenti non so proprio cosa pensare!)   tuttavia bisogna rendersi conto che specialmente in italia non e' più possibile scherzare su certe cose   e' finita "l'eta" dell'innocenza della spontaneita' e della gratuita' della cultura  oggi tutto ha un secondo fine,  perche' tutto e' frainteso strumentalizzato e "schierato" a livello ideologico. 
Un uomo che è un uomo DEVE credere in qualcosa (dal film: il mio nome è nessuno)

Finnegan

Per me Fellini è l'antesignano dei film di cartapesta di oggi, il suo cinema si situa a pieno titolo nel filone sottilmente progressista e laicista della graduale corruzione dei valori degli italiani.
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Junio1

Io penso che Fellini sia un mondo a parte nel cinema un cinema irripetibile con una forza onirica di stampo gioioso che nessuno ha egualiato, Finnengan per me forse puo' aver ragione riferendosi all'ultimo Fellini quello de La voce della luna quello dei suoi film peggiori anche se ci sarebbe da discutere perchè anche in quelli c'è una profezia un elemento straordinario che il cinema di oggi se lo sogna ad esempio nel finale della voce della luna doveva inizialmente comparire il volto di Berlusconi sulla luna che gridava "pubblicita'" a Benigni anticipando nel 90 l'ascesa al potere di Berlusconi e della societa' avanspettacolo di oggi frutto dellle sue tv private, nonostante sia un film mediocre glielo devo riconoscere, c'è anche da dire che Fellini è invecchiato male rispetto ai grandi maestri del cinema e non è giudicabile per gli ultimi film, se prendiamo  Otto e mezzo fino a E la nave va dobbiamo dire che sono film elitari che sono l'antitesi del cinema banale progressista da cassetta di oggi. Io distinguerei il primo Fellini neorealista sognante dal secondo elitario onirico  supremo e il terzo senile ripetitivo semplicemente macchiettistico. Aggiungo una nota sento spesso parlare di Fellini come di un progressista  stile piddino, a quei tempi i votava PSI e francamente (pur non essendo io di sinistra) non metterei mai Craxi al livello di un Dalema Prodi & Co, ne come intelligenza classe cultura e lungimiranza, ma questo è un altro discorso.

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